Primarie, Vittorio Festuccia: l'intervento dell'antropologo Jan-Jonathan Bock

20 Febbraio 2012   10:07  

Di seguito proponiamo la copia dell'intervento svolto dall'antropologo dell'Università di Cambridge Jan-Jonathan Bock in occasione di un incontro della campagna d'ascolto promossa dal Dott. Vittorio Festuccia per le primarie 2012

Buona sera a tutti!

Sono Jan Bock,

Buona sera a tutti!

Sono Jan Bock, un antropologo e ricercatore dell’Università di Cambridge in Inghilterra. Sarò all’Aquila almeno per un anno per fare ricerca – comprendere come una città e una popolazione possano riuscire a ritrovare la forza per continuare, ricominciare, e ricostruire la propria comunità dopo l’esperienza della distruzione e della dispersione sociale causate dal terremoto.

Sono molto felice oggi di avere l’opportunità di condividere con voi non solo alcuni aspetti della mia ricerca ma soprattutto le sensazioni che ho provato uno volta giunto all’Aquila. Ringrazio Marino Bruno, Vittorio Festuccia, e Betty Leone per avermi dato la possibilità di partecipare a questo incontro.

Innanzitutto mi scuso per il mio italiano ma sono arrivato solamente da un mese e non so parlare perfettamente. Ma spero che sarà possibile comunicarvi i miei pensieri.

Nell’aprile del 2011 sono venuto all’Aquila per una ricerca preliminare di tre settimane: ho cercato di capire i processi sociali della memoria due anni dopo il sisma.

La memoria e i suoi processi di articolazione sono dei meccanismi essenziali per una comunità che cerca di superare l’esperienza di un evento distruttivo avvenuto nel passato. La scienza antropologica ha mostrato che dopo un evento molto tragico e destabilizzante le persone hanno bisogno di condividere le diverse esperienze del dolore e della pena. La memoria è un processo sociale – e la gente deve stare insieme per consolarsi e capire che il proprio trauma è un’esperienza da condividere con gli altri. La comunicazione sociale e la collaborazione sociale costituiscono dunque il presupposto per il confronto con il passato. Piangiamo insieme, ricordiamo insieme – ma lo facciamo anche e soprattutto per poter dimenticare insieme e andare avanti con le nostre vite.

Il 6 Aprile del 2011 la fiaccolata nel centro della città è stata un’occasione per ricordare, per integrare diverse esperienze, e finalmente per affrontare il passato in una maniera sociale. Durante la processione, ho osservato famiglie, parenti e amici piangere e portare il lutto insieme. Sentire che non si è da soli con il proprio dolore è fondamentale per comprendere esperienze che altrimenti renderebbero impossibile sopravvivere. Durante la fiaccolata la gente ricordava insieme. E la stessa fiaccolata diventava parte della memoria, dove il senso di essere insieme e di condividere la perdita aiutava a relativizzare il trauma del passato, creando così i presupposti per affrontare le sfide del presente e del futuro.

Ho osservato altri processi simili nella società aquilana – l’assemblea cittadina, l’università, 3e32, città di persone, e tanti altri gruppi. Processi che esprimono lo sforzo di andare avanti e garantiscono che la gente rimanga a presidiare la città. Stare insieme è un aspetto importante della cultura umana – e quindi anche della vita aquilana. Oggi, almeno tre anni dopo il terremoto, l’assemblea cittadina continua a lottare contro la frustrazione e la perplessità. Tre settimana fa ad esempio ho partecipato ad una riunione dell’assemblea e ricordo ancora due studenti liceali che erano lì per la prima volta per contribuire a ridisegnare il futuro della loro città. La mia impressione è che la comunità aquilana prova con forza titanica giorno dopo giorno a riconquistare il potere sul processo di ricostruzione materiale e morale della città.

Sono stato molto toccato quando ho visto le chiavi delle case attaccate alle barriere nel centro. Per me le chiavi segnalano il desiderio della popolazione di rimanere nella città – estendono gli spazi sociali oltre le recinzioni. La città non finisce dove iniziano le barriere – ogni chiave significa l’esistenza di una casa, e di una storia – non dimenticata. Le chiavi non sono solamente strumenti per aprire case – sono diventate simboli della continuità della vita umana e della vita sociale. Non solamente all’Aquila, ma anche nel resto del mondo il processo di riappropriazione degli spazi sociali segnala la presenza di una popolazione che non smette di guardare avanti.

Nonostante questi esempi positivi, ho anche capito la grande sfida dell’Aquila. La dispersione sociale e la distruzione della città significano un cambio violento per gli aquilani. Sono stato invitato stasera per commentare un po’ queste difficoltà – e vorrei provare a farlo. Non posso parlare con grande autorità – sono arrivato soltanto un mese fa e non sono italiano – ma vorrei condividere prudentemente le sensazioni che ho provato da quando sono arrivato in città.

