Dalla Costa d'Avorio ci scrive il dottore abruzzese Piero Iovennitti , impegnato a dirigere, per il progetto Afrique, Centre
Médical Saint Louis Orione d’Anyama. Nell’anno 2007 la prevalenza dell’HIV in Costa
d’Avorio, nella popolazione di età compresa tra i 15 e i 45 anni, si è
attestata tra il 3,2 e il 4,5% (il tasso più alto in Africa occidentale
assieme al Camerun e al Gabon), mentre in Botswana, Lesotho e Swaziland
tale percentuale ha superato addirittura la soglia del 20%. Sempre
nello stesso anno la prevalenza dell’infezione tra le donne gravide ha
raggiunto l’8% in Costa d’Avorio.
" Il virus dell’HIV ha vinto ancora una volta le
elezioni. Non c’è opposizione che tenga, l’HIV è salito sul gradino più
alto. Ha fatto man bassa di anime ed è stato eletto all’unanimità
“Presidente della Repubblica della Morte”. Il suo governo di alleanze
trasversali con il partito della malaria e quello della tubercolosi
detiene la maggioranza dei seggi.
Con l’acronimo HIV si intende il
“virus dell’immunodeficienza umana” responsabile della sindrome
dell’AIDS che sta per “sindrome dell’immunodeficienza acquisita”. In
poche parole il virus dell’HIV può essere trasmesso da una persona
infetta ad un’altra sana causando, in seguito, una serie di sintomi e
segni clinici inquadrabili in una sindrome. Sembra certa la relazione
tra il virus dell’HIV e la sindrome dell’AIDS, anche se alcuni studiosi
mettono in dubbio tale nesso.
Esistono due ceppi del virus, ossia
l’HIV-1 e l’HIV-2 dove il primo è il più diffuso e il più virulento. Il
virus sopravvive in ambiente esterno per quasi due ore ed è ucciso
dalla candeggina, dall’alcool a 70% oppure se viene esposto ad una
temperatura superiore ai 60°C. E’ invece nel corpo umano che l’HIV
trova il suo ambiente naturale.
Il virus é stato isolato in diversi
liquidi biologici come il plasma, le secrezioni vaginali, lo sperma e
il latte materno, e, in quantità ridotta nella saliva, nelle urine,
nelle lacrime e nel liquido cefalorachidiano. Si è quindi giunti alla
conclusione che i liquidi biologici implicati nella trasmissione
dell’HIV sono essenzialmente il sangue, le secrezioni vaginali, lo
sperma e il latte materno che contengono il virus in quantità
sufficiente rispetto agli altri.
L’HIV può essere trasmesso tra gli
esseri umani attraverso tre modalità. La prima e la più frequente è
quella sessuale, ossia attraverso rapporti sessuali non protetti tra
una persona infetta e una sana (sia tra eterosessuali che omosessuali).
La seconda via è attraverso il sangue e i suoi derivati e coinvolge in
particolar modo chi fa uso di droghe per via endovenosa e si scambia le
siringhe, chi riceve trasfusioni di sangue infetto, chi utilizza aghi e
strumenti non sterili per eseguire agopuntura, mesoterapia, tatuaggi o
piercing, e infine gli operatori sanitari che si espongono
accidentalmente e traumaticamente al sangue di un sieropositivo.
L’ultima via di trasmissione è quella in cui una madre sieropositiva
può trasmettere al figlio l’infezione sia durante le ultime settimane
di gravidanza, sia nel corso del parto che in occasione
dell’allattamento.
Una volta che il virus dell’HIV penetra
nell’organismo di un essere umano è capace di distruggere alcune
cellule del nostro corpo e in particolare i linfociti T-CD4 implicati
nei meccanismi della risposta immunitaria. Il virus ha quindi come
effetto più importante quello di abbassare le difese immunitarie
dell’ospite (immunodepressione) favorendo così l’insorgenza di alcune
gravi infezioni opportunistiche e di particolari neoplasie.
Si
diviene sieropositivi (ossia quando il nostro corpo inizia a produrre
anticorpi contro il virus) dopo 4-6 settimane dal contagio, ma si può
trasmettere l’infezione anche prima di questo periodo anche se si è
sieronegativi (il famoso e temibile “periodo finestra” in cui il
soggetto infetto non è positivo al test, ma può trasmettere
l’infezione). Invece, il lasso di tempo che intercorre tra l’essere
divenuti sieropositivi e l’insorgenza di una o più infezioni
“opportunistiche” (ossia infezioni causate da alcuni microrganismi che
se presenti in un soggetto non immunodepresso non si comportano da
patogeni) può durare anche diversi anni. Quando ciò avviene si entra in
una fase sintomatica grave (AIDS conclamata) in cui il soggetto è
colpito da particolari forme di polmonite, dalla tubercolosi, da certe
micosi, da diarree e da alcuni tipi di tumore come i linfomi e il
sarcoma di Kaposi. Le fasi terminali della malattia sono caratterizzate
da un sopravvento delle suddette manifestazioni cliniche su di un
paziente oramai completamente immunocompromesso e defedato.
