Novi Ligure. Omar libero tra perdono e sospetto

Le reazioni della Comunità

05 Marzo 2010   23:41  

Qualche giorno fa lo Stato italiano ha liberato Omar Favaro, il giovane che assieme alla ex fidanzata Erika De Nardo si rese protagonista del noto massacro di Novi Ligure, datato 21 febbraio 2001.

Silenzioso e composto, protetto da berretto e sciarpa che gli nascondevano il volto, Omar ha definitivamente lasciato il carcere di Quarto d’Asti dover’era detenuto, e dove sembra abbia trascorso anni di impeccabile condotta.

Per via dell’indulto e di una richiesta di liberazione anticipata andata a buon fine, i 14 anni di condanna che il Tribunale per i Minorenni di Torino dispose per il ragazzo nel 2001 (resi poi definitivi dalla Cassazione nel 2003) sono stati ridotti a 9, rendendo possibile il ritorno alla vita di Omar.

Ai giornalisti ansiosi di ottenere un suo commento relativamente alla scarcerazione anticipata, e al ricordo indelebile del delitto che sconvolse l’Italia, il giovane ha risposto di aver estinto il suo “debito” e di voler “essere lasciato in pace”.  Ma qual è il debito che l’ormai 31enne Omar Favaro sostiene di aver pagato alla giustizia italiana?

 

IL FATTO

 

E’ la sera del 21 febbraio 2001 quando a Novi Ligure, in provincia di Alessandria, Susy Cassini(43 anni) e il figlio Gianluca De Nardo (12) vengono ferocemente assassinati all’interno della propria abitazione, una tranquilla villetta a schiera di due piani circondata da una siepe.

Presente sulla scena del crimine anche l’altra figlia della vittima, Erika, 16 anni, che però riesce a sottrarsi alla furia dei killer, descritti in seguito dalla stessa ragazza come malviventi  “albanesi fuggiti a bordo di una Fiat Uno bianca”.

Intanto Omar, il fidanzatino 17enne di Erika, racconta di aver raggiunto la villetta a delitto avvenuto, mosso dalla preoccupazione che una mancata telefonata della giovane avrebbe insinuato in lui.

E’ la prima ricostruzione e i media già cominciano a parlare di “stranieri fuori controllo e politica della sicurezza deficitaria”. Anche il padre di Erika, Francesco De Nardo, che dirige la Pernigotti locale, sembra avvallare l’ipotesi di una rapina andata male poi degenerata.

La ricostruzione della giovane tuttavia non convince gli investigatori. Troppi i dettagli fuori posto, deboli o persino assenti i segni di scasso, troppa la violenza inferta sui corpi della madre e del fratellino di appena 12 anni: il massacro non è scaturito da un maldestro e brutale tentativo di rapina, ma –come dirà uno degli agenti presenti sul luogo del delitto- da una vera e propria “esecuzione”, perpetrata con l’intenzione di massacrare, annullare, terminare le vite di Susy e Gianluca De Nardo.

La scoperta dei veri colpevoli sconvolge l’Italia. Qualcosa di ancora più orribile, sfuggente e inquietante di un duplice omicidio avvenuto per furto, si affaccia dai televisori dello Stivale, accendendo i riflettori su qualcosa che animerà i salotti mediatici per almeno un biennio.

Erika De Nardo e Omar Favaro sono i responsabili del massacro di Novi Ligure. Il movente non esiste e ammesso che esista è troppo debole per spiegare i fiumi di sangue versati dai corpi delle due vittime per mano dei due adolescenti.

La cattolica praticante Susy non amava il comportamento ribelle di Erika. Il fratellino Gianluca, chierichetto e figlio modello, un esempio scomodo per una ragazza nel pieno dei suoi problemi adolescenziali. Alcuni conoscenti ammettono una situazione familiare meno rosea di quanto apparisse in superficie. Gli psichiatri parlano di personalità sociopatica per Erika e plagio per Omar.

Ma il tutto è sempre più della semplice somma delle parti, e piccole ma subdole tensioni esistenziali confluiscono in qualcosa di folle e brutale. Qualcosa che può essere compreso, ma non spiegato. Qualcosa, che né il carcere duro né la minore età possono scalfire o ridimensionare, l’assurdo gioco di una devastazione umana che nemmeno i suoi artefici sanno identificare, quasi fosse stato qualcun ad armare le loro mani, ad ansimare nelle loro menti, a progettare lo scempio.

 

LA COMUNITA’

 

Oggi Omar è un ragazzo “tranquillo”. Negli ultimi anni di carcere gli è stato concesso di fare il giardiniere presso una cooperativa legata alla Caritas. I volontari ne hanno riconosciuto la discrezione e l’impegno.

Molti cittadini hanno reagito male alla notizia della sua scarcerazione. Ritengono che un massacro di tale entità non possa essere lavato con il carcere, tantomeno con una pena di 14 anni ridimensionata a 9. Una visione plausibile.

Per una volta però il sistema potrebbe aver funzionato. Darwin sosteneva che non v’è soluzione di continuità tra l’animale e l’essere umano. Successivamente Freud parlò di continuità tra sano a malato, in altre parole tra bene e male, luce e oscurità. Osho infine predicava l’esistenza di una “folla di persone” dentro ognuno di noi. Misteriosa moltitudine di volti in cui l’innocente e il carnefice non sempre s’incontrano con equilibrio, a volte sovrapponendosi, altre ignorandosi educatamente, per anni di insospettabile rigore comportamentale.

Ma se nella profondità di ogni individuo istinto animale malattia e oscurità coesistono -fino a fondersi- con la luce, la ragione umana e la salute psicofisica, qual'è il vero volto dell'essere umano e fin dove possiamo spingerci nel giudicare un uomo la cui bestiale aggressività ha preso il sopravvento sugli altri aspetti della sua anima?

 

Sinceramente …

 

Se Omar fosse mio fratello vorrei gli venisse data un'altra opportunità. Se avesse ucciso un mio caro vorrei probabilmente saperlo ancora dietro le sbarre, a scontare ognuno dei potenziali anni di vita tolti alla sua vittima.

In mezzo a tali estremi l’abisso caotico del mondo che perdona e sospetta, marchia e riabilita, trattiene e dimentica, in un vortice che privilegia la vita e sempre sublima la morte, anche quella sporca, atroce e inspiegabile di Novi Ligure.

 

 

 

Giovanna Di Carlo

 

 


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