Miano: la magia e il senso di un presepe vivente

di Nicola Facciolini

04 Gennaio 2011   09:53  

“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli”(Matteo 5,8-10). Agli inizi degli Anni Dieci del XXI Secolo del terzo millennio, nel ricordo sempiterno delle 309 vittime del terremoto di L’Aquila (6 aprile 2009, Mw=6.3, migliaia di feriti, miliardi di euro di danni, la Capitale d’Abruzzo distrutta) il mistero della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo torna a rifulgere nelle vie del borgo medievale di Miano, grazie all’intraprendenza di don Cristian, dei parrocchiani, degli oltre duecento figuranti (con un intero manipolo di centurioni romani) e delle migliaia di visitatori che Domenica 2 gennaio 2011 hanno animato la terza edizione del Presepe Vivente, nella pungente bruma di Levante. Organizzato dai fedeli di Miano, sorridente frazione di Teramo, l’evento è vissuto e partecipato ogni anno con grande dedizione e fervore da residenti ed ospiti (tutti possono partecipare, l’importante è prenotarsi in tempo utile).

Tutti, grandi e piccoli, sono riusciti a ricreare le atmosfere di Betlemme, fedeli alla tradizione biblica del libro del profeta Michea:«E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall'antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui, fino a quando partorirà colei che deve partorire; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d'Israele. Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio. Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra. Egli stesso sarà la pace!». E se possiamo solo immaginare la gioia del serafico padre San Francesco d’Assisi, quando per la prima volta fece dono al mondo della sacra rappresentazione del Presepio, allora capiamo bene il significato che si cela in ogni famiglia cristiana, immagine della Sacra Famiglia di Nazareth, allorquando nel Natale ci si riscopre, a pieno titolo per grazia (non certamente per nostri meriti e/o titoli) membri effettivi di quella Divina Famiglia di Nazareth a cui dobbiamo la nostra stessa vita. Non l’albero addobbato, ma il Presepio “illumina” il nostro Natale, tempo di grazia e di speranza. Il Presepio riproduce in ogni casa una scintilla di questa luminosissima gioia celeste (i Re Magi furono guidati da una “stella”!) scesa sulla Terra duemila anni fa quando il “Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”(Gv 1,1-18).

E la parrocchia di San Silvestro di Miano, grazie a Padre Cristian, anima ogni anno una manifestazione incentrata sul mistero della Natività, con l’esecuzione di musiche sacre e la recitazione di bravissimi figuranti che nella spontaneità della vita domestica quotidiana desiderano rappresentare un evento unico e irripetibile già “cristallizzato” nella storia dell’umanità ma sempre attuale, oserei dire immanente e contemporaneo. In uno scenario davvero unico e suggestivo, lungo le vie e i camminamenti medievali del borgo affacciato sulle gelide pareti del massiccio del Gran Sasso d’Italia, illuminati e riscaldati dalla luce della fede (ma anche dall’ottima sangria gentilmente ed amorevolmente preparata dalla mamma di don Cristian), un intero paese crea un evento destinato a crescere in qualità e storicità, arricchito da scene (da illustrare al pubblico con figuranti preparati, i soli autorizzati a dialogare con i visitatori) e personaggi sempre più fedeli alla Betlemme biblica di duemila anni fa. L’obiettivo è di vivere lo spirito natalizio dell’Epifania (che non è la festa pagana della Befana che tutte le feste porta via!) con l’arrivo dei Re Magi, non solo durante la rappresentazione ma anche ogni giorno dell’anno. Il Presepe vivente è rivolto a tutti coloro che desiderano immergersi nel mistero della Natività, un evento storico reale proprio del tempo dell’antico Israele, rappresentato da scene di vita quotidiana di sommi sacerdoti; di artigiani e pastori che realmente producono latte e formaggio; di un Erode il Grande sui generis nell’atto di “graziare” i prigionieri; del primo Censimento di Cesare Augusto; dei centurioni imperiali; dei bambini di Betlemme e dei loro padri di famiglia intenti a insegnare il lavoro artigiano.

