Prata d'Ansidonia, cenni storici e turistici

05 Luglio 2012   12:54  

Prata D’Ansidonia È situato a 846 m. s.l.m. lungo la strada che unisce la Subequana 261 con la S.S. 17, in luogo montuoso.
Il nome “Civitas Sidonia” cioè città di Sidonio, a cui erano stati donati i ruderi di Peltuinum e la campagna circostante, in seguito venne trasformato in Ansidonia. Prata D’Ansidonia sorse, con Castelnuovo e S. Nicandro, dalla distruzione di Peltuinum da parte dei Franchi tra l’ottavo e il nono secolo.
Il centro era diviso in due ville, Villa Prata e Castello Camponeschi.
Con San Demetrio e Sinizzo, Prata D’Ansidonia faceva parte della terra “Sinitiensis”. Insieme a San Nicandro dipendeva dalla diocesi di Valva come terra di confine. Nel 1254 prese parte alla fondazione dell’Aquila. Nel 1385 era feudo degli Orsini, e nel 1586 ne era barone Ortenzio del Pezzo, fu poi feudo della famiglia Nardis dell’Aquila.
È un paese che alle bellezze naturali unisce tesori archeologici, storici ed artistici, come le necropoli del VI sec. a.C. La città romana di “Peltuinum” del III sec. a.C.; la chiesa di S. Paolo del V sec. d.C. ed il medioevale Castel Camponeschi. Anche la chiesa parrocchiale di S. Nicola, costruita sui resti di quella preesistente alto medioevale, è ricca di interessanti opere artistiche, come il magnifico ambone in pietra lavorata, che anticamente si trovava nella chiesa di S. Paolo. Di particolare importanza sono l’organo, il legno dipinto situato sopra l’ingresso, il bel portale e il coro ligneo nella cappella della confraternita, opera dell’artista Sabatino Tarquini, allievo del Patini. L’interno della chiesa è a una navata con cappelle laterali aventi stucchi tardo barocchi e neoclassici con annessa una torre campanaria a base quadrangolare.
Nei pressi di Prata D’Ansidonia, lasciando la strada asfaltata, si prende a destra una strada di campagna che conduce dopo circa un chilometro a Castel Camponeschi, nucleo fortificato, così chiamato dall’ultimo proprietario. Risale al sec. XII- XIII e fu ricostruito dopo il terremoto del 1703 completamente disabitato, oggi è in via di ristrutturazione per essere utilizzato come centro di attività culturali e ricreative. La struttura è caratterizzata da due porte di accesso a sesto acuto unite da una strada principale da cui partono brevi diramazioni. Resistono ancora i muri di sostegno della chiesa patronale di S. Pietro, sul cui portale si legge la data 1313. Le torri innestate sulla cinta muraria sono di varie forme, pentagonali, quadrangolari e circolari.
Da Prata D’Ansidonia, proseguendo in direzione della S.S. 17, sulla strada asfaltata che conduce a Castelnuovo di S. Pio delle Camere, si giunge alle rovine dell’antica città romana di “Peltuinum”, città dei Vestini fondata durante il I sec. a.C., nel passaggio dalla Repubblica al Principato, coincide col momento della municipalizzazione romana.
Entrò nell’orbita di Roma, fu ascritta alla tribù Quirina ed ebbe vasta giurisdizione estendendosi fino alla valle del Tirino. Fu tra le poche città d’Italia ad aver conservato anche in epoca imperiale la condizione di prefettura.
Teatro recentemente di diverse campagne di scavo che hanno riportato alla luce i ruderi di un teatro in “opus reticulatum” un anfiteatro e un luogo di culto, nonch é mosaici e nuclei di tombe.
Questo centro veniva attraversato dalla Claudia Nova e in epoca medioevale dal regio tratturo Antrodoco- Foggia. La sua ubicazione, nodo importante di traffici commerciali, ne favorì lo sviluppo, che è documento importante della storia economica dell’area Aquilana in età Romana. La porta ovest era costituita da tre torrioni, due dei quali a specifica protezione della porta e doveva essere a doppio fornice con pilastri a pianta rettangolare. Dell’originaria struttura in opera quadrata rimangono soltanto le impronte dei blocchi e alcuni conci degli archi. Dopo la fine di Peltuinum diviene punto di controllo del passaggio tratturale, vi si impianta un ufficio doganale. L’impianto della viabilità è ortogonale all’asse centrale della Claudia Nova, che attraversa in senso longitudinale la città, è del tipo glareata, cioè una massicciata di ciottolini misti a sabbia, in modo da permettere meglio il drenaggio delle acque in un sito non perfettamente pianeggiante e terrazzato. La città ha una razionale divisione per zona (politica, religiosa, abitativa, etc.). Dagli scavi effettuati sembra che la distruzione della città sia avvenuta in seguito ad un evento catastrofico, in quanto i solidi colonnati riportati alla luce presentano, tutti alla stessa altezza, un taglio netto. “Peltuinum” aveva subito, però, prima della sua distruzione definitiva, altre distruzioni, da quelle della guerra gotico-bizantina a quelle operate dai Longobardi e dai Franchi. Le genti superstiti fondarono altri nuclei abitati nelle vicinanze e per la costruzione si servirono del materiale che poterono recuperare dagli edifici in rovina. In età medioevale Peltuinum diviene una cava di materiale da costruzione per gli insediamenti civici ed ecclesiastici circostanti. Sono state riportate alla luce alcuni tratti di strade ortogonali, opere di terrazzamenti, impianti di domus con pavimento in coccio con motivo di mosaici a rosette, pozzi, tabernae ed altre strutture con elementi architettonici antichi riutilizzati nel tardo impero, si è rimessa in luce anche