La relazione sulla ricostruzione di Barca: una lettura critica e fuori dal coro

19 Marzo 2012   12:11  

Il giornalista Alberto Puliafito autore dei libri inchiesta 'Comando e Controllo e in Protezione Civile SPA, su polisblog.it pubblica un'analisi approfondita e critica sulla relazione del ministro Fabrizio Barca sulla ricostruzione del'Aquila e dei comuni del cratere, presentata ed illustrata in concomitanza con la sua trionfale visita a L'Aquila insieme al presidente del consiglio Mario Monti.

La ricostruzione, la relazione di Barca e tutto quello che era già stato previsto

''Contestualmente alla visita del Presidente del Consiglio Mario Monti all’Aquila, e al suo stupore per la situazione, il Ministro per la Coesione Territoriale Fabrizio Barca ha pubblicato una relazione dal titolo La ricostruzione dei Comuni del Cratere Aquilano.

Una relazione che va letta attentamente e compresa anche fra le righe, operazione possibile solamente se si conosce, almeno per sommi capi, la realtà locale dopo il terremoto del 6 aprile 2009.

Divisa in sei punti (una premessa e i cinque pilastri fondamentali individuati da Barca), la relazione offre svariati spunti di riflessione giornalistica e sociale, fortemente intrecciati a spunti di cronaca e di politica (il caso Bertolaso, la bufera sul Dipartimento di Protezione Civile, l’ex governo Berlusconi) e di comunicazione, cui si accennerà brevemente, ma in maniera - speriamo - quanto più chiara possibile.

Questo, nonostante Mario Monti, ieri, abbia rivolto parole di stima nei confronti di un ex rappresentante del precedente Governo: «E’ una fonte perenne di equilibrio e saggezza e ha profuso grande impegno per L’Aquila», ha detto il premier di Gianni Letta, a dimostrazione del fatto che la continuità fra le due realtà politiche è ben presente e che la “propaganda” sul terremoto del 2009

Premessa

La premessa della relazione individua due urgenze: che sia accelerata la ricostruzione e che sia avviato lo sviluppo. Si prevede l’emanazione di una ordinanza che assicuri fino a tutto il 2012 il contributo all’autonoma sistemazione dei cittadini senza un’abitazione, gli oneri connessi al prolungamento dell’emergenza e alle spese straordinarie dei Comuni e l’impegno istituzionale per esaminare le richieste di ricostruzione degli edifici privati.

Si vuole, inoltre, lavorare su un provvedimento che consenta l’uscita dalla fase straordinaria e che avvii l’amministrazione ordinaria della ricostruzione. Questa parte della premessa ammette, di fatto, a tre anni dal terremoto, che la pianificazione sul medio-lungo periodo sia stata estremamente carente.

Stupisce, poi, leggere queste righe:

«Nel caso del centro storico de L’Aquila, in assenza di diffuse distruzioni irreparabili, l’ipotesi della “rifondazione” non si è posta nel senso di costruzione di una città nuova (strada subito rigettata), ma di una modernizzazione e di una funzionalizzazione del centro a nuovi modi di vivere, mestieri e professioni. Tale ipotesi è, tuttavia, rimasta presto sotterrata all’interno di un confronto che si è fatto scarsamente partecipato a livello locale e tenue a livello nazionale. E’ questo confronto che deve tornare alla luce, animato da un principio di ragionevolezza e di apertura a idee esterne, con l’obiettivo di poggiare su basi solide e condivise la ricostruzione del centro de L’Aquila e guidarne la sequenza degli interventi».

La città nuova c’è eccome. Ed è rappresentata dalle C.A.S.E. periferiche volute dal Governo precedente: 4.500 appartamenti costruiti ex novo e sbandierati continuamente come la nuova L’Aquila.

