''Le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per sempre''

26 Febbraio 2010   15:29  

Torno a scrivere. L’ultima volta che decisi di fissare sulla carta i miei pensieri era il lontano Settembre 2009. L’estate scemava e con lei scomparivano dolore e sgomento. Dissi, parlando del “mio terremoto”, che..

 

“Questi 6 mesi sono passati così. E tutto questo tempo è servito perché la disperazione e lo sgomento andassero via. Perché da spettatore pagante lentamente tornassi ad essere attore della vita mia e di quelle delle persone a me più care; sono anche ritornate le stesse sensazioni sgradevoli di quella maledetta notte; tornano davanti a me, ogni giorno di più, la tristezza del quotidiano rialzarsi dal dramma, la solitudine e l’amarezza del dover ricostruire,la montagna di difficoltà che ci attenderanno” .

 

Oggi anche il mese di Febbraio sta finendo e l’inverno aquilano lentamente volge lo sguardo verso la primavera. E’ quasi passato un anno. Tra qualche settimana la nostra comunità, pur nella diaspora e nello stordimento dettati dal sisma, si ritroverà per commemorare il tragico evento. E’ dunque tempo di tirare le somme; di affrontare le questioni più spinose mettendo sul piatto tutto il buon senso e la pazienza di chi ha poco o nulla più.

Decido di partire da una frase molto evocativa, a mio modo di vedere, presa in prestito dal primo romanzo del giovane scrittore Paolo Giordano “ La solitudine dei numeri primi ” : le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per il tempo restante.

Queste poche parole serviranno a chiarire i termini e gli intenti di questo mio intervento che prima di tutto si rivolge agli uomini ancorché cittadini aquilani, ai nostri amministratori, ai nostri politici locali e nazionali, insomma a tutti gli attori del dramma collettivo vissuto dopo quel maledetto 6 Aprile 2009.

Dirò qui, subito, che queste mie poche righe vogliono avere innanzitutto una valenza politica, nel senso più alto che di essa si può concepire. Io credo nella democrazia e nella libertà di questo stato e credo altresì che solo la politica garantisca l’esercizio collettivo di queste virtù. Politico è un giudizio non demagogico o strumentale, ma ispirato da valori e dal riscontro con la realtà. Politica è un’azione ponderata e coerente, che muove da analisi e bisogni e termina con il raggiungimento di uno scopo ultimo, supremo: il bene comune. C’è chi nella nostra città adesso protesta e alza la voce; emette sentenze di condanna ancor prima della magistratura sull’operato di centinaia di persone che dalle istituzioni, dal mondo delle imprese e dal volontariato hanno gestito in questi dieci mesi la fase dell’emergenza post-terremoto. Costoro messi di fronte alla fatidica domanda, se non sia meglio cercare di agire da dentro le istituzioni anziché costruire sovra-strutture nella società civile aquilana con le quali muovere disordine sociale e ricatti elettorali, rispondono coesi e compatti :” Noi non facciamo né faremo mai politica. Siamo solo cittadini e in fin dei conti L’Aquila siamo solo noi”. Nel dire così poi però ti accorgi che strizzano l’occhio al politico di turno che scende al loro fianco nella protesta essendo però egli stesso il loro primo bersaglio. Magicamente poi basta una giornalista di un media nazionale per compattare tutti, vittime e carnefici, contro il grande “nemico”.

Mi riferisco, a tal proposito, al clima da “guerra civile”, da “cortina di ferro” che si respira di domenica per le vie dell’Aquila. Centinaia di cittadini mobilitati da alcuni “capi-popolo” che inveiscono, urlano, violano limiti di sicurezza posti a salvaguardia di quel che resta del nostro centro storico, delle case di noi aquilani che lì abitavano. Si aggregano e mostrano i muscoli; urlano nel mentre forzano quelle barricate attraverso cui invece ,ogni giorno, nel silenzio e nell’indifferenza di tutti, centinaia di operai e tecnici lavorano sodo per ripulire, sgomberare, mettere in sicurezza e riaprire definitivamente parti di città a tutti noi. A gran voce, di fronte a telecamere amatoriali, poi sostituite ad arte da quelle dei media locali e nazionali, si chiede il perché il cittadino non possa entrare a vedere; perché sia tutto chiuso e sigillato dalle forze dell’ordine e dalle pattuglie dell’esercito.