La
prognosi della persona sieropositiva dipende da un tempestivo
inquadramento clinico e, quando vi è l’indicazione, da una corretta
somministrazione delle terapie antiretrovirali che hanno come effetto
principale quello di ritardare la replicazione virale, ma non quello di
eliminare il virus. In poche parole, oggigiorno, l’AIDS è curabile, ma
non guaribile. Vuol dire che il sieropositivo, se curato, può vivere
più a lungo di chi non riceve alcuna terapia ritardando l’insorgenza
dell’AIDS. Nonostante gli sforzi fatti e il fiume di denaro impiegato
non esiste a tutt’oggi un vaccino contro l’HIV e probabilmente non sarà
disponibile per molti altri anni.
Restano comunque molte ombre
sull’origine del virus e di come si possa essere diffuso sul pianeta.
Secondo alcuni studi sembra che il virus dell’HIV sia comparso in
Africa centrale agli inizi del XX secolo quando alcuni uomini vennero a
contatto con un virus animale chiamato SIV (virus dell’immunodeficienza
della scimmia) contenuto nelle carni macellate di alcuni scimpanzé. Si
ipotizza che il SIV si sia trasformato nell’HIV una volta passato dalla
scimmia all’uomo. Alcuni localizzano l’epicentro della prima infezione
nella metropoli di Kinshasa (capitale dell’attuale Repubblica
Democratica del Congo). Da qui, grazie a una diffusione interumana su
larga scala, il virus sembra essersi diffuso in tutto il mondo. Mentre
in occidente la maggior parte dei sieropositivi si contano soprattutto
tra le categorie cosiddette “a rischio” (tossicodipendenti, prostitute
ed omosessuali), nei paesi in via di sviluppo le persone infette si
ritrovano trasversalmente in ogni categoria comprese quelle a “basso
rischio”.
Secondo i dati pubblicati dall’UNAIDS il numero di
sieropositivi nel mondo ha superato i 33 milioni nel 2007 con un numero
di decessi legati all’HIV pari a circa 2 milioni, mentre il numero di
nuovi contagi è stato vicino ai 3 milioni. Il 67% dei sieropositivi (22
milioni) vive nell’Africa sub-sahariana, dove si concentra anche il 75%
delle morti per AIDS.
Nell’anno 2007 la prevalenza dell’HIV in Costa
d’Avorio, nella popolazione di età compresa tra i 15 e i 45 anni, si è
attestata tra il 3,2 e il 4,5% (il tasso più alto in Africa occidentale
assieme al Camerun e al Gabon), mentre in Botswana, Lesotho e Swaziland
tale percentuale ha superato addirittura la soglia del 20%. Sempre
nello stesso anno la prevalenza dell’infezione tra le donne gravide ha
raggiunto l’8% in Costa d’Avorio.
Si stima che nel 2007 potessero
esserci nel mondo circa 2 milioni di bambini sieropositivi di età
inferiore ai 15 anni di cui il 90% in Africa sub-sahariana. La quasi
totalità di questi bambini ha contratto l’infezione durante la
gravidanza, il parto oppure l’allattamento.
Le donne rappresentano
nel mondo il 50% dei sieropositivi, mentre tale percentuale raggiunge
il 60% nell’Africa sub-sahariana. Si prevede, inoltre, che nel 2010 gli
orfani per AIDS saranno oltre 20 milioni.
Nonostante in questi
ultimi anni si è registrato un certo miglioramento nella sopravvivenza
dei sieropositivi e nella diffusione dei farmaci antiretrovirali, la
situazione resta ancora critica e appare probabile una sottostima
dell’epidemia. Si calcola che in Africa sub-sahariana soltanto il 12%
degli uomini e il 10% delle donne si è sottoposto al test per l'HIV.
Infatti, resta preoccupante l’immenso serbatoio di sieropositivi non
diagnosticati, ossia coloro che possono trasmettere l’infezione senza
sapere di essere malati.
Da circa quattro mesi abbiamo ottenuto
l’autorizzazione di poter effettuare presso l’ospedale di Anyama il
test gratuito e rapido per l’HIV e da allora ci siamo veramente resi
conto di come questa terribile infezione sta decimando l’Africa. Ogni
giorno diagnostichiamo tre-quattro donne sieropositive e tra queste la
maggior parte gravide. Proponiamo ogni volta alla donna di far eseguire
il test anche al marito, ma molto spesso senza successo. La società
rifiuta questa malattia e chi ne è colpito viene di solito
stigmatizzato ed allontanato. Un tessuto sociale povero e smembrato
come quello africano ancora non è in grado di affrontare nella giusta
dimensione la problematica dell’AIDS. Ecco che coloro che ne sono
colpiti vivono in solitudine la propria tragedia aspettando una fine
quasi certa.
