Massa d'Albe, cenni storici e tuirstici

05 Luglio 2012   10:06  

 Massa d’Albe a 856 m. s.l.m. fu uno dei centri edificati dopo la distruzione di Alba Fucens; il nome deriva da Massa (possedimento tipo fattoria) e Albe (città su altura).
Nel XVII sec. il centro divenne importante punto di aggregazione di tutte le ville del circondario soggette una volta ad Albe.
Verso la fine del Seicento vi fiorì il collegio Scuole Pie retto dai padri Scolopi.
Con l’abolizione del feudalesimo Massa d’Albe consolidò la propria posizione egemone salvo a perdere il privilegio della fiera di S. Pelino che le venne tolta da Avezzano.
Nel 1830 le frazioni di Albe, Castelnuovo, Antrosano e S. Pelino chiesero di essere aggregate ad Avezzano ma la richiesta venne respinta.
Albe, l’antica Alba Fucens, al tempo degli Angioini costituiva un feudo a sé, distinto da quello di Tagliacozzo e Celano. Successivamente tornò al demanio regio e nel 1343 re Roberto la lasciò in eredità alla nipote Maria di Durazzo. Tornato nuovamente al demanio dopo la morte di Maria (1366) passò sotto la signoria di Giovanna di Durazzo, moglie di Roberto d’Artois.
In seguito alle lotte per la successione tra Ladislao e Luigi II d’Angi ò, i feudi di Celano, Manoppello e Albe furono concessi a Luigi di Savoia, partigiano dell’Angioino, nominato anche viceré d’Abruzzo e governatore dell’Aquila. In seguito la Regina Margherita la concede in feudo ai Colonna per tornare subito dopo al demanio regio. Salita al trono di Napoli la regina Giovanna II, sorella di Ladislao, la contea viene nuovamente ceduta ai Colonna, insieme con quella di Celano. Morta Giovanna II, scoppia un’altra guerra di successione, nel corso della quale la contea di Albe cade in potere di Giacomo Caldora, investito del feudo nel 1436 in seguito al privilegio della Regina Isabella. È in questi primi anni del Quattrocento che Albe rivendica il proprio diritto alla giurisdizione quasi vescovile su tutte le “ville” circostanti e cioè su quella di Massa Superiore (o Corona), Massa Inferiore (la futura Massa d’Albe), Forme, Antrosano, Catelnuovo e San Pelino. Nel 1440 per gli eventi della guerra di successione, il feudo di Celano viene assegnato a Leonello Acclozzamora e nel 1411 quello di Albe a Giovanni Antonio Orsini. Subito dopo, quest’ultimo feudo torna alla regia camera, tanto che nel 1457 risulta essere governatore d’Albe, a nome di Alfonso d’Aragona, un tale Francesco Pagano, che contemporaneamente è anche governatore di Tagliacozzo.
D’ora in poi le vicende di Albe si identificano con quelle del ducato di Tagliacozzo, fino al definitivo possesso di entrambi i feudi da parte della famiglia Colonna. È da questo momento che inizia la decadenza di Albe.
Tra le emergenze turistiche ricordiamo: la chiesetta della Madonna del Fulmine, due chiese parrocchiali e altre due chiesette dedicate alla Madonna. Mancano tracce di monumenti antichi, a causa delle distruzioni provocate dal terremoto del ’15 e dai bombardamenti del ’44. Nella frazione di Albe, invece, si trovano i resti di uno dei siti archeologici più importanti e suggestivi di tutto l’Abruzzo: Alba Fucens, adagiata su di un’altura posta tra la piana del Fucino e le falde del massiccio del Monte Velino. Il nome Alba deriva da altura mentre l’aggiunta FUCENS sta ad indicare la sua vicinanza alle acque del Lago Fucino. La storia di Alba Fucens risale al 303 a.C., quando, dopo lo sterminio degli Equi da parte del console romano P. Sempronio Sofo, nel 304 a. C. fu fondata la città romana, con l’arrivo di seimila coloni. Con l’espansione della città di Roma, il territorio e la città di Alba Fucens ebbero grande importanza strategica, costituendo un crocevia dell’Italia centrale attraverso l’importante via consolare Tiburtina-Valeria. Durante la Guerra Sociale fu punita dagli alleati Italici per essere rimasta fedele a Roma; ebbe in seguito la cittadinanza