Fabrizio Barca suggerisce, poi, una delle vie per avviare il processo di rinascita, prendendo spunto dall’esperienza del terremoto in Friuli e di quello in Marche e Umbria e individuando come punto irrinunciabile

«la partecipazione dei cittadini alle scelte. E’ infatti solo con la partecipazione che può risolversi per ognuno di noi, di fronte alla distruzione del nostro luogo primario di vita, quella tensione interna fra “bisogni antitetici … coesistendo l’affermazione pubblica di un’alta finalità collettiva e il sacrosanto egoismo individuale”. 

Maggiore informazione, maggiore comunicazione, maggiore programmazione, maggiore semplificazione, maggiore rigore rappresentano la strada concreta per rendere fluidi i rapporti fra istituzioni pubbliche, per realizzare la fattiva partecipazione dei cittadini, per bilanciare quelle due aspirazioni».

Una richiesta che è stata fatta, da quella parte di società civile aquilana che ha iniziato a mobilitarsi poche ore dopo le 3.32 del 6 aprile 2009.

E che era stata rigettata al mittente secondo la logica del “sappiamo cos’è meglio per voi”, con una serie di decisioni piovute ininterrottamente dall’alto (quanto tempo far durare la fase delle tendopoli, la scelta di costruire lotti di appartamenti permanenti anziché rimovibili e via dicendo), secondo la logica del commissariamento infinito.

La relazione di Barca individua poi cinque elementi fondamentali. Anche qui, chi avrà seguito le vicende del terremoto aquilano attraverso l’informazione non ufficiale, saprà che molte di queste istanze erano già state proposte da tempo, nella sordità delle istituzioni troppo impegnate a dar sfoggio della propria capacità salvifica, troppo impegnate nella narrazione di un modello virtuoso che non esisteva affatto.

I cinque pilastri sono informazione, comunicazione, semplificazione, rigore.

Informazione

La parte dedicata all’informazione (che per mesi è stata impegnata a dar conto delle splendide visite guidate all’Aquila, come quella di Napolitano con Guido Bertolaso. Era il 9 aprile 2009) inizia così: «Requisito primario per accelerare la ricostruzione è un monitoraggio adeguato dello stato di attuazione distinto tra erogazioni e trasferimenti ai capitoli di contabilità speciale. E’ necessaria una chiara distinzione in base alla fonte, alla destinazione e all’effettivo utilizzo».

Parole illuminanti? No. Semplice buon senso. E’ chiaro che ormai si giunge, con queste righe, a cose fatte. E quindi non si può tornare indietro rispetto ai 2,9 miliardi di euro già spesi per gli interventi emergenziali. Di questi, solamente 680 milioni di euro sono stati spesi per gestire l’emergenza vera e propria. Ben 833 milioni, invece, sono stati erogati per le contestatissime C.A.S.E., una soluzione definitiva (a meno che, un giorno, qualcuno non decida di abbatterle tutte) presa in tempo di emergenza: cosa che le linee guida della Protezione Civile sconsigliano vivamente. Una soluzione che il governo precedente utilizzò per dire che all’Aquila era tutto a posto. E se qualcuno osava protestare e sostenere il contrario, c’era spazio per le manganellate. Tutto ciò è andato a scapito del fatto che per la ricostruzione vera e propria, per la quale sono state erogate risorse per appena 569 milioni di euro (non si conosce l’esatto ammontare di quelle erogate alle banche).

Per quanto riguarda le donazioni dei privati, 87 milioni di euro, la relazione utilizza il condizionale: «Sono tuttora in corso approfondimenti con gli uffici della Protezione civile per la predisposizione di una ricognizione finale dell’articolazione di questi interventi».

Surreale? Ma nient’affatto, visto che il Dipartimento di Protezione Civile aveva un’autonomia di spesa inaudita e priva di controlli preventivi, sotto Bertolaso. Ma veniamo alla questione della ricostruzione: la relazione fa un quadro sommario della complicatissima filiera per arrivare all’approvazione delle pratiche.

Si noterà, dai grafici, che i contributi per la ricostruzione ai privati hanno subito un’impennata (per le case B-C, quelle con danni minori) esclusivamente a partire dal primo semestre del 2010.

Non è un caso: ci si concentrò su un modello di gestione dell’emergenza che subordinava la ricostruzione leggera alla costruzione ex-novo in altre aree.