Una mattina come tante altre l’addetto al counseling
pre-test (ossia la procedura che informa le donne che afferiscono al
nostro centro sull’utilità di sottoporsi al test registrandone il
consenso) bussa alla mia porta. Devo firmare la lettera che ogni donna
diagnosticata positiva al test deve consegnare al dipartimento di
“prise en charge”.
Leggo il nome della malata e una scossa violenta
percorre il mio corpo. Riconosco di chi si tratta leggendo le sue
generalità. Il suo nome è Salimata, una ragazza di etnia djoula di
appena 22 anni che seguo in consultazione prenatale da qualche mese.
Moglie di un coltivatore di cola, si era sposata da quasi un anno.
Ricordo ancora adesso la sua eleganza e i suoi tratti fini tipici di
una delle più belle etnie africane. I suoi occhi grandi, scuri e
allungati sormontavano un naso perfetto e delle labbra incantevoli. La
sua testa allungata era adornata da un copricapo simile a un turbante
che portava in ogni occasione.
La pelle scura e lucida contrastava
piacevolmente con i vestiti leggeri ed eleganti di color celeste o
arancione. I suoi polsi erano circondati da bracciali d’argento e
portava ai piedi sandali a punta chiusi sul davanti. Si era innamorata
di un uomo di venti anni più grande di lei e non ascoltando i consigli
dei suoi genitori aveva deciso di sposarlo.
Suo marito lavorava nei
campi tutto il giorno e solo all’imbrunire tornava a casa. Aveva preso
l’abitudine di uscire dopo cena e quando rincasava ubriaco abusava di
Salimata che dopo un paio di mesi era rimasta incinta. Solo quel figlio
che cresceva in lei le dava la forza di andare avanti e ogni sera
accarezzava il suo pancione aspettando terrorizzata che il marito
tornasse da un momento all’altro. Il suo sogno d’amore era ben presto
diventato un incubo. In occasione di ogni consultazione prenatale mi
raccontava tutto quello che passava lasciando che una lunga lacrima che
le rigasse il volto rattristito. Un giorno, senza dover troppo
insistere, l’avevo convinta a fare il test per l’HIV.
Lunedì 11
agosto 2008, ore 12,30. Una certa Marthe, anni 55, chiede di vedermi.
Da qualche minuto stringe tra le dita un foglio sgualcito che contiene
la sua condanna: sieropositiva per il virus HIV-1. Non ci sono dubbi,
ma quello che mi colpisce è la sua serenità nell’apprendere la notizia.
Mi racconta che suo marito era morto da circa due anni dopo che era
uscito di casa da cinque per andare a vivere con un’altra donna.
Era
morto di AIDS e aveva contagiato sua moglie qualche anno prima. Si
diceva nel villaggio che quell’uomo andava con troppe donne e che si
sarebbe prima o poi ammalato. Marthe aveva pianto la morte di suo
marito, anzi era riuscita anche a perdonarlo. Ma da qualche giorno lei
non si sentiva troppo bene. Era diventata debole e dimagriva a vista
d’occhio. Poi una serie di attacchi di diarrea l’avevano buttata a
terra e quando sembrava essersi ripresa una strana febbre e delle
tumefazioni al lati del collo l’avevano assalita. I suoi figli volevano
portarla ad Abidjan a farla vedere da qualche medico, ma lei, come se
sapesse già tutto, aveva deciso di sottoporsi al test.
L’HIV
si nasconde abilmente per anni sotto la pelle, scorre silenzioso nel
sangue sino a quando decide di esplodere con tutta la sua potenza. Sega
in due le gambe, squassa le visceri, prosciuga il corpo, inietta gli
occhi di sangue, spacca i polmoni, in poche parole distrugge. Annienta
e cancella interi gruppi e si diffonde a macchia d’olio.
Piero
Il PROGETTO AFRIQUE consiste in un Centro Sanitario in Costa d’Avorio costituito da una struttura ostetrico-ginecologica (con una sala travaglio, una sala parto, due sale operatorie, un'isola neonatale e 40 posti letto), un centro poliambulatoriale (oculistico, internistico e cardiologico), un centro vaccinazioni, una radiologia e un laboratorio analisi. Il Centro Sanitario è denominato Centre Médical Saint Louis Orione d’Anyama (CMSLO).
Il progetto è portato avanti dalla Congregazione delle Piccole Suore Missionarie della Carità in collaborazione con l’Associazione Progetto Afrique ONLUS.
La struttura ospedaliera si trova nella città di ANYAMA che conta oltre 200.000 abitanti e dista una ventina di chilometri dalla metropoli Abidjan (capitale economica della Costa d’Avorio).
L'obiettivo del progetto è quello di offrire agli abitanti di Anyama e della Costa d’Avorio un’assistenza medico-chirurgica in ogni periodo della gravidanza e della vita. Un’opera non solo sociale, ma anche didattica per formare nuovi professionisti locali pronti a far crescere sempre di più l’attività iniziata e a recarsi dove c’è bisogno.
info: segreteria.afrique@yahoo.it
+39 349 2146690