La lettera di Gabriele D'Annunzio a Padre Pio

01 Aprile 2014   11:46  

Il Vate scrisse da Gardone Riviera il 28 novembre 1924 la seguente lettera a Padre Pio.

“Mio fratello, so da quante favole mondane, o stupide o perfide, sia offuscato l’ardore verace del mio spirito. E perciò m’è testimonianza della tua purità e del tuo acume di Veggente l’aver tu consentito a visitarmi nel mio Eremo, l’aver tu consentito ad un colloquio fraterno con colui che non cessa di cercare coraggiosamente se medesimo. Caterina la Senese mi ha insegnato a “gustare” le anime. Già conosco il pregio della tua anima, Padre Pio. E son certo che Francesco ci sorriderà come quando dall’inconsueto innesto prevedeva il fiore ed il frutto inconsueti. Ave. Pax et bonum. Malum et pax”

Gabriele d’Annunzio

Questa lettera è stata rinvenuta nell'archivio del Vittoriale, a Gardone Riviera, dal ricercatore Antonio Motta, autore del libro ''Scrittori per Padre Pio” nel 1999, anno della beatificazione del Frate. Doveva essere consegnata a mano a Padre Pio da un ex legionario pugliese dell’impresa di Fiume, fattosi frate con il nome di “Fra’ Luciano” ma non fu recapitata.

Padre Gerardo de Flumeri, assistente di Padre Pio, disse che la ricevette solo nel 1955, trent’anni dopo, e che non fu portata prima per motivi imprecisati.
Il 28 novembre 1924, sull'onda di letture di giornali popolari, D'Annunzio con questa epistola invitava, con toni affettuosi e confidenziali, il frate di Pietrelcina a fargli visita. E se il religioso avesse ritenuto quell'invito scomodo, a causa delle tanti voci che lo riguardavano, relative a eccessi e scandali, il poeta lo rassicurava: il suo scopo era solo benefico e l'incontro sarebbe avvenuto nella massima riservatezza.

La Chiesa non ha voluto mai pubblicizzare l’incontro tra due soggetti Veggenti ‘sotto indagine’ da parte delle autorità vaticane.

All’epoca, nel 1924, D’Annunzio , le cui opere erano state messe all’indice , venne preso da improvviso misticismo e visitava i conventi nei dintorni di Gardone. Cronicamente malato e oppresso da dolori e soprattutto impreparato al declino il poeta si trova in uno stato depressivo: si sente un «invalido».

In questo momento critico , fu aiutato dal suo amico l’architetto Maroni; cultore di studi esoterici egli diventa riferimento spirituale e fonte letteraria per il suo misticismo e lo supporta nella ripresa intellettuale e spirituale e nell’ ’elaborazione della sua ultima opera: “Il libro segreto”.

Gabriele si avvia verso un percorso mistico e, come volesse dare il buon esempio scelse, quale prima mèta di pellegrinaggio, l’antica abbazia benedettina di Maguzzano (BS) sede dei Frati trappisti algerini. Ricevuto con grande deferenza, donò loro il proprio ritratto e disse di volersi considerare un terziario francescano . A questo proposito Antona Traversi, biografo del vate ,nella sua opera “Vita di Gabriele d’Annunzio” ammette : “Più d’uno credette che il Poeta avesse intenzione d’entrar in un vero e proprio ordine religioso, e si parlò a dirittura di ‘conversione”.

Anche Piero Chiara, autore di una circostanziata “Vita di Gabriele d’Annunzio” ci rivela che il ‘vate’ “ Fu occupato, in quei mesi del 1924 dai lavori di ampliamento e di adattamento del Vittoriale … nel fervore di motivi francescani che lo aveva preso e che lo animava a trasformare il Vittoriale in un convento, mettendo il cordone a tutti: amanti, servi, giardinieri e perfino agli ospiti per il tempo in cui si trattenevano nel suo mistico castello. “Orbene, continua il Chiara, sembra che Padre Pio abbia risposto al Poeta, “consentendo ad un colloquio fraterno”, come chiede nella lettera , probabilmente aspirava a convertire il Vate.

Ma l’incontro non avvenne, a meno d’un miracolo di ‘bilocazione’ che non è noto, non estraneo al francescano di San Giovanni Rotondo. D’altra parte al pescarese interessava mettere in risalto “l’acume di Veggente” del Frate di Pietrelcina, suo ‘fratello’ in spirito, essendo lui ‘vate veggente’ nell’intelletto”.

La lettera, piccolo ma significativo capolavoro, ha come suggello il motto francescano “Pax et Bonum”, seguito subito da quello personale, di chiaro stampo dannunziano: “Malum et Pax”. Così sia.

Ricerca storiografica a cura di Elisabetta Mancinelli


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