Perdonanza celestiniana: la fiammella della speranza e la sete di giustizia

24 Agosto 2011   13:05  

Come un brivido di luce ha attraversato il cuore antico della città, ha illuminato di speranza i suoi ruderi, la fiaccola di Celestino V, e i volti di migliaia di cittadini che si sono stretti ieri sera a piazza Palazzo a L'Aquila intorno al sacro tripode, come fosse un focolare di di una casa perduta.

E' cominciata così, sotto i migliori auspici e come vuole la tradizione, la Perdonanza numero 717 Peccato solo che per ragioni di sicurezza non sia stato possibile colorare il cielo sopra palazzo Margherita con i fuochi di artificio.

Il perdono e la speranza, i temi eterni del giubileo aquilano. Ma non solo. Nei discorsi del massime autorità civili e religiose, parole non banali e tutt'altro di circostanza, scandite a tratti da lunghi applausi: ''Perché la ricostruzione non parte? Quale è il male oscuro che la blocca?'',  ha ad esempio tuonato l'arcivescovo Giuseppe Molinari, chiedendo aiuto a Celestino, il cui pontificato fu determinante per le fortune e le glorie della città all'alba della sua secolare e tormentata storia. E di giustizia, più che di perdono e riconciliazione, ha parlato il sindaco Massimo Cialente.

Oltre le transenne la città proibita, immobile, in attesa. Gli aquilani più che il perdono, stanno apprendendo la virtù della pazienza, e il perdono, eventualmente, sussurra qualcuno, dovrebbe essere chiesto a chi è al potere, quel potere che per coerenza e non per viltade, fu rifiutato da papa Celestino, al secolo Pietro da Morrone, eremita e santo.


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