L’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele a Maria è certamente la scena più significativa perché da essa tutto ha avuto inizio. Senza quel libero SI di Maria Santissima, oggi noi non potremmo rappresentare nulla! Oltre duecento personaggi (molti di più rispetto allo scorso anno) fanno da cornice all’atmosfera mistica della Natività riprodotta, con l’arrivo dei tre Re Magi, negli antichi fondaci della casa parrocchiale. Insieme al bue e all’asinello (protagonisti sono anche i nostri amici animali: in altre scene compaiono capre, pecore, vitellini ma anche gatti) che accuditi amorevolmente dai loro padroni, rendono possibile la sacra rappresentazione con il bambino Gesù, Maria e Giuseppe nell’atto di ricevere i tre doni regali, subito dopo l’annuncio del messaggero celeste ai pastori. E’ nella Natività di Gesù che inizia la rinascita dell’umanità, il ritorno nella terra d’Israele e la nostra redenzione che interessa tutti anche i non cristiani. Ecco perché siamo cristiani, cioè di Cristo, “vicini” ai Ebrei i nostri “fratelli maggiori”, capaci di annunciare a tutti quello che abbiamo ricevuto, senza timore. Dunque, beati noi per la nostra fede perché “facciamo parte di una compagnia spirituale – ci ricorda il Santo Padre Benedetto XVI – una compagnia che vive il Vangelo nella famiglia, nella comunità e nella Eucarestia. Una compagnia che prima di tutto, sempre ed ovunque, pone al centro della vita il rispetto della dignità della persona”. Quindi non possiamo che dirci cristiani in quanto “fratelli, collaboratori di Dio nel Vangelo di Cristo (1Ts 3,2)”, perché il mondo creda in Gesù Cristo (mirabili sono gli affreschi medievali nel monastero di Visoki Decani in Kosovo: www.kosovo.net/dec_frescoes.html) Figlio di Dio che duemila anni fa si è fatto pienamente Uomo nell’umiltà di una fredda capanna a Betlemme, in Israele, grazie al SI della Santissima Vergine Maria. Un SI pronunciato umilmente all’Arcangelo Gabriele, senza il quale SI, nulla avrebbe potuto manifestarsi.

Un uomo, Gesù, vissuto in mezzo a noi, ai nostri fratelli Ebrei; condannato ingiustamente, giustiziato sulla croce, morto e, dopo tre giorni, risuscitato. Questa è nostra fede che la Chiesa Cattolica Romana attraverso gli Apostoli, i Santi, i nostri stessi nonni e i genitori, in migliaia di Natali e Pasque, ci ha trasmesso nel Battesimo. Miliardi persone nel passato vi hanno creduto e miliardi di miliardi in futuro vi crederanno grazie alla nostra Fede. A quella di ciascuno di noi che manifestiamo pubblicamente anche visitando e partecipando il Presepio vivente in ogni angolo del mondo. Ecco perché non possiamo non dirci cristiani, cioè seguaci di Gesù di Nazareth sulla via della Verità, della Giustizia, della Carità, della Pace, della Fede e della Speranza. Chi nel laicato e nel Matrimonio, chi nella vita consacrata sacerdotale e religiosa, tutti i giorni, in famiglia, nella società, nella cultura, nell’informazione. Siamo cristiani (anche chi dice di non esserlo!) ossia portatori sani di quei valori essenziali della vita e della dignità della persona che purtroppo oggi sono tutt’altro che affermati nella nostra civiltà occidentale incapace di rendersene pienamente conto. Non possiamo tacere questa nostra appartenenza, pena il tradimento della nostra più intima essenza. Il male e le sue molteplici espressioni moderne (laicisimo, moralismo anticlericale, indifferenza, razzismo, sodomia, negatività, vizi e notizie terribili che “bombardano” le nostre menti su giornali, tv e Internet come uno tsunami), benché assurti a metro di giudizio di singole persone e finanche di intere comunità, non possono vincere su Cristo, sulla fede e non prevarranno sulla Chiesa Cattolica e sui Servi che Dio ha scelto (Apocalisse, 7,2-4.9-14). Ce lo assicura Gesù: “Le porte degli inferi non prevarranno”(Mt 16,18) e ce lo confermano i Santi, noti e ignoti che onoriamo.

