Raumlaborberlin, il collettivo tedesco di architetti a L'Aquila: salotto urbano al Castello

04 Giugno 2012   10:52  

8 giovani architetti con una visione comune: lavorare negli scenari urbani in trasformazione, crocevia di cambiamenti, e proporre la costruzione di luoghi di incontro. Sono i raumlaborberlin. E lo scenario è L’Aquila.

E proprio perché stavolta uno dei loro progetti coinvolge la città, non lascia indifferenti la lettura, sull’home page del loro sito internet, di una frase che si stampa come esplicita dichiarazione d’intenti: “consideriamo gli abitanti specialisti, profondi conoscitori di storie, paure, desideri, così come di carenze, che esistono come una rete invisibile in ogni situazione spaziale”.

Un’architettura lontana dai giochi di potere, pensata come luogo di condivisione, capace di rispondere chiaramente ai bisogni delle persone e alimentata dallo spirito di responsabilità e dal senso di appartenenza di una comunità. Costituito alla fine degli anni ’90, il collettivo tedesco ha realizzato piccoli progetti che rispondessero a piccole necessità: una pista ciclabile fatta di vecchie porte, un planetario itinerante alloggiato in una roulotte, diversi hotel temporanei come quello reinventato in un edificio dismesso durante Documenta 11 a Kassel.

Insieme allo studio di nuove condizioni di abitabilità, i raumlabor lavorano come veri e propri collettori di esigenze e produttori di strategie alternative. E lo fanno perché credono che l’architettura non debba essere pratica lucrativa ma pratica creativa, generosa, che offra alla gente possibilità.

Anche per questo il loro lavoro è stato spesso accostato alla ricerca artistica che, a partire dagli happening fino alle opere più recenti di Maria Papadimitriou o Marietjca Potrcˇ, si cimenta spesso con il tema del lavoro condiviso con le comunità locali, chiamate a interagire e a partecipare.

Eppure i raumlabor sono sempre animati non dall’idea di realizzare operazioni strettamente sociali quanto più dal desiderio di creare spazi, interventi urbani, possibilità di esistenza, strutture che aiutino a sviluppare capacità di appropriazione e controllo dei luoghi.

È del 2010 House of Contamination a Torino, per Artissima, spazio temporaneo in cui le pareti e l’arredamento sono stati realizzati con scarti industriali, bottiglie di plastica, vecchi elettrodomestici e che, per tutta la durata della fiera, è stato sede di incontri, performance di danza, proiezioni di film, dibattiti.

Poi The Big Crunch a Darmstadt, uno spazio costruito a livello collettivo: i cittadini hanno consegnato pezzi di arredamento scartati che, invece di essere conferiti in discarica, sono diventati struttura portante di un luogo di incontro e di dibattito. Tutto questo con materiali spesso riciclati, dalle forme elementari, che si collocando nello scenario preesistente in modo temporaneo, come un’apparizione che vuole provocare per un momento e poi sparisce.

Progetti caratterizzati sempre dalla condivisione e dallo scambio di saperi, come il recentissimo Officina Roma, una casa realizzata interamente utilizzando materiali di scarto: pareti fatte con bottiglie in vetro, portiere di auto, vecchi infissi, in un fantasioso lavoro di recupero che è diventato anche un workshop per 24 studenti diciottenni selezionati da tutta Italia.

E veniamo quindi a L’Aquila. I raumlabor in visita alla città sono stati colpiti dall’inaccessibilità di alcune zone del centro storico, dal complicato andamento della ricostruzione e soprattutto dal senso di “malcontento e grande frustrazione” diffuso, spiegano Jean Liesegang e Frauke Gerstenberg. Il processo rigeneratore della città potrebbe partire dalle piazze, dalle zone che offrono “vuoti”, punti che altrimenti continuerebbero nel lento declino che li ha portati verso l’abbandono, luoghi che siano però accessibili in modo relativamente semplice, anche durante la fase di cantierizzazione dei lavori di ricostruzione.

Così nasce Salotto Urbano, una vera e propria casa aperta, destinata ai residenti, agli studenti e a chiunque lo desideri, che sorgerà nei dintorni di Porta Castello, grazie all’Accademia Tedesca Villa Massimo a Roma e al sostegno della Fondazione Carispaq in convenzione con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Abruzzo e il Comune dell‘Aquila.

“La casa aperta” - raccontano i raumlabor - “è composta da un involucro pieghevole, un caffé/bar, una tribuna con un palcoscenico, un magazzino e una scala. Questi elementi consentono all’ambiente interno ed esterno di essere vissuto e utilizzato con diverse varianti. A seconda delle stagioni il Salotto Urbano si apre svelando il suo interno all’esterno. Lo spazio pubblico diventa così palcoscenico urbano”.

Ancor di più nel caso del progetto per L’Aquila, appare chiaro che la ricerca dei raumlabor muova da un’indagine profonda sul significato dell’abitare, sul senso che l’uomo dà ai luoghi mettendo in campo strategie per appropriarsene che sono poi anche modi per definire la propria identità, individuale e collettiva.

Il Salotto Urbano sarà destinato a usi diversi: rappresentazioni teatrali, discussioni, workshop, concerti all’aperto, tutti veicoli, spiegano i raumlabor, “per avviare nuove forme di interazione in città”.

Non resta che attendere per assistere ai lavori di realizzazione di uno spazio che vuole offrire alla città e alla sua comunità nuove frontiere di pensiero, immaginando, grazie all’incontro e alla condivisione, ancora scenari possibili.

Antonella Muzi


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