Le case E (le più danneggiate o quelle dei centri storici), quelle più numerose, raccontano invece, con le due curve delle domande presentate e dei contributi definitivamente erogati che crescono in maniera opposta, tutte le criticità di questa ricostruzione che non c’è.

Al punto che si accettano ancora le pratiche (il termine ultimo è stato prorogato due volte. Il primo era il 31/12/2010; il secondo il 31/08/2011. Perché c’è voluto così tanto tempo per molti cittadini aquilani per produrre le loro pratiche?

Per assenza o scarsa chiarezza nei capitolati di spesa e per l’intricato groviglio di ordinanze che rendevano l’operazione complicatissima. Quanto ai piani per la ricostruzione dei centri storici, «Al marzo del 2012, 22 su 57 Comuni (fra cui L’Aquila) hanno adottato il proprio piano di Ricostruzione, e di questi 4 hanno proceduto ad indire la Conferenza di Servizi. I motivi di tale ritardo vengono attribuiti alla complessità delle procedure, alla carenza di personale tecnico competente presso i Comuni e alla partenza ritardata nella formulazione delle linee guida applicative».

Il costo complessivo stimato dei Piani di Ricostruzione adottati ammonta, al momento, a circa 6.631 mln/euro, di cui circa 5.221 mln/euro relativi al Comune de L’Aquila e sue frazioni e i restanti 1.410 mln/euro per gli altri Comuni del cratere. Tale stima si riferisce evidentemente a un arco temporale di molti anni, almeno 10 sulla base delle esperienze delle più recenti ricostruzioni post-terremoto. Veniamo agli edifici pubblici.

Per gli interventi in fase emergenziale si legge chiaramente: «Una rigorosa ricognizione dei flussi finanziari di questa fase è resa difficoltosa dall’assenza di dati di spesa chiari». e, per chiarire meglio la situazione: «Risultano avviati i lavori per non più del 15% delle opere relative agli edifici maggiormente danneggiati; per le altre è in corso la fase della progettazione».

Infine, la situazione di alloggio, sbandierata dal Governo come un grandissimo successo (i numeri, la nuova città, le nuove case erano 20mila o 40 mila o 60mila a seconda della sensazione di grandeur che voleva veicolare l’ex premier). «Alla data del 6 marzo 2012 la popolazione che non era ancora rientrata nelle proprie abitazioni ammontava a circa 33.700 persone, il 50% delle persone senza tetto alla data del giorno del sisma 67.459. 21.807 persone si trovano in soluzioni alloggiative a carico dello Stato (CASE, Moduli abitativi provvisori, case in affitto, etc.), 11.482 ricevono un contributo di autonoma sistemazione9e 383 si trovano in strutture ricettive e di permanenza temporanea».

Dunque, a tre anni dal terremoto il numero di sfollati è pari a 33.672 persone. A questo punto, la relazione si occupa di descrivere gli interventi effettuati e di spiegare nel dettaglio cosa siano le C.A.S.E., i M.A.P. (Moduli Abitativi Provvisori) e i M.U.S.P. (Moduli ad Uso Scolastico Provvisori). Concentriamoci sulle C.A.S.E.: ad un certo punto si legge che «I complessi, a partire dal 29 settembre 2009 con la consegna dei primi 400 appartamenti, hanno dato una sistemazione ad una popolazione crescente, fino a febbraio 2010, data alla quale ospitavano circa 15.000 persone. Grazie all’avanzamento dei lavori di ripristino dell’edilizia privata nelle periferie, tale ammontare di assistiti è diminuito progressivamente, e al 6 marzo 2012 le C.A.S.E. ospitavano 12.969 persone».

Ribaltiamo la retorica positiva e facciamo qualche considerazione.

