Nove milioni di italiani non hanno i soldi per curarsi

05 Giugno 2012   20:01  

L’assistenza sanitaria è negata a 9 milioni di italiani. Fra questi, 2,4 milioni sono anziani, 5 milioni sono coppie con figli e 4 milioni sono residenti nel Mezzogiorno. Tutti costretti per ragioni economiche a rinunciare alle prestazioni di cui hanno bisogno. E’ lo scenario mostrato dal Censis nel suo rapporto Rbm Salute, promosso in collaborazione con Munich Re e presentato al Welfare Day.
  
Il rapporto evidenzia come, con una sanità pubblica sempre più in affanno, si ingigantisca il ricorso a quella privata che fa registrare un +25,5% negli ultimi dieci anni. Una crescita esponenziale che il Censis non considera come una valida alternativa dal punto di vista del cittadino. Perché sono moltissimi che non possono permettersi le cure private e chi non ha i soldi finisce per rinunciare alle prestazioni di cui ha bisogno o a cercarne a basso costo sul web, con tutti i rischi che ciò comporta.

Il fenomeno, rileva il Rapporto, è accentuato in maniera drammatica dalla crisi economica che da un lato ha richiesto e richiede interventi di riduzione della spesa pubblica, dall’altro ha impoverito le famiglie. Stando alla ricerca, una politica aggressiva di tagli, piani di rientro e spending review ha determinato, negli ultimi anni, un crollo verticale del ritmo di crescita della spesa pubblica per la sanità. I numeri parlano chiaro: si è passati da un tasso di incremento medio annuo del 6% nel periodo 2000-2007, a solo il +2,3% nel periodo 2008-2010. La flessione si registra soprattutto nelle regioni con piani di rientro, dove dal +6,2% all’anno nel periodo 2000-2007, si è scesi a meno dell’1% di crescita media annua nel periodo 2008-2010. 

In controtendenza, la spesa sanitaria privata aumenta del 2,3% negli anni 2008-2010 (quelli che coincidono con l’esplodere della crisi), in crescita dello 0,1% rispetto al periodo 2000-2007.

Anche le sensazioni che gli italiani hanno delle prestazioni erogate del proprio servizio sanitario non sono incoraggianti. Per il 31,7%, la sanità nella propria regione è in peggioramento, con un balzo di 10 punti percentuali in più nel 2012 rispetto al 2009, quando a sostenere questa tesi era il 21,7% dei cittadini. Quelli che avvertono invece un miglioramento sono diminuiti di oltre 7 punti percentuali. 

“I tagli alla sanità pubblica – si legge nel rapporto del Censis – abbassano la qualità delle prestazioni e generano iniquità. Per questo è prioritario trovare nuove risorse aggiuntive per impedire che meno spesa pubblica significhi più spesa privata e meno sanità per chi non può pagare”. Invertire quindi un trend che prevede, nel 2015, un gap di circa 17 miliardi di euro tra le esigenze di finanziamento della sanità e le risorse disponibili nelle regioni. 

Per questo la ricerca considera la sanità integrativa una opportunità e una risposta per avere un servizio sul territorio più equo e sostenibile. Spiega il Censis: “La sanità complementare in Italia è un universo composto da centinaia di Fondi integrativi, a beneficio di oltre 11 milioni di assistiti, che svolgono un ruolo ampiamente sostitutivo e colmano i vuoti dell’offerta pubblica”.

La ricerca di Rbm Salute-Censis ha riguardato 14 Fondi sanitari per oltre 2 milioni di assistiti e importi richiesti per prestazioni pari a oltre 1,5 miliardi di euro nel triennio 2008-2010. Il 55% degli importi dei Fondi integrativi ha riguardato prestazioni sostitutive (ricovero ospedaliero, day hospital, ecc.) fornite in alternativa a quelle del Servizio sanitario. Il restante 45% degli importi ha riguardato prestazioni integrative (cure dentarie, fisioterapia, ecc.). Tra le varie tipologie di Fondi integrativi esistenti, sono i fondi aziendali, rispetto a quelli istituiti dalla contrattazione collettiva nazionale, a garantire in misura maggiore la copertura anche alle famiglie degli iscritti.


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