Pellegrinaggio a Medjugorje: alla riscoperta dell'anima

09 Agosto 2011   13:29  

Si è concluso la scorsa settimana il pellegrinaggio a Medjugorje organizzato dalla parrocchia San Francesco di Pettino. Cinque giorni di riflessione, di preghiera, di conoscenza di un posto che desta la curiosità di tutti, credenti o meno. Ognuno in questo viaggio ha vissuto momenti unici, sono stati cinque giorni organizzati per tutti allo stesso modo, ma ad ognuno, dai tanti incontri, è arrivato un messaggio diverso e personalissimo, legato alle tante riflessioni sulla propria vita. È difficile scrivere su Medjugorje: è difficile trascrivere le tante sensazioni che si provano lì, dall'emozione all'amore, dalla fragilità al senso della vita.

Qualcuno parla di Medjugorje come della ''sua autostrada verso Gesù'' – qualcuno vive Medjugorje come il montare di una ''catarsi'' interiore che porta dopo tanti anni inesorabilmente alla riconciliazione con Dio, anche se si era giunti in quel luogo senza avere tale aspettativa. Altri vivono semplicemente la preghiera. Ed è proprio questa ultima – oltre alla confessione, al digiuno, all'Eucarestia e alle Sacre Scritture – uno dei cinque ''sassi'' lasciati dalla Madonna ai veggenti.

Medjugorje è noto come il luogo delle apparizioni della Madonna ai veggenti, apparizioni giornaliere e messaggi lasciati a veggenti vivi, che testimoniano la loro esperienza personale negli ultimi 30 anni. Anche il nostro gruppo incontra uno di loro: si tratta di Marija, che ci narra le difficoltà iniziali avute legate all'imparare a pregare e quelle causate dall'incredulità del potere terreno, se così si può dire. Nonostante tutto -ci dice - lei rifarebbe le stesse scelte per il grande amore che prova. La cosa bella di questo incontro è stato sentir parlare una persona con le sue fragilità umane, che accomunano un po' tutti, e non ti fanno sentire fuoriluogo anche se non sei 'perfetto' come cristiano e come credente. Ognuno viene accolto e condotto anche a piccolissimi passi verso Dio. Credo sia questo che genera quella serenità interiore che caratterizza chi ritorna da Medjugorje. Si riscopre l'importanza della preghiera e della cura della propria anima, tutto quello che in una società frenetica e consumistica che focalizza gli obiettivi in soldi e potere, vengono dimenticati. Poi ci si ritrova a dover combattere con le insoddisfazioni e le depressioni, ma quel malessere ha forse un origine molto più profonda. Come una separazione di un fanciullo da un genitore: il ragazzo che cresce lontano si abitua a sopravvivere, lavora, si sposa, ma non riesce mai a soffocare quel bisogno di ritrovare il padre e la madre.

Le persone raccontano di ''strani'' fenomeni del sole e altre 'anomalie' spiegabili o meno a coscienza delle persone: sembra quasi che la natura venga usata come mezzo di espressione della ''Presenza'' mistica. Qualsiasi cosa accada a Medjugorje il primo vero miracolo a cui si assiste è la preghiera. Milioni di persone di diversa nazionalità che pregano tutte insieme, ognuno nella sua lingua, le une accanto alle altre, con un tangibile senso di fratellanza.

Certo è che se si fosse così predisposti ad ''ascoltare'' ed a ''guardare'' come lo si è a Medjugorje, forse anche nella nostra vita quotidiana riusciremo a vedere oltre ai nervosismi nel traffico, alle corse quotidiane, alla stanchezza del lavoro.

Tante domande che lì non ho fatto ora mi vengono in mente: come si vive veramente in quel posto dove la gente conversa nei bar sui temi religiosi e dove tutto si ferma all'ora dell'apparizione – almeno da quanto ho visto intorno alla Chiesa? Dalle tante Comunità che abbiamo visitato in questi giorni sembra che anche in questo luogo benedetto ci siano dei problemi comuni ai nostri: quello degli orfani, degli anziani, delle droghe e dell'alcool. Queste Comunità, ai nostri occhi, sembra che si sostengano grazie ad una particolare ''Provvidenza''- formata da una rete di contatti volontari che portano i pellegrini in visita, oltre alle elargizioni volontarie di persone che qui hanno proprio cambiato la loro tipologia di vita.

Nel primo posto che visitiamo – la Comunità Cenacolo – è una suora che con tanta determinazione riesce a trovare lo strumento per la salvezza di tante persone, giovani e non, che attraverso il lavoro e, successivamente, con la preghiera, è come se fossero rinate. Hanno imparato ad amare se stessi e gli altri, a vivere insieme, a fare quelle cose che prima criticavano (come andare a letto presto) e spogliarsi di quelle abitudini e quel benessere dei nostri giorni in funzione degli altri. Quando queste parole escono dalla voce di un ragazzo di 25 anni che si è disintossicato dalla droga ed ha capito che vive bene anche senza la tv, il cellulare e tutto ciò che hanno i ragazzi della sua stessa età, che si sente soddisfatto dal servizio sociale che fa e dalla fede, ti arriva letteralmente uno schiaffo in faccia.

Io personalmente un altro sonoro 'ceffone' l'ho ricevuto anche alla Comunità che si occupa degli orfani. Qui mentre una delle volontarie ci parlava di Padre Slavko - il fondatore di quel posto e Padre particolarmente importante per Medjugorje – e, dunque, ci narrava di come sono state progettate le singole case del posto per accogliere gli orfani e farli sentire ''a casa'' in un ambiente più ristretto e più simile a quello familiare, ho capito che queste persone hanno proprio trovato il senso della vita, quel senso che, nella società odierna, non tutti hanno, confuso tra gli obiettivi comuni di lavoro, benessere ecc.. Mi piacerebbe fare un sondaggio a riguardo per sapere quale è lo scopo delle persone, e, seppur questo esiste, sapere se, veramente, le appaga.

(Emanuela Bruschi)


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