Smaltimento, tornado intorno ai vertici di Aca e Ato

Indagati Catena e D'Ambrosio

30 Maggio 2008   08:40  

Nomi eccellenti figurano nell’inchiesta su quello che sembra essere un appalto assegnato in modo illegittimo a imprenditori “amici” che avrebbero dichiarato il falso, truffato, gestito un traffico di rifiuti, smaltito fanghi senza autorizzazione.

Fra i venticinque indagati Giovanni Di Vincenzo, amministratore della Dino Di Vincenzo & C, l’ex presidente Ato e sindaco di Pianella Giorgio D’Ambrosio, il presidente dell’Aca Bruno Catena e il sindaco di Navelli Paolo Federico.

Si concludono, così, con la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini, due anni di investigazioni affidate agli uomini del Corpo forestale, partite il 2 maggio 2006 quando gli agenti cominciarono a tenere sotto osservazione a Navelli, l’impianto dell’azienda Biofert, in cui arrivavano i camion che trasportavano i fanghi prodotti nel depuratore di Pescara.

Dieci giorni in cui vennero documentate una serie di irregolarità che, secondo il pm che ha guidato l’inchiesta, Aldo Aceto, partivano da lontano.

Dall’appalto, cioè, per la gestione dell’impianto di via Raiale, assegnata il 28 marzo del 2006 alla Dino Di Vincenzo & C Spa con una procedura che, secondo il magistrato, sarebbe stata distorta per favorire proprio la società che aveva proposto il project financing per i lavori di adeguamento e ottimizzazione del depuratore di Pescara.

Per l’accusa, a turbare “in modo fraudolento la gara” che valeva oltre 62 milioni di euro per una gestione ultraventennale sarebbe stato Alessandro Antonacci, dirigente tecnico dell’Ato 4, che avrebbe posto in essere “condotte finalizzate a restringe la platea degli offerenti, ad appesantire la procedura con adempimenti non richiesti dalla legge, e anzi espressamente non consentiti, a mettere le imprese in condizione di non adempiere”.

Doppia tappa quella del bando di gara, che, dopo che il Tar annullò il bando, il 27 ottobre 2006, invece di ripetere la procedura ex novo, il 1º dicembre 2006 vennero semplicemente invitate le ditte escluse in precedenza, indicando come data perentoria per le proposte il 13 gennaio 2007. La gara andò deserta, e l’aggiudicazione dell’appalto venne così confermata a Di Vincenzo, senza però alcuna deliberazione dell’assemblea dell’Ato.

La convenzione venne stipulata il 29 marzo 2006 con l’associazione temporanea fra Dino Di Vincenzo & C e Biofert Srl, di San Giovanni Teatino, “soggetto diverso dall’aggiudicatario” osserva il pm.

Ma i vertici dell’ente d’ambito, così come i vertici dell’azienda acquedottistica, secondo Aceto, non potevano non sapere, anzi, avrebbero favorito l’affidamento del project financing, procurando alle due imprese “un notevole vantaggio patrimoniale” pari a 2,4 milioni di euro l’anno per 23 anni. L’Ato, però, secondo il pm, non avrebbe neppure potuto procedere alla concessione di lavori pubblici, né avrebbe potuto affidare a terzi estranei alla pubblica amministrazione la sola concessione di costruzione e gestione di parte del servizio idrico integrato.

Dunque, per la procura un abuso d’ufficio, a cui avrebbero collaborato Antonacci, D’Ambrosio, Catena e Di Vincenzo, oltre al direttore generale dell’Aca Bartolomeo Di Giovanni e a Gaetano Cardano, legale rappresentante della Biofert e stretto collaboratore di Di Vincenzo.

Cardano e Di Vincenzo sono accusati di falso ideologico (per presunte false dichiarazioni sui fatturati Biofert), di abuso d’ufficio, perché avrebbero attribuito alla società di Costantino Mangifesta, ad Aseco spa ed Eco-Agri srl “un ingiusto vantaggio patrimoniale” conferendo loro senza gara trasporto e smaltimento e di truffa perché avrebbero indotto in errore l’Aca “circa la regolarità del servizio”.

Di Vincenzo e Cardano, insieme a collaboratori e a una serie di imprenditori, sono anche accusati di trasporto e smaltimento di rifiuti senza autorizzazione per diversi episodi.

I fanghi provenienti dal depuratore di Pescara, infatti, non trattati o trattati “in assenza di autorizzazione e certamente in modo non adeguato all’avvio al compostaggio” vennero conferiti all’impianto, gestito dalla Biofert, di Navelli dove sarebbero stati smaltiti “in totale assenza di autorizzazione”.

Ma il ciclo non finisce qui, in più occasioni infatti, i fanghi avrebbero raggiunto, in un primo caso, Marina Di Ginosa, in provincia di Taranto, dove sarebbero stati inghiottiti dall’impianto di compostaggio, anche questo ritenuto “non idoneo”, della Aseco. Tra settembre 2006 e gennaio 2007, la strada presa dai materiali non trattati, sarebbe quella di Foiana della Chiana, in provincia di Arezzo, qui sarebbero stati smaltiti direttamente sui terreni di due imprenditori agricoli.

Un sistema che, secondo il pm, fa scattare a carico di 18 degli indagati, l’accusa di traffico di rifiuti per il trasporto e la gestione “in modo illecito” di un ingente quantitativo di rifiuti, pari a 8.622 tonnellate solo nel 2006.

La Biofert a Navelli avrebbe trovato l’appoggio del sindaco Paolo Federico, ex Udeur oggi Partito Democratico, che il pm Aceto accusa di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio: avrebbe ricevuto “in più circostanze imprecisate somme di denaro e, da ultimo, un tappeto persiano” che sarebbe stato acquistato da Abdel Majid Al Akhdar, direttore tecnico dell’impianto di Navelli, il quale, assieme a Maurizio Pierangeli, avrebbe consegnato a Federico il denaro e il tappeto.

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