Polo elettronico, la crisi dell'industria aquilana

28 Maggio 2012   10:18  

Crisi e deindustrializzazione. Sintesi efficace del momento storico che vive il territorio aquilano. Una congiuntura economica negativa, che affonda le radici lontano e a cui il sisma del 6 aprile 2009 ha inferto solo il colpo finale.

Sul polo elettronico, per decenni “anima” e motore dello sviluppo locale, è ormai sceso il sipario. Gli ultimi scampoli di quella che fu la “grande fabbrica”, capace di dare lavoro a 5mila dipendenti negli anni d'oro del boom industriale, sono finiti nel dimenticatoio. Aziende satelliti schiacciate dal peso dei mercati internazionali, in liquidazione o in vendita.

Il capannone di Pile, semivuoto e in rovina, sembra un gigante addormentato. Decenni di battaglie e mobilitazioni non sono bastate a garantire il futuro industriale dell'Aquila e del suo comprensorio. E se, sul piano economico, pesano la perdita di centinaia di posti di lavoro e la mancanza di aziende in grado di far crescere l'occupazione, a lasciare l'amaro in bocca è la storia stessa del polo elettronico.

Una storia scandita da picchi di crescita, prima, e un inesorabile e lento declino, poi. Passaggi salienti contenuti nel libro “L'Aquila e il polo elettronico. Retroscena di una crisi”, che ho pubblicato nel 2005. Ne ripropongo alcuni passaggi, nel tentativo di stimolare un dibattito che si avvolge troppo spesso sulle stesse, superate, spirali. Analisi, scambi di accuse e deboli proposte che non hanno prodotto, finora, alcun risultato.

“Sono lontani i tempi in cui, nel vecchio stabilimento Marconi, nato dopo il bombardamento della Zecca (dicembre 1943), i primi camici azzurri presero servizio. 800 operai e l'ambizione di creare intorno a catene di montaggio e tubi elettronici, lavoro e occupazione. Il vero boom industriale per L'Aquila arriva alla fine degli anni Sessanta con l'avvento della Sit-Siemens, del gruppo Stet che, al suo interno, possiede la forza motrice del colosso delle telecomunicazioni, la Sip.

L'azienda cresce, si espande e nel 1975 apre i cancelli, a Pile, lo stabilimento Italtel: il battesimo ufficiale del polo elettronico aquilano, che dà lavoro a una famiglia aquilana su cinque”. Numeri da brivido, se paragonati alla flessione attuale del mercato.

Negli anni Ottanta del secolo scorso, sotto la guida della manager italiana per eccellenza, Marisa Bellisario, l'azienda tocca quota 5mila operai.

“Un numero destinato a decrescere con l'andamento altalenante del mercato, che fa perdere a Italtel quasi 2mila occupati. La logica del profitto non lascia spazio all'immaginazione. Spuntano i primi pensionamenti, viene adottata la misura-tampone della mobilità, panacea, non soluzione.

La fabbrica di Pile cambia continuamente cartello, da Italtel a Siemens, tutt'intorno spuntano aziende satelliti, destinate a vita breve. E' il caso dell'Ada e del Calzaturificio aquilano, entrambe chiuse per fallimento. La conta dei danni annovera 400 dipendenti senza più lavoro. Troppo distanti dalla pensione, troppo anziani per essere ricollocati sul mercato.

Quindi, disoccupati...” Nel 1999 Italtel stringe un patto con Siemens e cede alla società tedesca il 50 per cento delle quote azionarie. Il nuovo piano di riorganizzazione, seguito da un processo di “outsorcing”, porta all'esternalizzazione dei servizi. La fabbrica, ridotta a 1700 dipendenti, vive una fase di declino senza precedenti, che sfocia nella separazione tra Italtel e Siemens.

Quest'ultima otterrà la gestione dello stabilimento aquilano: nel 2000 nasce Siemens Information and communication (Icn), che presenta un piano industriale con 800 esuberi. L'Aquila reagisce con una mobilitazione massiccia, giorni di fuoco, scioperi e blocchi stradali. Le cronache dell'epoca raccontano i giorni “caldi” del Capoluogo che tenta disperatamente di salvare la manodopera.

“A distanza di pochi mesi si registra il passaggio di consegne tra Siemens e Flextronics. L'ennesimo capitolo buio per il polo elettronico che perde pezzi: Lares Tecno, Marconi, Policarbo. Fallisce anche la missione Flextronics: la multinazionale americana, dopo due anni in azienda, abbandona il campo.

E' il Governo a prendere in mano le redini della vertenza per tentare un salvataggio in extremis. La scelta cade su Finmek, amministrata da Tronchetti – Provera. Ma dalla Finmek Solution al fallimento il passo è breve”. Dei 550 lavoratori messi alla porta dall'azienda, in 200 attendono ancora una soluzione che li traghetti definitivamente verso la pensione, laddove i requisiti lo consentono, o che apra una nuova era di crescita industriale. Difficile, di questi tempi.

Con la crisi internazionale che incombe, un Paese debole, troppo, e una città da ricostruire, finanche nel tessuto sociale. Dell'epopea dal polo elettronico resta ben poco: cancelli chiusi e un piazzale desolatamente vuoto. La scritta “Finmek Solution”, all'ingresso dello stabilimento, evoca solo ricordi lontani. Come il polo elettronico, con i suoi 5mila occupati. In questo angolo d'Abruzzo, battuto dalla furia della natura, c'è ancora il coraggio di lottare. Malgrado tutto. E di pensare ad un futuro, per i giovani aquilani”.

Monica Pelliccione


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