Ricchi e poveri in Abruzzo. La classifica AIPB e quella OCSE

Chieti la città più ricca, L'Aquila la più povera

23 Ottobre 2008   10:08  

L'Abruzzo raccoglie 13,1 miliardi di euro di capitali privati che equivalgono all'1,7% della ricchezza nazionale.

La citta' piu' ricca e' Chieti con 4 miliardi, seguita in ordine da Pescara (3,3 mld), Teramo (3 mld) e L'Aquila (2,8 mld).

Il mercato complessivo dei "Super Ricchi" italiani (High Net Worth Individual) e' stimato nel 2008 in 779 miliardi di Euro (- 6% rispetto ai 829 miliardi di Euro nel 2007) e riguarda 594 mila famiglie (-15% rispetto alle 694 mila famiglie del 2007).

I dati sono stati presentati oggi a Milano, nel corso della quarta edizione del Forum Internazionale del Private Banking promosso da Aipb, l'Associazione Italiana Private Banking.

Per la prima volta dall'avvio dell'indagine di AIPB il mercato complessivo dei "Super Ricchi" italiani e' in diminuzione rispetto all'anno precedente a causa della turbolenza in atto sui mercati. I risultati mettono in evidenza una rinnovata esigenza di tutela del patrimonio e di "semplicita'" degli strumenti in cui investire.

Aumenta la quota di "prodotti sicuri" nei portafogli private: 49% titoli obbligazionari (37% nel 2007); 8% quote di fondi comuni (19% nel 2007); 8% azioni quotate (11% nel 2007); 14% gestioni patrimoniali (17% nel 2007); 6% prodotti assicurativi (5% nel 2007); 16% depositi (10% nel 2007).

La Lombardia, con il 24,6% della ricchezza, si conferma anche nel 2008 la regione in cui si riscontra la maggior concentrazione di ricchezza, seppur con una lieve flessione rispetto al 2007 (25,1%). Tutte le altre regioni seguono a lunga distanza: 10,7 % Lazio; 9,5% Emilia Romagna; 8,3% Piemonte; 8,1% Veneto; 6,7% Toscana; 5,7% Campania; 4,7% Sicilia; 4,1% Puglia; 2,7% Marche; 2,8% Friuli-Venezia-Giulia; 2,6% Liguria; 1,9% Calabria; 1,8% Sardegna; 1,7% Abruzzo; 1,3% Umbria; 0,6% Basilicata; Molise 0,3%; 0,2% Valle D'Aosta.