I Santi non sono supereroi, alla stregua dei grandi personaggi della Marvel, ossia non sono eroi sovraumani nel senso di superiori alla razza umana. Il Santo non supera l’umanità, l’assume e si sforza di avvicinarsi il più possibile al modello di Uomo completo e perfetto, il Cristo. Le Beatitudini sono la Carta costituzionale del Santo, queste sì superiori alla logica umana ed a qualsiasi altra legge. La lettera «Voi siete tutti fratelli» del Maestro dell’Ordine, inviata a tutta la Famiglia Domenicana, ha dato molto impulso alla preparazione dei Padri Predicatori all’ottavo centenario dalla fondazione ad opera di San Domenico. “Stiamo vivendo un tempo fecondo di speranza - scrive il Maestro – mentre andiamo verso la celebrazione degli 800 anni della conferma dell’Ordine da parte di Onorio III (22 dicembre 1216). Grande importanza assume, quindi, per il cammino spirituale e per la missione dei Domenicani nel mondo, la celebrazione dell’Anno Sacerdotale indetto da Papa Benedetto XVI che, nel suo messaggio del 15 agosto, ha indicato Maria quale “modello perfetto del sacerdote” ed ha suggerito anche il senso che si deve dare a questo anno particolare”. La grande e filiale devozione “domenicana” alla Vergine Maria, scudo alle insidie del Maligno, e l’impegno apostolico della predicazione, possono “ravvivare l’amore e la venerazione per Lei” e lo spirito di fratellanza tra tutti gli esseri umani. La Chiesa di Dio una e visibile, è veramente universale (cattolica) in quanto mandata a tutto il mondo, perché il mondo si converta al Vangelo, alla Buona Novella. Il Magistero della Chiesa afferma sempre che i cristiani, come ha insegnato il Signore,“si caratterizzano dalla dilezione scambievole”(Gv 13,35). La coesione familiare è la natura propria dei cristiani, l’unità è il loro unico modo di presentarsi al mondo per l’annuncio. Il Cristianesimo è uno solo. Questa è l’essenza stessa dell’ecumenismo, la verità insindacabile. Un cristianesimo unito si diffonde ovunque, un giorno forse oltre i confini della Terra, poiché nell’unità della Chiesa che trova espressione viva e feconda l’evangelizzazione di tutti i popoli.

La Chiesa intera si estenderà fino ai confini della terra nella misura che la sua unità è affermata e realizzata. Dice Gesù: “Che essi siano uno affinché il mondo creda che tu mi hai mandato”(Gv 17,21). Il missionario, il predicatore, è operatore di pace, colui che insegna a credere in Cristo; egli porta all’eroismo la propria vocazione di cristiano. Oggi la cultura del mondo predica la divisione, non l’unità, non la coesione. “Che essi, Padre, siano uno perché il mondo creda che tu mi hai mandato”(Gv 17,21). I cristiani sanno che solo attraverso questa unità il mondo crederà in Cristo. Se da un lato questa unità esiste già nella Chiesa di Cristo, dall’altro non è un’unità già attuata completamente e visibile. Dunque va cercata, va voluta, incrementata. Essa sarà in continua crescita fino alla pienezza, fino alla completa fraternità fra tutti i popoli, raggiunta la quale saremo tutti di Cristo. Dunque, l’affare urgente, la formula vincente per la vita, non è la lotteria, ma è la fraternità. Le divisioni non solo contraddicono apertamente la volontà di Cristo, ma sono anche di scandalo ai più piccoli e danneggiano la predicazione del Vangelo ad ogni creatura. Vincere e promuovere la fraternità e l’amicizia tra i popoli (quella che alcuni economisti oggi chiamano “empatia”, capace di creare matematicamente ricchezza, cioè Pil e derivati, in un mondo globalizzato) significa soprattutto abbreviare l’attesa del ritorno glorioso di Cristo sulla Terra, come promesso. Gli affreschi medievali nel monastero ortodosso di Visoki Decani in Kosovo, invitano alla riflessione sulla nostra Fede, sulla nostra Speranza, sulla nostra Vita di Cristiani, eternamente beati in Cristo, l’unico vero Buon Pastore.


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