Senza tetto nè legge. L'emergenza lavoro nel cratere

29 Giugno 2009   23:59  

 Dopo il terribile terremoto del 1348, si legge nella Cronica  di Buccio da Ranallo, il conte Lalle di Camponeschi rinchiuse gli aquilani superstiti nella città diruta con ''sticcati de bon legname grosso, multo ben chiovati'', per costringerli a ricostruire le loro case ed impedire l'emigrazione di massa. Parecchi secoli dopo, all'indomani del terremoto del 6 aprile 2009, nel capoluogo  abruzzese sembra invece delinearsi una strategia dell'allontanamento.
Decine di migliaia di aquilani sono da tre mesi ospitati negli alberghi sulla costa, lontani dalla loro città e dai loro  paesi, le scelte sui tempi e sui modi della ricostruzione vengono prese da una ristretta cerchia di decisori, non si sa bene dove. Il centro storico rimarrà inevitabilmente  una  zona  rossa  per chissà quanto tempo, le ruspe lavorano giorno e notte per costruire una nuova città divisa in venti quartieri di moduli abitativi prefabbricati, disseminati nelle campagne e nelle colline circostanti.
Duemila sfollati sono così andati a Roma ad assediare palazzo Montecitorio, non solo per chiedere l'approvazione degli emendamenti al Decreto  Abruzzo, i fondi per le case dei non residenti  e per seconde case (che sono oltre la metà dei centri storici distrutti), ma  anche per  rivendicare la necessità  di ripartire dai bisogni di tutti e non dagli interessi di pochi, con partecipazione e trasparenza. 

'In Friuli  –  aveva urlato  al megafono uno dei manifestanti - la ricostruzione dopo il sisma del 1976 è stata scandita dal motto prima il lavoro poi le case infine le chiese. A L' Aquila  prevale invece un approccio immobiliarista,  si parte dal contenitore e non dal contenuto, dall'edifico e non dall'abitare, dagli appalti miliardari, che  arricchiscono per lo più grandi aziende di fuori che si portano i loro operai specializzati, e non dai bisogni reali e immediati degli sfollati ''.
E il bisogno più impellente per migliaia di aquilani paradossalmente non è quello della casa, ma del lavoro che non hanno più o che stanno perdendo.  La  vera emergenza è il non avere più un euro in tasca, è il mutuo che dovrà essere ricominciato a pagare in autunno, terminata la tregua umanitaria concessa dalle banche.

A piazza d'Armi incontriamo Maria, ragazza madre. Per lei il problema non è il piglio militaresco con cui viene gestita la sua tendopoli, dove è vietato fare assemblee: ''Siamo in molti - rivela Maria –  a  sperare di restarci il più possibile in tendopoli, perchè almeno qui un pasto ce lo passano, abbiamo dentista, vestiti, barbiere e lavanderia gratis. Se a settembre mi assegnano una casetta cosa darò da mangiare a mio figlio? Io il lavoro non ce l'ho più..''

La tendopoli, insomma, come unica forma di welfare state per sfollati aquilani, ovvero per cittadini di un paese, l'Italia, dove i salari sono i più bassi d'Europa, la disoccupazione è a livelli record, non sono previsti ammortizzatori sociali per due milioni di precari. Per terremotati in un Abruzzo regione ''al verde'' dei Parchi, in cui, dati relativi al primo trimestre 2009, sono 120 le grandi aziende in profonda crisi, 13.500 i lavoratori in cassa integrazione, 4mila  quelli in mobilità dove si sono persi nell'ultimo anno 26mila posti di lavoro e i disoccupati sono saliti a 57mila, l'export crolla del 34%, e dove il 90% del bilancio della Regione è assorbito dalla spesa impazzita della sanità.
''All'indomani del sisma  – spiega il sindacalista Fiom Alfredo Fegatelli –  sono oltre 15mila i lavoratori dell'aquilano messi in cassa integrazione in deroga, della durata di 13 settimane. Ma finora ben 5.500 lavoratori ancora non vedono un euro e la situazione si sta facendo insostenibile.'' L'Inps infatti non riesce a smaltire l'immensa mole di pratiche, anche perchè molti suoi dipendenti, tra i pochi ad avere un lavoro sicuro e regolare stipendio, continuano causa sisma  a marcare assenza. Non vedono ancora un euro inoltre i beneficiari delle duecento euro mensili previste per chi si è trovato un'autonoma sistemazione.  La decisione da parte della Protezione civile di chiudere le mense dei campi ai non residenti nelle tendopoli, ha scatenato così le loro veementi proteste.

Il cinegiornale di Raiuno aveva commosso gli italiani raccontando la storia di Anna, anziana terremotata, che ha riavuto la dentiera grazie all'interessamento di Berlusconi in persona, nell'insolita veste di Presidente odontotecnico. Meno interesse suscita invece la storia di Olga, Mircea , Antonio, e  altri giovani precari che dormono in tenda, si alzano all'alba e vanno a lavorare per dodici ore filate in panetteria, al bar, al ristorante, rigorosamente in nero. I loro datori di lavoro sono stati celebrati dalle autorità per l'eroica ed immediata riapertura dell'attività, ''passo importante - , non si mancò di sottolineare - verso il progressivo ritorno alla normalità''.

Olga, Mircea e  Antonio dai loro padroni si sono però sentiti dire di essere privilegiati, perchè tra i pochi aquilani  ad avere  ancora  un lavoro. E questo significa essere costretti ad accettare in silenzio la riduzione del salario e orari di lavoro più lunghi. ''il capo  – commenta Olga amareggiata –  ci ha detto che tanto vivendo in tendopoli non spendiamo nulla per il vitto e l'alloggio''.

