Non solo Centro oli di Ortona. Le trivelle minacciano l'Abruzzo

Intervista alla ricercatrice D’Orsogna

13 Gennaio 2009   12:34  

Opporsi alla costruzione del solo Centro oli di Ortona non basta a contrastare la petrolizzazione dell’intero Abruzzo. Questo in sintesi il monito della ricercatrice statunitense Maria Rita D’Orsogna, dal 2007 impegnata anima e corpo nella ricerca e divulgazione di materiale scientifico inerente i rischi ambientali e igienicosanitari che la raffinazione del petrolio comporta nel territorio abruzzese.

Nata nel Bronx di New York, Maria Rita ha la pelle dura, l’atteggiamento di chi vuole veder seguire i fatti alle parole, e soprattutto il senso di responsabilità individuale che contraddistingue il vero ambientalismo da quello puramente associazionistico e di facciata. “In America- afferma la D’Orsogna- la gente veramente interessata all’ambiente si chiede cosa possa fare di concreto per migliorare il mondo, e non si ritrae nascondendosi dietro la mancanza di potere personale appena la situazione si fa complicata” .

Oggi in Abruzzo la trivella può colpire dovunque. Solo per quanto riguarda la parte costiera tra Pineto e Termoli, sono già nove  le concessioni petrolifere date dal Ministero dell’Ambiente. Sul territorio di Lettomanoppello la Shell sta studiando i giacimenti di bitume. Altre ricerche vengono effettuate sull'Altopiano dei Navelli, nell'area Marsicana, sulla costa nord. Nulla di ufficiale ma le indiscrezioni sono autorevoli. 

Altre, stando alle ultime dichiarazioni del ministro Scajola, promettono di arrivare a breve. Secondo quanto deliberato dal Consiglio dei Ministri il 27 giugno scorso la nostra Regione sarebbe territorio da destinare alle "attività di ricerca ed estrazione del petrolio, sia per parte di mare che di terra", mentre la Camera dei deputati ha di recente approvato il Disegno di legge 1441, che sottrae alle Regioni e ai Comuni la valutazione di impatto ambientale in relazione alle concessioni di estrazione petrolifera.

INTERVISTA A MARIA RITA D’ORSOGNA, RICERCATRICE E DOCENTE DI FISICA ALL’ UNIVERSITA’ DELLA CALIFORNIA.

Nonostante il bombardamento mediatico inerente lo stato di cattiva salute nel quale versa il Pianeta, le persone risultano spesso poco informate riguardo i temi dell’ambientalismo e i rischi derivanti dalle varie forme di inquinamento che ammalano la Terra. Da dove nascono l’amore per l’ambiente ed il rispetto per la Natura? Educazione, indole, esperienza …?

“Basta guardarsi attorno … Se si vive a contatto con la natura, immersi nelle risorse paesaggistiche e ambientali che il mondo offre, emerge spontaneo un senso di apprezzamento, di gratitudine, tale da indurre la gente a voler preservare e difendere quanto la circonda. A me è successo. Io ho studiato a Padova dove all’inizio degli anni 90 si faceva già la raccolta differenziata: ti veniva spiegato come un tale accorgimento fosse di aiuto per l’ambiente e contribuisse a ridurre l’inquinamento del territorio. Una persona sensibile assorbe questi insegnamenti e quando può, amplia i propri orizzonti. Quella che era una consapevolezza “vaga” e iniziale, è esplosa poi in una vera e propria presa di coscienza quando mi sono trasferita in California, dove ho compreso quanto fosse importante e anche bello partecipare al processo di risanamento dell’ecosistema.

La difesa della natura non è mai fine a se stessa. Difendere l’ambiente naturale significa difendere noi stessi, la nostra stessa vita. Dico questo non soltanto in relazione ai danni fisici che l’inquinamento può comportare all’organismo umano, mi riferisco anche all’aspetto psicologico e al senso estetico della persona: siamo parte del ciclo vitale, se l’ambiente perde armonia e bellezza non possiamo che risultarne danneggiati. Io vivo in America, ogni tanto spunta un’associazione in difesa dell’ambiente, adesso per esempio c’è questo fiume di Los Angeles che deve essere riportato ai livelli di salute ambientale previsti: un progetto megagalattico. L’idea parte spesso dal singolo. Succede spesso. Se non ci si arrende, e si continua a parlare con la gente, i politici, a diffondere le informazioni … il processo prende vita, si forma e va avanti”.

Come ha saputo del Centro oli di Ortona, e cosa l’ha spinta a venire a battagliare proprio in Abruzzo? Lei vive in America e il mondo è pieno di acciacchi … ha sentito di avere un ruolo, un compito particolare nei confronti di questa terra?

“Sono nata a New York da emigranti abruzzesi. Ho vissuto nel Bronx i primi 7 anni di vita. Dai 7 ai 12 anni ho trascorso l’anno scolastico in Abruzzo e l’estate in America. Sono rimasta in Italia fino alla laurea. Voglio bene alla mia terra d’origine. Mi fa male saperla in pericolo. Del Centro oli sono venuta a sapere casualmente. Era l’ottobre del 2007 e parlando con un amico al telefono venne fuori la notizia relativa al progetto dell’Eni. Sospettavo si trattasse di un impianto altamente insalubre ma volevo saperne di più, così mi sono rivolta a gente esperta, come il direttore di tossicologia dell’ospedale di Los Angeles, uno dei fondatori della medicina ambientale.