Una volta dentro la zona rossa poi, a loro dire luogo inviolabile perché teatro di spartizioni di potere, di speculazioni di palazzinari “sorridenti”, come in una catarsi collettiva ciascuno esterna i propri mali, le proprie difficoltà, i propri desideri, in ultima analisi ciascuno fa ciò che vuole. In questa anarchia di sentimenti c’è chi sale sopra un mucchio di macerie, chi intona canzoni e chi domenica prossima con pale e carriole sposterà qualche metro cubo di detriti da sotto la statua di Sallustio in Piazza Palazzo. E le restanti 5 milioni di tonnellate di macerie chi le tirerà via?

Di fronte a tutto questo “non-senso”, a questa barbarie della società civile di questa città io mi chiedo e chiedo a tutti voi: la politica dov’è finita? Fino a che punto si può rimanere ad osservare questo stillicidio senza che la politica, quella sana e più alta, dica qualcosa? Pongo io stesso ai “capi-popolo” la stessa domanda: perché non catalizzare quella rabbia che è dentro ciascuno di noi in un’azione politica che legittimamente i cittadini hanno il diritto-dovere di esercitare nelle istituzioni? Realmente chi protesta di domenica in domenica a Piazza Palazzo pensa che questa sia la strada migliore di riconsegnare la città, il suo centro storico agli aquilani? Non vedete come le vostre proteste, le vostre urla, le vostre chiavi siano strumentalizzate politicamente dal piano locale fin su a quello del governo nazionale? In ultima analisi “Cui prodest ?” A cosa serve tutto questo se non ad espiare la colpa delle vostre incapacità ad agire nelle logiche democratiche del nostro stato e delle nostre istituzioni?

Perché nessuno ha chiesto conto ai signori politici che domenica scorsa erano in mezzo a voi delle scelte che nei mesi passati costoro hanno frettolosamente preso in pochi secondi e che noi tutti, aquilani, sconteremo nel tempo restante? Mi riferisco, in particolar modo, al problema stesso delle macerie per il quale i rappresentanti delle istituzioni locali, già nei primi mesi dopo il sisma, hanno chiesto a gran voce e ottenuto dal governo nazionale la competenza di intervenire, escludendo il Commissario di Governo. Oggi questi stessi amministratori e politici locali, in piedi sopra le macerie di Piazza Palazzo, urlano alle telecamere che è il Governo italiano che deve venire a liberare la città dell’Aquila dalle macerie. Dov’erano i parlamentari aquilani mentre alla Camera e al Senato si decideva di classificare le macerie del sisma come rifiuti solidi urbani? Solo oggi questi signori scoprono il problema e coerentemente esercitano l’arte più diffusa della politica italiana: lo scarica-barile.

Mi dispiace ammetterlo, ma di fronte a questa gravi responsabilità politiche degli amministratori locali non bastano pale e carriole. Occorrono altresì proposte e azioni politiche nuove che i cittadini aquilani devono legittimamente mettere in campo in prima persona.

Pongo qui un’altra questione, non meno importante delle macerie. Andando un po’ a ritroso negli anni, perché sono sempre sulle loro poltrone i signori amministratori, politici e tecnici delle istituzioni locali che hanno scelto coscientemente di ignorare il problema della vulnerabilità sismica della nostra città? Come mai, nonostante gli errori, costoro ancora si propongono nelle imminenti competizioni elettorali?

Come mai anche le strutture tecniche all’interno delle istituzioni che sono state incaricate di dirigere la ricostruzione sono ancora gestite in prima persona dagli stessi tecnici e funzionari pubblici che negli ultimi decenni dovevano vigilare sui nostri edifici e che, purtroppo, non hanno asservito al loro dovere? Tralasciando responsabilità civili e penali, chi è che risponde politicamente alla cittadinanza aquilana di ieri e di oggi di questi errori?