Un modello di concertazione che evoca la condizione dei raccoglitori di pomodori schiavizzati  nelle campagne del foggiano. Mircea inoltre, in pieno sciame sismico, lavora dentro un ristorante di dubbia agibilità, frequentato spesso dai politici che vengono a fare la passerella tra  le macerie. ''I clienti mangiano in giardino all'ombra di un gazebo – spiega Mircea -  noi del personale lavoriamo dentro una cucina con le crepe lungo i muri, e  ad ogni piccola scossa ti si gela il sangue...''

Un aspetto del presunto ritorno  alla normalità da non sottovalutare, quello della  sicurezza dei luoghi di lavoro.'' Noi abbiamo chiesto e ottenuto da tutte le ottanta aziende che hanno riaperto il certificato di agibilità  – spiega infatti il sindacalista Alfredo Fegatelli - ma non si esclude che esso sia stato concesso con una certa superficialità...'' E infatti nei formalmente agibili capannoni della P&A Service di Bazzano si è staccato dal soffitto l'impianto di riscaldamento, mentre erano al lavoro trenta operai.
Di segno opposto la triste storia della vertenza Transcom. La sede aquilana della multinazionale dei call center, che dà lavoro a ben  360 persone, di cui 300 a tempo indeterminato, è stata lesionata dal sisma. Regione, Provincia e Comune  si sono subito mobilitate per trovare una nuova sede. Ma  a sorpresa, il giorno dopo le elezioni, il county manager Roberto  Boggio  ha comunicato  ai sindacati l'intenzione di licenziare tutti, non a causa della sede inagibile, ma per la più generale mancanza di commesse.  Al grido di  ''Sopravvissuti al terremoto-uccisi da Transcom'', i lavoratori sfollati hanno cercato invano di raggiungere la Caserma della Finanza, quartier generale del commissario Bertolaso, dove era  atteso l'arrivo del presidente Berlusconi. ''La verità – spiega Lucia - è che la Transcom è arrivata a l'Aquila per godere degli sgravi fiscali dell'Obiettivo uno, ed è stata però costretta ad assumere con contratto a tempo indeterminato, un'anomalia per un call center. Boggio dice che costiamo troppo. Per lui, che viene in azienda in Jaguar, il troppo sono mille euro al mese di stipendio''.
Terminate le agevolazioni della Comunità europea, la Transcom ha cercato infatti in tutti i modi di defilarsi, minacciando in continuazione  licenziamenti, ottenendo così l'anno scorso una riduzione di salario di cento euro mensili, l'eliminazione degli scatti di anzianità e persino della mezzora di pausa pranzo.  Nell'ultimo incontro con i sindacati  Boggio ha scoperto le carte chiedendo, come condizione per permanenza nel capoluogo, un'ulteriore riduzione del salario del 20-40%.
Tra i lavoratori sfollati della Transcom riconosciamo Annachiara. Ha ottenuto la notorietà internazionale perchè è colei che si è sposata all'indomani del sisma, uscendo da una tenda in abito da sposa. Prima della cerimonia, il marito Massimo venne quasi alle mani con i giornalisti e cameraman da cui era pedinato con insistenza dalle prime ore dell'alba. ''Pure al cesso -  urlò incazzato – ci hanno seguito, ora basta, lasciateci sposare in pace, nessuno li ha invitati!''. Sulla torrida strada di Coppito Annachiara, lavoratrice sull'orlo del baratro, era invece merce mediatica troppo inflazionata per  attirare l'attenzione dei media nazionali, più eccitati dalle alcove presidenziali  di Villa Certosa.

All'alba, sulla costa,  migliaia di sfollati  si mettono in viaggio per venire a lavorare a L'Aquila e tornano in albergo a tarda sera. Nelle tendopoli qualcuno li considera privilegiati e se li immagina con un cocktail in mano a prendere il sole  a bordo piscina.
Carlo  è uno di questi pendolari e presunti privilegiati, commesso in un supermercato aquilano sull'orlo della chiusura. L'albergo che lo ospita ottiene un rimborso giornaliero dalla Protezione civile di 48 euro, che sarà presto aumentato.  Quando sono arrivati i primi turisti, il titolare ha spostato gli sfollati in un'altra sala da pranzo, poi ha cominciato a servire  pasti d'asporto da consumare in camera. ''I turisti hanno esigenze diverse dalle vostre  - ha spiegato -  sono qui per  rilassarsi e divertirsi.''
Carlo è stufo di percorrere 200 chilometri al giorno per uno stipendio da fame, ha deciso di trovarsi un lavoro sulla costa e ha cominciato a volantinare curricula nei vari stabilimenti sul lungomare. Il turismo, anche  a causa del sisma, è però in Abruzzo in forte crisi, con meno 25% di presenze e 2.200 mancate assunzioni stagionali. Gli sfollati  aquilani cominciano  ad essere guardati perciò in cagnesco dai disoccupati autoctoni, in quanto  la loro concorrenza è ben più temibile di quella degli extra-comunitari. I giornali locali danno notizia dell' ennesimo scandalo che ha investito la Regione Abruzzo: un alto funzionario è stato  arrestato con l'accusa di truccare i concorsi  a beneficio di parenti e rampolli dell'alta borghesia. All'Aquila, si legge in un altro articolo, hanno provato a nominare consigliere delegato per la salvaguardia  del patrimonio artistico della città un pluricondannato per falso e frode.

Carlo alza lo sguardo verso il mare Adriatico, e  con un sorriso immagina una grande nave traboccante di sfollati,  tende blu e bagni chimici rossi avvistata con stupore al largo di Valona.

Filippo Tronca

Già pubblicato dal settimanale CARTA

 


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