Se 2.100 persone circa non vivono più nelle C.A.S.E. vuol dire che ci sono almeno 500 appartamenti (sui 4.500 costruiti) che ora sono vuoti. Il che rende assolutamente evidente l’assurdità della scelta di realizzare 19 “new village” per una superficie totale abitabile di 220.248 metri quadri, che rimarranno permanentemente sul territorio aquilano e che, progressivamente e lentamente, andranno svuotandosi, oppure riproporranno dei micro-modelli di socialità del tutto decontestualizzata non solo dal preesistente ma anche dal concetto stesso di città, visto che sono aree quasi integralmente prive di servizi.

Cosa ne sarà di loro, in futuro? Tra vent’anni, per esempio? La parte più tragicamente divertente della relazione è quella che riguarda le risorse umane.

Contiene una tabella vuota, accompagnata da questa laconica dicitura: Ai fini della programmazione dell’intervento nei prossimi mesi e delle modifiche da introdurre nella sua organizzazione è utile disporre di informazioni sul personale aggiuntivo richiesto dalla ricostruzione nei diversi soggetti istituzionali ad essa preposti. Tale quadro informativo non è al momento disponibile.

Comunicazione

Per affrontare questo tema bisognerebbe ricordare che, in ambito di crisi, la comunicazione dovrebbe essere rivolta essenzialmente verso quei cittadini che vivono la crisi sulla propria esperienza quotidiana e che, invece, nel caso del terremoto dell’Aquila, il più grande sforzo di comunicazione è stato rivolto verso l’esterno, per raccontare la felice ed efficientissima macchina della Protezione Civile che faceva i miracoli.

Eppure, spiega Barca: ''La ricostruzione post-sismica è un processo che coinvolge – con diversi gradi di intensità – non soltanto le popolazioni colpite dal fenomeno ma l’intera comunità nazionale, che partecipa finanziariamente alla ricostruzione attraverso la fiscalità generale ed eventuali contribuzioni specifiche, anche a carattere volontario. È naturale, quindi, che la gestione della ricostruzione, e in particolare l’utilizzo dei fondi stanziati a questo scopo, sia riferita in modo trasparente ai cittadini, affinché questi possano formarsi un giudizio compiuto e informato sugli interventi.

La trasparenza, che comporta chiarezza e completezza dell’informazione, è quindi uno dei pilastri della comunicazione ai cittadini. L’altro pilastro riguarda il rapporto di servizio, operativo, tra amministrazioni coinvolte nella gestione della ricostruzione e i cittadini e imprese interessati agli interventi, ai servizi, alla realizzazione delle opere. Comunicazione e trasparenza. Questo si richiede in tempi di ricostruzione.

Addirittura, la relazione spiega cosa si dovrebbe fare, come operare, in che modo organizzare i dati raccolti e come renderli disponibili ai cittadini, come condividerli per favorire l’attivazione delle energie locali.

Per mesi, all’Aquila, si fecero istanze per ottenere questo tipo di comunicazione e di trasparenza. Il fatto che oggi, a distanza di quasi tre anni dall’evento sismico, si suggerisca come fare, dimostra una cosa sola: la comunicazione e la trasparenza non ci sono stati.

Le energie locali sono state, semplicemente, infantilizzate, narcotizzate socialmente, inascoltate nelle loro aree più critiche e consapevoli.

Programmazione e previsioni

La relazione fa notare che «La programmazione delle disponibilità finanziarie e la verifica della loro adeguatezza in ogni singolo anno, nonché la programmazione dei soggetti pubblici e privati in merito alle procedure, ai servizi, ai lavori e le stesse scelte personali delle famiglie e dei cittadini richiedono previsioni di massima sui tempi di esecuzione degli interventi».