Ho approfondito il tema e una volta giunta alle conclusioni non potevo rimanere in silenzio. Inizialmente pensavo bastasse scrivere una mail alle autorità competenti. Qualcuno più esperto di me avrebbe preso in mano la situazione. Ma non è stato così, a quel punto non potevo più tirarmi indietro. Non so se si possa chiamare “compito”, l’impegno che mi sono assunta di informare la gente abruzzese sui rischi che la petrolizzazione della Regione comporta. Più che altro ho sentito dentro di me l’impeto morale di fare qualcosa, di non stare semplicemente a guardare”.

Lei dedica molto tempo all’impegno che- me lo lasci dire- ha coraggiosamente assunto in difesa della nostra Regione come riserva naturale da proteggere e promuovere. Il no espresso dal Premier e dal presidente Chiodi durante la campagna elettorale in relazione al progetto Eni su Ortona, sembrerebbe abbia in parte ripagato gli sforzi intrapresi dalle associazioni ambientaliste abruzzesi. C’è chi tuttavia, come il presidente di Natura Verde Giusto Di Fabio, dubita che il discorso Centro oli si possa considerare definitivamente archiviato …

“Sono preoccupata. In una democrazia le parole non possono essere considerate sufficienti. Occorre scrivere nero su bianco. Inoltre vorrei dire un’altra cosa: il Centro oli è solo la punta dell’iceberg. Il problema non risiede tanto nell’eventuale costruzione dell’impianto estrattivo in un dato territorio, ma nella mentalità di quanti pensano di poterlo costruire magari a 40, 50 o 60 km di distanza dal sito originario. Non basta dire no al Centro oli di Ortona, senza strumenti legislativi in grado di proteggere l’intero Abruzzo dalla petrolizzazione, siamo al punto di partenza . In California ad esempio, esiste una moratoria che impedisce sistematicamente di costruire impianti e di trivellare il mare a meno di 160 km dalla costa. In assenza di tali leggi l’Abruzzo rischia di finire come la Basilicata, dove il 70% del territorio è coperto da ogni sorta di permesso estrattivo. Non bastava la provincia di Potenza, ormai disseminata di pozzi petroliferi, ora vogliono trivellare anche la provincia di Matera e il mar Ionio. Con il Parco nazionale poi si sfiora il paradosso: nella designazione dei confini le amministrazioni locali hanno tenuto conto prima delle raffinerie, e solo in un secondo momento delle risorse naturali. Sono 12 i pozzi attualmente presenti all’interno della riserva. Un’assurdità tale da risuonare bel oltre i confini italiani: qualche settimana fa ne ha parlato addirittura il Financial Times di Londra. Si tratta di un orrore al quale l’Abruzzo può ancora scampare. In Basilicata lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi nel sottosuolo non ha soltanto creato inquinamento ma ha anche generato corruzione nelle sfere della politica locale, un aspetto che la nostra Regione dovrebbe evitare”.

In un suo recente intervento mette in guardia gli abruzzesi su alcuni territori dell’entroterra a rischio petrolizzazione, come Lettomanoppello. Cosa ci può dire a riguardo?

“Sono a conoscenza di alcuni studi che la shell sta portando avanti sul territorio di Lettomanoppello in collaborazione con l’Università di Camerino. In quella zona c’è il bitume, un tipo di roccia petrolifera ancora più difficile da raffinare del petrolio presente ad Ortona. Si tratta di una sostanza molto simile a quella scavata in Canada, dove sono stati generati disastri ambientali di vario genere ed entità, lo stato dell’Alberta in particolare ne è uscito devastato, anche socialmente. Di per sè, il bitume non si presta ad essere lavorato o commercializzato. E' infatti troppo denso e non scorre nelle tubature. Occorre prima scavare il terreno, creando delle buche abbastanza grandi, e poi cercare di ridurre la viscosità delle sabbie petrolizzate con apposite sostanze chimiche, vapori o mescolando il bitume a petrolio più liquido per favorirne la mobilità. Occorrono ingenti dosi di acqua per trattare questo tipo di roccia, il cui petrolio è chiamato "extra pesante" a causa delle molte impurità presenti.

Il governo dell'Alberta non ha mai detto di no a nessuna ditta petrolifera in questi dieci anni e ci sono progetti per aumentare le estrazioni. I risultati? Puzza permanente di idrogeno solforato e di idrocarburi nelle maggiori città della zona, specie Fort McMurray, la scomparsa della pesca e delle alci. Fiumi inquinati. Pesci deformi. Morie di animali. Tumori e malattie rare. Concentrazioni di arsenico 500 volte maggiore ai limiti di legge. Fra il fegato e il piccolo intestino ci sono dei vasi sanguigni che ne facilitano il collegamento. Il tumore di questi vasi, detto cholangiocarcinoma e' molto raro. Si stima che l'incidenza sia di un caso su 100,000. In un paese dell'Alberta dove fino a dieci anni fa non si erano registrati casi di questa malattia, nel solo 2008 ne sono stati rilevati sei su 1,200 persone.

Una delle maggiori ditte che operano in Canada e' proprio la Shell. La stessa società che ha di recente sponsorizzato lo studio del bitume di Lettomanoppello. Sono soltanto studi, ma memori dell’esperienza canadese non è assurdo collegare tali ricerche all’eventualità che la Shell, come altre società petrolifere, abbia messo gli occhi su questa zona per incrementare la propria attività” .

 

LA VICENDA CENTRO OLI SU ABRUZZO24ORE.TV

 

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CITTADINI ABRUZZESI

 


Giovanna Di Carlo


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