romana come il resto d’Italia.delle botteghe. In fondo alla via, sempre sulla sinistra, si trovano i resti del Teatro, con la cavea del diametro di 77 metri che si appoggia alla collina del pettorino, in parte scavata sulla roccia ed in parte su muratura. Dopo aver visitato il teatro si torna su via dei Pilastri, dalla quale si può agevolmente accedere a quello che è uno dei più importanti spazi della città: si tratta di un’ampia area di pianta rettangolare, identificata solitamente con il Santuario di Ercole, circondata da portici con colonne in mattoni stuccati; quest’ampio piazzale lungo ben 84 metri era utilizzato probabilmente come Forum pecuarium, cioè il mercato. Al centro del lato nord del piazzale si conservano i resti del sacello di Ercole, nel quale era collocata una grandiosa statua di Ercole in marmo greco (oggi al Museo archeologico di Chieti), che risale alla prima metà del I sec. a. C.. Non deve stupire che un sacello consacrato ad una divinità sia accostato ad un’area destinata, probabilmente, ad attività mercantili: nell’antichità, infatti, ogni aspetto della vita, sia pubblica che privata, era posto sotto la tutela e la protezione di una divinità, in particolare il Dio Ercole era strettamente legato alle attivit à commerciali e particolarmente caro a tutte le genti sabelliche. Dal piazzale si può uscire su Via del Miliario, dove si trova una grande abitazione privata di età imperiale, che conserva pressoché intatti i vari ambienti: atrio, tablino, peristilio, colonnato. Curata nei particolari e nella ricca decorazione, questa casa doveva appartenere certamente al cittadino più importante di Alba Fucens, forse quel tale Q. Nevio Cordo Sutorio Macro, Prefetto del Pretorio di Tiberio, costruttore dell’Anfiteatro. Usciti dalla casa imperiale si torna su via del Miliario e si prende una strada che sale verso il colle di San Pietro, per la visita dell’Anfiteatro e della chiesa di San Pietro. L’Anfiteatro è un imponente edificio di metri 95x76: esso conserva solo in parte le gradinate, mentre meglio conservati sono i baltei (balaustre) in lastre di calcare e i due accessi sormontati da archi sui quali erano due iscrizioni (conservate sul posto): esse ricordano che Q. Nevio Cordo Sutorio Macro aveva fatto costruire l’edificio da spettacolo a sue spese. La chiesa di San Pietro merita un’attenzione particolare, sia per l’importanza archeologica, sia per il valore artistico che possiede e che ne fa uno dei migliori esempio di chiesa romanica in Abruzzo. Distrutta completamente dal terremoto del 1915 è stata ricostruita con le parti originali negli anni ’50. L’edificio religioso del XII sec. è sorto su un tempio del III sec. a.C. (cioè contemporaneo alla fondazione della colonia). La chiesa ha in parte inglobato le strutture più antiche del tempio dedicato probabilmente a due divinità, Apollo e Diana. Sono visibili il podio, la cella e due delle quattro colonne di ordine tuscanico della facciata. La chiesa benedettina conserva l’originario impianto del XII sec. a tre navate, divise da 16 colonne romane e ad un’unica abside che all’esterno presenta un ricco coronamento ornato da archetti pensili su mensole di diverse forme di figure fantastiche. Il portale d’ingresso, preceduto da un atrio ricavato sotto la torre campanaria addossata al centro della facciata, presenta eleganti girali floreali che decorano gli stipiti e l’archivolto. All’interno, dove si contrappone l’immagine della pietra squadrata delle murature alla classicit à delle colonne concluse da raffinati capitelli corinzi, spiccano per l’eleganza delle forme e la ricchezza delle decorazioni l’ambone, addossato alle colonne, e l’iconostasi, che separa la sala, realizzati dai maestri marmorei romani intorno al 1210-1220 ed ornati da fantasiose forme geometriche realizzate con marmi policromi.


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