Un’ovvietà: occorre pianificare con una visione sul lungo periodo. Una visione che nel terremoto aquilano è mancata del tutto, per vari motivi e convenienze. Così, si forniscono al Commissario straordinario (il presidente della Regione Abruzzo Gianni Chiodi) delle comode tabelle da riempire di volta in volta. Semplificazione Dopo che finì l’era Bertolaso, in cui la semplificazione esisteva eccome e si decideva in maniera antidemocratica e per nulla condivisa a colpi di ordinanza, la gestione della ricostruzione ha cominciato a costruire la propria burocratizzazione, che non è affatto migliore del sistema precedente: Attualmente le strutture che supportano il Commissario delegato per la ricostruzione – Presidente della regione Abruzzo – sono le seguenti:

• Struttura per la Gestione dell’Emergenza (SGE)

• Struttura tecnica di missione (STM)

• Commissione tecnico-scientifica e relativa segreteria

• 2 Vice Commissari

• 1 consulente giuridico ed un contingente di dieci unità di personale di cui si avvale il Commissario delegato

Manco a dirlo, si suggerisce di eliminare i vice commissari, di snellire la struttura e, contestualmente, di snellire anche il lavoro della Filiera per l’approvazione delle pratiche e per la ricostruzione degli immobili.

Rigore Questo è uno dei punti cardine del Governo col loden, quindi non poteva mancare anche qui.

Quel che salta maggiormente all’occhio è questo paragrafo:

''Per quanto riguarda la prevenzione da infiltrazioni criminali, appare opportuna la costituzione presso le Prefetture di white-list delle imprese nei cui confronti siano state effettuate le verifiche previste dalla vigente legislazione antimafia ed a cui devono rivolgersi i privati per l’affidamento dei lavori per gli interventi di riparazione o ricostruzione degli immobili.''

Il fatto che si solleciti la costituzione delle white-list (le liste di imprese virtuose) il 17 marzo 2012 (lo ricordiamo ancora una volta: a distanza di tre anni dal sisma) dovrebbe essere sufficiente a capire con quale leggerezza - utilizziamo il termine più leggero - siano state gestite le procedure di gestione post-terremoto nel capoluogo abruzzese.

Le white-list dovevano esistere da subito, onde prevenire le infiltrazioni mafiose. Cosa che, evidentemente, non è stata fatta.

Conclusioni post-analisi

Quest’ultima parte non è presente nella relazione, ma è la necessaria serie di considerazioni a margine. «La ricostruzione dei Comuni del Cratere Aquilano» è stata redatta in maniera da non contenere troppi accenni di critica e dimentica completamente - forse volutamente - di esprimere giudizi, se non fra le righe.

Ed è proprio leggendo fra le righe che si prova un profondo senso di scoramento accompagnato da un minimo di sollievo. Il sollievo e lo scoramento sono profondamente legati: lo scoramento deriva dalla considerazione che era già stato tutto previsto ed era tutto prevedibile. Il sollievo dalla stessa considerazione: quando si diceva che, no, all’Aquila non era tutto a posto e che la propaganda berlusconiana stava distruggendo il pensiero, be’, non si era dei mitomani ma si aveva ragione. Una magra consolazione. Tuttavia, si potrebbe trarre un grande insegnamento da questi eventi.

Ogni volta che un concetto viene veicolato in maniera così importante, così violenta, così martellante dai mezzi di comunicazione (come il “terremoto dell’Aquila risolto in pochi mesi”) è bene porsi dei dubbi. E dunque, è bene porseli anche sulle opere che vengono definite strategiche (pensiamo al Ponte sullo Stretto, alla Tav in Valle di Susa e ricordiamo che anche le C.A.S.E. venivano definite strategiche ed erano considerate l’unico intervento possibile, assolutamente necessario); sul modo in cui vengono bollati i movimenti popolari e la società civile che fa notare le criticità delle decisioni prese (pensiamo ai No Tav e al fatto che i movimenti all’Aquila venivano bollati come sovversivi e antiberlusconiani); sulle misure indispensabili (pensiamo al mercato del lavoro, alle pensioni); sulle attività indifferibili (pensiamo al concetto di emergenza continuamente sbandierato per recidere ampie porzioni di spazi democratici;pensiamo alla finanza che prende il sopravvento sulla politica); sulle richieste di più poteri (si vedano le recenti esternazioni di Franco Gabrielli, capo dipartimento della Protezione Civile) sui sacrifici necessari (pensiamo alla pressione fiscale che aumenta sul cittadino medio); sul migliore dei mondi (e dei Governi) possibili.


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