una particolare domus a mosaico pavimentale, il cui emblema, circoscritto ad un motivo a cane corrente, conteneva il nome del proprietario. Di questa abitazione di riguardo è sintomatico l’anno di fondazione (27 a.C.) ed il suo parziale rifacimento in epoca post caligoliana, datazioni che si ricavano con precisione grazie al rinvenimento di due monete in due punti diversi della malta di base del pavimento. Sono stati rinvenuti ulteriori elementi che avvalorano l’ipotesi di un insediamento Peltuinate almeno dal III sec. a.C., fra i quali un frammento di ciotola a vernice nera con bollo a X e quattro puntini ed un altro graffito a lettere arcaiche Q.M. Il foro su un’ampia piazza è un grande tempio circondato da un portico o “temenos” a ferro di cavallo quadrato con muro di fondo in opera reticolata. Il porticato che si raccorda al tempio all’altezza della fonte, poteva avere due ingressi in posizione speculare di cui sono visibili alcuni tratti murari e in parte le fondazioni originariamente a sei colonne frontali di ordine corinzio. Sorgeva nel settore meridionale della città. Il complesso monumentale poteva fungere da quinta per una vasta area forense gravitante sull’asse principale della città e allo stesso tempo da cerniera urbanistica tra questa e il teatro. Scendendo nella parte sottostante troviamo quello che anticamente era il supporto del teatro, orientato verso l’ampia vallata sottostante che per tecnica costruttiva, dimensioni e conservazione di alcuni elementi è certamente uno dei monumenti più significativi del mondo Romano dell’Italia centrale. Il teatro, costruito internamente al perimetro delle mura, poggiava su un grande terrazzamento formato da due corpi: il teatro vero e proprio cioè la cavea con l’orchestra e la scena e la grande “PORTICUS AD SCENAM” dove si riparavano gli spettatori in caso di pioggia, quest’ultimo elemento è tipico dei teatri più importanti.
Nelle vicinanze di Peltuinum possiamo ammirare la chiesa di S. Paolo sorta nell’XI sec., sulle rovine di un antico tempio pagano. Gran parte del materiale utilizzato proviene dalla vicina Peltuinum. L’interno ad una navata si allarga nel transetto privo di abside e mostra la parete destra con quattro arcate che vi si appoggiano. In quella sinistra in muratura si notano tracce di arcate, probabilmente disposte come nella parete di fronte. Ha una iconografia, rara per una chiesa Abruzzese del XII secolo, mentre la facciata ha le caratteristiche delle antiche costruzioni benedettine con la parte centrale avanzata dove si apre lo stretto portale il cui architrave è sorretto da capitelli e sormontato da una piccola ruota a traforo; all’altezza di questa, le due ali sono segnate da una cornice romana di basamento. Fu ricostruita nel XII secolo dalle maestranze benedettine della scuola valvense e forse fu una “cella ” o propositura alle dipendenze di qualche abbazia vicina.
Da Prata D’Ansidonia, inoltrandoci nella provinciale che conduce a S. Pio delle Camere, a destra su un colle detto “croco” possiamo ammirare il centro di origine alto medioevale di Tussio.
La tradizione racconta che gli abitanti dei due centri, Altavilla e Casale di Tarpea, colpiti come l’intera regione dalla peste, preferirono, terminata l’epidemia, andare ad abitare nelle grotte del monte Croco per avere dimore in “località asciutta, salubre e meno soggetta ai terremoti ”. In accordo con i monaci di Bominaco che li avevano assistiti e curati durante le due calamità, si stabilirono in questo nuovo sito e lo denominarono masseria dei monaci. Sempre la tradizione narra che nel 1160 nascesse alla masseria un bambino a cui fu imposto il nome di Tussio. Il luogo fu abitato già in epoca romana, come testimonia il rinvenimento di antiche iscrizioni e di due leoni in pietra riferibili all’arte romana del I sec. d. C., dei quali uno viene custodito nei pressi della chiesa parrocchiale, l’altro non del tutto integro nel museo nazionale d’Abruzzo, nell ’Aquila. Probabilmente questi reperti appartennero ad un’antica tomba.
L’aspetto del paese è tipicamente medioevale con archi e viuzze strette, dotato di due portoni d’ accesso la chiusura dei quali lo isolava in un’autonomia di difesa. Di notevole interesse artistico è la chiesa parrocchiale costruita utilizzando i resti di un antico castello; ha sei cappelle ai lati, di cui quattro provviste di altari decorati con stucchi ed affreschi del sec. XVI e XVII. Di grande valore artistico è anche l’organo racchiuso in una preziosa cassa in legno di noce artisticamente intagliata. Altra frazione di Prata è S. Nicandro, edificato sul territorio dell’antica Leporanica, sorse come borgo non fortificato. Partecipò alla fondazione dell’Aquila. L’abitato fu distrutto nel 1392 e poi riedificato. Viene ricordato nelle cronache della guerra tra L’Aquila e Braccio da Montone. Alcune iscrizioni lapidarie testimoniano la sua esistenza in epoca romana. Notevole il palazzo Baronale dei Cappa. La parrocchiale è dedicata a S. Nicandro protettore del paese e nella piazza prospiciente è eretta una croce in pietra, la quale secondo la leggenda veniva usata quando si dava l’assoluzione ai condannati a morte che durante il tragitto verso l’esecuzione riuscivano a toccarla. In alto su un colle sono ancora chiaramente visibili i ruderi del castello di Leporanica.


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