Di fronte a tutti questi interrogativi non vi può che essere la politica a dare risposte e non la demagogica protesta fine a se stessa. Non abbiamo bisogno di un nuovo spirito aquilano. Abbiamo semmai bisogno di una nuova classe dirigente che dia risposte a tutti noi. Non c’è spazio dopo il dramma del sisma per spiriti di protesta dal sapore un po’ anarchico e sessantottino. C’è invece un vuoto politico incolmabile, grande quanto le 5 milioni di tonnellate di macerie, quanto le 300 e più vittime, quanto le vite spezzate dei giovani studenti universitari morti all’aquila nella casa dello studente o in qualche seconda casa nel centro storico, tenuta come catapecchia, che sicuramente qualche aquilano affittava in nero.

Vengo qui ad un’ultima questione spinosa che mi preme sottolineare. Durante gli anni del mio studio universitario qui all’Aquila in diverse occasioni ho cercato di dare il mio piccolo contributo alla rappresentanza studentesca negli organi accademici. Sono state tante le occasioni in cui il top-management dell’Università dell’Aquila ha sostenuto, anche in assemblee pubbliche, che le linee di sviluppo dovevano essere quelle di attrarre sempre più studenti all’Aquila aprendo nuovi corsi di laurea. Prescindendo dalla disponibilità e dalla qualità della residenzialità studentesca pubblica e privata qui in città,dalla disponibilità di sedi universitarie adeguate e a norma di legge, all’Aquila si sono attivati sempre più corsi di laurea negli ultimi anni. Nessuno mai si è chiesto fino a che punto si era in grado di garantire quel diritto allo studio a tutti gli studenti iscritti nell’ateneo aquilano, diritto che in primo luogo si sostanzia in sedi universitarie moderne, attrezzate e soprattutto sicure. E’ arrivato il sisma e degli edifici universitari aquilani è rimasto ben poco. Fanno eccezione solo quelle sedi costruite negli anni d’oro del nostro ateneo ,in cui però le minoranze accademiche criticavano il Rettore del tempo perché pensava poco alla didattica e più a far costruire edifici. Chiedo ora a tutti voi? Sbagliava quel Rettore anni fa a preoccuparsi delle sedi universitarie? E’ giusto attrarre studenti in un ateneo, in una città che non è in grado di garantirgli la giusta sicurezza? Perché invece di aprire tanti nuovi corsi di laurea, che comunque hanno rappresentano costi per l’amministrazione universitaria, in questi anni non si è provveduto a costruire sedi per le varie facoltà che non le avevano? Il polo umanistico della nostra Università aveva diverse sedi sparse nel centro storico; ognuna in un palazzo più vecchio e decrepito dell’altro. Se il sisma fosse avvenuto nelle ore diurne quando quelle sedi erano piene zeppe di studenti, cosa sarebbe avvenuto? Persino il simbolo dell’ateneo, il palazzo del rettorato e dell’amministrazione centrale, è venuto giù come carta pesta. Ricordo quando gli illustri futuri top-manager del nostro ateneo criticavano i passati rettori perché preferirono costruire nuovi palazzi a Coppito, l’attuale sede delle facoltà di Medicina e S.N.F.M. , anziché alloggiare tutto negli stabili appena sgombrati e già consumati dagli anni dell’ex-ospedale psichiatrico di Collemaggio. Che dire. Se non fosse stato per la sede di Coppito non so in che modo nelle settimane dell’emergenza immediatamente dopo il sisma l’Università avrebbe ripreso le proprie attività. Sono a tutti note le velleità politiche dell’attuale Rettore dell’ateneo aquilano, già Senatore della Repubblica, che interviene in congressi politici di partito sciorinando giudizi sulla gestione del terremoto qui all’Aquila e che proprio oggi dichiara alla stampa, non si comprende bene a che titolo se nei panni del Professore universitario di Medicina o di aspirante nuovo candidato Sindaco dell’Aquila, il completo fallimento del progetto C.A.S.E. della Protezione Civile che, a suo modo di vedere, non ha dato risposta alle esigenze abitative degli aquilani dopo il sisma. Di fronte a tutto ciò perché neanche una risposta politica a qualsivoglia livello è arrivata? Perché nessuno ha mai mosso critiche politiche al suo operato?

Chiudo nella speranza che una volta rinato il famigerato”spirito aquilano” e lasciate a casa pale e carriole, finalmente si possa tornare a parlare di futuro in questa martoriata città, non scordando mai ciò che è stato e chi, con le sue scelte in pochi secondi, ha condannato se stesso e tutti noi a scontarne le conseguenze per il tempo restante.

 

Francesco Di Luca

 


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