Durante la fiaccolata, non c’erano solamente i processi sociali della memoria e della riconciliazione. La fiaccolata è stata anche un’occasione per protestare. I parenti degli studenti della casa dello studente manifestavano per chiedere verità e giustizia. Manifestavano contro il fallimento di uno stato che non è riuscito – o non ha provato – a trovare e condannare le persone responsabili per una tragedia incomprensibile. E questo fallimento prolunga il processo del dolore e del lutto.

Secondo me, la frattura tra i desideri degli aquilani e i processi politici costituisce il problema più grave per la città. Ho l’impressione che per tanti aquilani la politica ufficiale democratica non offra – o non offra più – soluzioni per le sfide della vita quotidiana locale. Al lutto dei supèrstiti le istituzioni locali non hanno risposto adeguatamente. Ho osservato anche che il sindaco Massimo Cialente è stato accusato da alcuni aquilani di non aver iniziato abbastanza velocemente il processo della ricostruzione – o almeno il processo per disegnare un piano di ricostruzione per il centro storico. Secondo me, gli aquilani in questo modo non riescono ad attribuire bene le colpe e le responsabilità – per loro non è sempre chiaro dove trovare spiegazioni  alle difficoltà che incontrano nella vita quotidiana.

La democrazia ha bisogno della comunicazione e dello scambio d’idee. La democrazia è mobile, flessibile, e risponde sempre alle domande e alle sfide dei cittadini. Secondo me, la città ha bisogno di un nuovo discorso sui processi democratici. Ci sono tanti movimenti e gruppi di cittadini che vogliono costruire un nuovo futuro. Tutti questi gruppi rappresentano aspirazioni e speranze degli aquilani. In una democrazia salutare, a un certo punto i partiti o adottano questi desideri oppure i cittadini cambiano i partititi democratici dal di dentro.

Ho l’impressione che all’Aquila il collegamento tra le aspirazioni delle persone da un lato, e la politica ufficiale dall’altro stia venendo meno. Durante la campagna elettorale i candidati e i politici a volte ci illudono che saranno in grado di inventare un futuro grande, luminoso, e ricco per la città e per i cittadini – ma spesso si tratta di un futuro irraggiungibile. Tutti offrono di più di altri, in una competizione delle speranze.

In questa situazione si rischia che la gente non creda più alle promesse e non le accetti  più come parte del  proprio futuro. Se a un certo punto la realtà e i desideri delle persone non saranno più elaborati nella rappresentazione politica e nel discorso dei politici, il risultato sarà rassegnazione e ritiro del processo democratico. Ho parlato con tanti aquilani che mi hanno detto che non credono più in cosa dicono i politici. “Ci prendono in giro” – è stata la parola usata più spesso. Sicuramente, tutte le democrazie hanno bisogno dello scetticismo – e inoltre lo scetticismo è un segno di una democrazia salutare nella quale i cittadini non devono credere a tutto ciò che viene presentato dal governo. Tuttavia, secondo me, si deve essere particolarmente attenti in una situazione come quella dell’Aquila per garantire che lo scetticismo non diventi frustrazione e ostilità – ciò è successo ad esempio a New Orleans dopo l’uragano Katrina e anche in Giappone dopo lo tsunami e la catastrofe nucleare. La politica prova a vendere speranze – e gli elettori devono giudicare il valore delle visioni così presentate. Normalmente, ci sono differenze tra i partiti.

All’Aquila, invece, c’è un particolare pericolo durante la campagna elettorale: che tra i partiti e tra i candidati si sviluppi una competizione tale da costruire un'idea della città lontana dai reali interessi dei cittadini.

In una situazione come questa è molto importante che il rapporto tra la popolazione e le istituzioni democratiche sia molto forte. Gli aquilani hanno bisogno di una classe politica prima di tutto onesta e poi capace.

Per concludere: se potessi, da giovane ricercatore straniero, dare solamente un piccolo consiglio ai candidati sarebbe questo: trattare gli aquilani con apertura e onestà – anche se l’onestà è dolorosa. Gli aquilani sanno che non sarà facile ricostruire un futuro per la città, e perciò non credono a visioni altisonanti che spesso vengono fuori dalle campagne elettorali. C'è bisogno di concretezza! Bisogna mantenere – o ricreare – un collegamento tra i cittadini, i gruppi numerosi della città e il processo democratico ufficiale.

Come abbiamo visto ad Haiti, in Giappone, e anche negli Stati Uniti: sarà impossibile cambiare il destìno di una regione colpita dalla catastrofe senza la fiducia nelle istituzioni governative da parte della popolazione. Ci sono tanti bravi aquilani che lottano per il futuro della città. La politica ufficiale deve tendergli una mano o forse tutte e due.

Grazie mille!

 

 


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