Manovra finanziaria. Monti: ''Far pagare l'Ici alla Chiesa? Non ci siamo ancora posti la questione''

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05 Dicembre 2011   17:10  

E' una questione che non ci siamo posti ancora''. Cosi' il premier Mario Monti, durante una conferenza stampa alla stampa estera, ha risposto a chi gli chiedeva se il governo pensi di agire sulla questione dell'Ici sugli immobili della Chiesa.

Eppure l'esenzione Ici alla chiesa costa alle tasche degli italiani 500 milioni di euro l'anno E in tempi di crisi farebbero davvero comodo.

All’Ici, poi, si dovrebbe aggiungere anche l’ammontare dovuto per altre imposte sia statali che comunali. La chiesa gode infatti di riduzione IRES,  IRAP, canone tv, di tariffe psostali agevolate, di esenzione IVA, per parecchi miliardi di euro l'anno. Il tutto mentre la Chiesa risulta beneficiaria di un gran numenro di contributi e finanziamenti pubblici dello Stato italiano, e dell’8 per mille che lo Stato le versa (anche quando il contribuente non ha esercitato l’opzione: a meno che il contribuente non lo destini ad altro scopo, quei soldi vanno alla Chiesa anche se non dichiarato apertamente) e che è una cifra molto alta: dal 1990 al 2007 la Chiesa ha percepito 970 milioni circa di euro dallo Stato Italiano per “l’esercizio del culto”.

A seguire un interessante ed esaustivo dossier dello Uaar, che fa luce su un previlegio nel mirino anche della Comunità europea.  

L' esenzione ICI alla Chiesa cattolica

L’ICI (Imposta Comunale sugli Immobili) è stata istituita con il Dlgs n. 504/1992. L’articolo 7 ne disciplinava le esenzioni. Con la sentenza n. 4645 dell’ 8 marzo 2004 la Cassazione, chiamata a pronunciarsi sull’uso quale casa di cura e pensionato di alcuni immobili di proprietà dell’Istituto Religioso del Sacro Cuore, ribadì autorevolmente che, trattandosi di attività «oggettivamente commerciali», gli immobili oggetto del contenzioso non potevano rientrare nell’ambito dell’esenzione.

Nell’ambito del Decreto Fiscale collegato alla Legge Finanziaria 2006, il parlamento decise di andare contro la sentenza della Cassazione ed estese l’esenzione ICI anche agli immobili di proprietà ecclesiastica adibiti a scopi commerciali. 

Il decreto legge n. 223/2006 ha successivamente eliminato l’esenzione totale, stabilendo che l'esenzione «si intende applicabile alle attività che non abbiano esclusivamente natura commerciale»: in pratica, è sufficiente che all’interno dell’immobile destinato ad attività commerciale si mantenga una anche piccola struttura destinata ad attività religiose per garantire l’esenzione dall’ICI all’intero edificio. 

Una decisione che non è piaciuta alla Commissione Europea, che, in seguito a una denuncia dei radicali, ha aperto un’inchiesta contro il governo italiano per sospetti «aiuti di Stato» alla Chiesa e violazione delle norme comunitarie sulla concorrenza. Secondo le stime dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani, diffuse nel settembre 2005, il provvedimento relativo alla finanziaria 2006 avrebbe comportato un ammanco nelle casse comunali di circa 200-300 milioni di euro, 20-25 soltanto a Roma (25,5 secondo lo stesso Comune di Roma, scrive L’Espresso dell’8 settembre 2011). Maltese, a p. 62, scrive che alla stima ANCI vanno aggiunti «gli immobili considerati unilateralmente esenti da sempre e mai dichiarati ai Comuni, per giungere a un mancato gettito complessivo valutato per difetto intorno a 1 miliardo di euro l’anno». 

Folena, a p. 42, ha replicato così all’articolo di Maltese pubblicata su Repubblica che ha costituito l’origine di questo passaggio ne La questua: «Unilateralmente? Assurdo: sarebbe come se ciascuno di noi, persona fisica, decidesse di ritenersi “unilateralmente esente” dall’Irpef e così non pagasse le tasse.

Tanto assurdo che questo passaggio nel libro scompare». Non è vero, come si può notare. E ovviamente è possibile evadere totalmente l’ICI, perché è sufficiente non aver cominciato a pagarla a suo tempo sulla base della legge del 1992, cambiare l’uso dell’edificio in senso commerciale, e non comunicare tale modifica. 