RAPPORTO OCSE: POVERI SEMPRE PIU' POVERI, RICCHI SEMPRE PIU' RICCHI. ITALIA  IN FONDO ALLA CLASSIFICA            

PARIGI (Reuters) - Ricchi e poveri del mondo sono sempre più lontani e l'Italia non fa eccezione, con il sesto gap dei redditi per ampiezza tra le nazioni industrializzate. Ma la forbice non si allarga quanto temuto dai più pessimisti e non è tale da provocare disordini sociali.
Lo dice "Growing Unequal", ultimo studio Ocse sui divari di ricchezza, spiegando che a compensare le ineguaglianze ci pensano i governi, aumentando le tasse e la spesa per il welfare.
"L'aumento delle diseguaglianze, benché diffuso e significativo, non è stato così spettacolare come si pensa" si legge nelle 390 pagine dello studio.
Nella classifica dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, la Danimarca è il paese con gli squilibri di reddito minori, appena meglio della Svezia, mentre in fondo c'è il Messico, ultimo davanti a Turchia e, forse non sorprendentemente, Stati Uniti.
Nella democrazia a stelle e strisce il 10% super ricco ha un reddito medio di 93.000 dollari (in termini di Purchasing power parity*), contro una media Ocse di 54.000 dollari, il 10% super povero guadagna 5.800 dollari/anno, contro una media Ocse a 7.000.
ITALIA NELLA SESTA PEGGIOR POSIZIONE OCSE
Quanto all'Italia, la spinta all'allargamento della forbice è stata forte all'inizio degli anni '90 e ci ha portato alla sesta peggiore posizione tra i paesi Ocse, calcola il report. A fronte di un reddito medio del 10% più ricco a circa 55.000 dollari (in termini di Ppp), il 10% più povero si ferma a 5.000 dollari.
Per i 24 paesi Ocse di cui esistono i dati, la crescita cumulativa delle diseguaglianze è stata del 7% tra la metà degli anni '80 e la metà degli anni 2000, con il movimento maggiore visto nei primi dieci anni del periodo.
Si tratta di una variazione "che non giustifica... discorsi di sgretolamento della società" civile, per gli analisti Ocse che sottolineano come "nei paesi sviluppati i governi abbiano tassato e speso di più per compensare la tendenza allo squilibrio sociale. Oggi spendono in politiche sociali più di quanto sia mai avvenuto nella storia".
Ocse nota tuttavia che a beneficiare maggiormente dei movimenti ridistribuitivi sono stati gli anziani - negli ultimi 20 anni la fascia di età che ha visto più crescere i suoi redditi è tra 55-75 anni - mentre è salita la povertà dei bambini e si è portata oggi sopra la media generale.
Guardando al periodo dal 2000 a oggi, il divario reddituale si è alzato di più in Italia, Canada, Germania - il paese dove gli squilibri sono aumentati più negli ultimi cinque anni che negli ultimi 15 complessivi - Norvegia, Usa e Finlandia. Forbice in diminuzione in GB, Messico, Grecia e Australia.
GRAN BRETAGNA, FRANCIA TRA I PAESI DOVE CRESCE L'EGUAGLIANZA
Dal 2000, squilibri di reddito e povertà sono scesi in Gran Bretagna più velocemente che in ogni altro paese Ocse, anche se il gap ricchi-poveri britannico è più largo che nel 75% degli altri paesi industrializzati e se a livello dei soli salari la forbice si è ampliata del 20% dal 1985 a oggi.
Anche i francesi sono diventati più uguali - i paesi in cui il divario dei redditi si stringe sono solo 5 - ma il 10% più abbiente, con 54.000 dollari (Ppp) di media, resta ben lontano dal 10% più svantaggiato a quota 9.000 dollari quasi.
Meno squilibri si vedono anche in Giappone, paese dove il livello di povertà (persone che vivono con meno della metà della mediana dei redditi) resta tuttavia il quarto peggiore dell'Ocse.