La legge, scrivono i giuristi, non rende del resto facile stabilire quali condizioni debbano ricorrere affinché un edificio di culto non debba più essere considerato tale. A p. 41 Folena sostiene che «gli alberghi pagano, e se ciò non avviene, li si induca senza remissione a pagare: senza alcuna incertezza», confermando quindi che non esiste alcun controllo ecclesiastico ‘superiore’ che verifichi la correttezza tributaria dei vari enti ecclesiastici proprietari di edifici in cui si pratica l’attività alberghiera. Lo stesso Folena, a p. 48, scrive del resto che «quella delle “celebri” Orsoline [menzionate da Maltese a mo’ di esempio di attività alberghiera esente] è in realtà una scuola. 

D’estate vengono messe a disposizione le stanze delle studentesse: 80 euro pensione completa in alta stagione, sconti per famiglie, i bambini pagano la metà». Ma 80 euro sono, per l’appunto, una tariffa di mercato, anzi: condizioni più care di quanto praticato sul mercato da non professionisti.

E la stessa scuola probabilmente applica, nel resto dell’anno, condizioni di mercato. Una ‘Casa del clero’ che offre stanze a persone comuni è stata inoltre individuata dal segretario radicale Mario Staderini insieme a tre pensionati per studenti. Sul Fatto Quotidiano del 20 agosto 2011, che si sofferma in particolare sulla tassazione degli alberghi, è peraltro riportato questo passaggio: «A pagare, secondo l’Associazione nazionale dei comuni italiani, sono meno del 10 per cento di chi dovrebbe farlo, con un danno erariale di circa 500 milioni l’anno». 

Come lo stesso Folena ricorda (p. 42) i rapporti tra vescovi e i vertici dell’ANCI sono cordiali, tanto che, anche recentemente, il segretario generale dell’associazione Angelo Rughetti ha invitato gli amministratori locali a partecipare al Congresso Eucaristico. Ed è del resto noto che, pur se la Cassazione è di diverso avviso (cfr. sentenza n. 17399/2011), nei rari casi in cui il mancato pagamento dell’ICI da parte di un ente religioso viene esaminato da una commissione tributaria, l’ente tende a giustificare le proprie ragioni con semplici autocertificazioni e l’esito gli è generalmente favorevole: si veda il recente caso di una casa per ferie “scagionata” perché l'immobile «era al servizio di una comunità religiosa per attività "ricettiva-assistenziale", senza fini di lucro, che veniva svolta con lo spirito apostolico proprio della Congregazione»  

L’’assoluzione’ da parte delle commissioni tributarie richiederebbe un ulteriore intervento in Cassazione  che non sempre ha luogo. E, ancora, sebbene la locazione di un appartamento sia sempre gravata da ICI, sono invece esenti le canoniche e le abitazioni di residenza dei vescovi (cfr. Cassazione n. 6316/2005).

Infine, si ricorda che secondo stime non smentite effettuate dal Gruppo RE (che sostiene di operare sul mercato immobiliare «adottando canoni di comportamento deontologico rispettosi dell’Etica, interpretata secondo la Morale Cattolica»), pubblicate sul settimanale Il Mondo nel maggio 2007, il patrimonio immobiliare di proprietà della Chiesa e delle sue varie articolazioni rappresenta tra il 22 e il 25% del valore dell’intero patrimonio immobiliare italiano. 

Date tutte queste premesse, è dunque corretto quantomeno raddoppiare la stima ANCI del 2005, portandola almeno ai 500 milioni di euro di cui si parla ora (Stefano Livadiotti, ne I senza Dio, p. 75, scrive che «secondo i calcoli molto prudenziali messi a punto dai comuni, la posta in palio vale 700 milioni l’anno».

Va anche ricordato che le modifiche concordatarie del 1984, all’articolo 19, stabiliscono che «agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopo, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione. 

Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e delle finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime»: pertanto, con l’introduzione e la generalizzazione dell’esenzione ICI, come ha notato per primo il prof. Piero Bellini dell’università La Sapienza di Roma, si è in presenza di «una modifica del Concordato da parte dello Stato, peraltro in favore della Chiesa, che avviene nelle forme non previste dallo stesso Concordato. Il quale, essendo “protetto” dalla Costituzione, non può essere modificato se non nelle forme previste dalla Costituzione stessa, cioè attraverso un accordo tra le parti». Sembra dunque che le basi legali per la normativa in vigore siano alquanto labili. mentre la trasformazione dell’ICI in IMU rischia di colpire ancora di più le casse pubbliche.


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