I POVERI IN ABRUZZO

da Il Centro del 19 agosto 2008. Articolo di  Stefano Buda

Abruzzo sempre più povero, con profonde differenze al suo interno. Tengono le località più grandi, spaventano le condizioni dei centri minori, preoccupa la regione nel suo insieme. La ricerca condotta dal Centro Studi Sintesi, riportata anche dal quotidiano economico Il Sole 24 Ore, mette in evidenza che tra le 107 province del Paese quelle abruzzesi sono tutte nelle posizioni di coda della scala del reddito per contribuente. La provincia di Pescara, con i 14.233 euro a testa che i suoi abitanti hanno denunciato al fisco, risulta la meno colpita. Maglia nera per Teramo dove si vive con 12.225 euro a persona.  Nell’area pescarese, se nel capoluogo adriatico i cittadini denunciano in media 17.703 euro, spostandosi di qualche chilometro lo scenario cambia radicalmente.  Corvara più povera  A Corvara il dato è quasi tre volte inferiore, con i redditi fermi a 5.848 euro. Nelle altre province la situazione è anche peggiore. In quella di Teramo il reddito per contribuente è pari a 12.225 euro, con una variazione negativa del 3,5% rispetto al’99: si raggiungono i 16.048 euro in città mentre nei paesini le condizioni di vita appaiono molto più critiche.  Come a Valle Castellana, i cui abitanti denunciano in media 6.900 euro.  Male anche le province di Chieti (12.453 euro e -2,3% rispetto al’99) e L’Aquila (13.708 euro e -2%) che ospitano i due comuni più poveri della regione: a Schiavi d’Abruzzo, nel chietino, e a Villa Santa Lucia, nell’aquilano, negli ultimi otto anni i redditi dei cittadini hanno subito un crollo verticale, rispettivamente del 15,2% e del 20,2%.  Oggi occupano i poco onorevoli posti di trentesimo e trentaquattresimo comune più povero d’Italia. A Schiavi d’Abruzzo i redditi sono in media di 5.215 euro e a Villa Santa Lucia di 5.263 euro.  Non se la passano bene neanche le reegioni vicine, come Marche e Molise. Nella provincia di Ascoli Piceno (il reddito è di 13.544 euro per contribuente, -0,9% rispetto al’99), mentre in quella di Isernia (11.256 euro e -7,2%) e Campobasso (11.231 euro e -3,2%).  Crisi industriale «La condizione dell’Abruzzo è legata alla più ampia questione della crisi dello sviluppo industriale; i redditi sono più bassi nelle aree in cui le industrie evidenziano i problemi maggiori», dice Maurizio Donato, docente di economia all’Università di Teramo, «finita la fase degli investimenti pubblici e degli aiuti al mezzogiorno che avevano posto la regione in una posizione decisamente migliore rispetto al resto del sud, l’Abruzzo non ha saputo trovare la sua strada. Le risorse della sanità, ad esempio, potevano essere impiegate per sostenere le attività produttive e lo sviluppo e invece sono state mal gestite e sperperate».  Questione meridionale  I numeri ritraggono un Paese a due velocità. Le tasche degli abruzzesi si scoprono sempre più vuote mentre la regione affonda seguendo il solco di un mezzogiorno in netto ritardo rispetto al resto d’Italia.  Negli ultimi otto anni il reddito per contribuente in Abruzzo è sceso del 2,1%, mentre a livello nazionale ha registrato un incremento del 2%.  Il centro nord ha visto accrescere i redditi dei suoi abitanti più dell’inflazione: a partire dalle Marche (+0,5%) e dal Lazio (+2,7%) fino ad arrivare alle eccellenti performance di Valle d’Aosta (+11%) e Lombardia (+7,5%). Nel meridione è invece l’inflazione a prevalere e i redditi iniziano a scendere in Abruzzo (-2,1%) e Molise (-4,3%) per poi crollare in Campania (-8,2%) e in Calabria (-14%). I 50 comuni più ricchi d’Italia sono localizzati nel centro e nel nord del Paese, i 50 più poveri, con poche eccezioni, tutti nel meridione.  «La questione meridionale è stata seppellita troppo presto, frettolosamente sostituita da una non ben precisata questione settentrionale», continua il professor Maurizio Donato, «nel mezzogiorno si è scelto di rinunciare allo sviluppo industriale e questi sono i risultati. Peraltro siamo in un fase in cui si preferisce investire nel capitale finanziario più che su capitali produttivi e ciò non può che aggravare la situazione».  Crollano i consumi  In Abruzzo salgono i prezzi, restano ferme le retribuzioni, crollano i consumi. Le spinte inflattive rischiano di rendere le condizioni ancora più critiche. Per il docente di economia all’università teramana esiste una sola ricetta per far ripartire la regione, il mezzogiorno e l’Italia. «Investire sullo sviluppo industriale e sulle attività produttive è l’unico vero antidoto alla crisi dei redditi», conclude il docente di economia, «bisogna sfatare anche il tabù dell’intervento pubblico, di cui non bisogna affatto avere paura. Un’esperienza come quella dell’Iri è stata archiviata troppo presto. Inoltre le imprese che vanno meglio sono proprio quelle in cui è rilevante il ruolo del pubblico, a partire da Eni, Enel e Telecom».  Nell’analisi del centro studi il comune più ricco è Ayas, in provincia di Aosta, con un reddito per contribuente pari a 66.408 euro. Seguono Basiglio (45.732 euro) e Cusago (36.914 euro), entrambe nel milanese. Il comune più povero è Platì (4.152 euro) in provincia di Reggio Calabria. Tra i grandi centri le regine del benessere sono Milano (23.183 euro per contribuente), Bologna (20.890 euro) e Roma (20.193 euro). - Stefano Buda

 


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