Stefania Pezzopane ricorda il prof. Antonio Cordeschi

27 Febbraio 2013   09:38  

Ho frequentato il liceo classico “Domenico Cotugno”, allora ubicato nella sua sede storica di Piazza Palazzo, nei locali attigui alla Biblioteca Provinciale “Salvatore Tommasi”. Era la seconda metà degli anni ‘70, anni di piombo e di terrorismo in Italia; fortunatamente a L’Aquila, dove tutto arriva lentamente ed un po’ in ritardo, non ci furono episodi di violenza. In quegli anni la parola centrale di tanti dibattiti: diritto, diritto alla salute, al lavoro ed all'istruzione, si macchiò di sangue, smarrì il significato di democratica lotta politica che aveva avuto dal ’68 in poi e divenne una parola scomoda. Lentamente fu sostituita da altre parole come profitto, competizione, meritocrazia, che creavano idee e dibattiti completamente diversi.

Fra gli studenti e le studentesse del liceo classico, allora, c’era una sentita ed appassionata partecipazione politica, anche con contrasti fra destra e sinistra. Io mi battevo per una scuola, come si diceva allora, non selettiva, aperta alle attività sociali, partecipativa. La mia scelta di vero impegno sociale e politico avvenne in primo liceo classico, a sedici anni. Organizzai con alcune ragazze, compagne di scuola anche più grandi di me, tra cui Serenella Foresta (compagna di classe), un collettivo musicale chiamato La Mimosa nell’anno scolastico ‘76/ ‘77.
Proprio in quegli anni, ebbi nel gruppo dei miei insegnanti, il Professor Antonio Cordeschi il cui ricordo spicca nella mia memoria in modo chiaro ed indelebile.
Era un uomo che apparteneva alla destra conservatrice, che viveva la politica con appassionata partecipazione ed ebbe anche importanti cariche pubbliche. Come professore era temutissimo dagli allievi e sembrava molto autoritario, quando lui entrava in classe subito si creava un silenzio pieno di timoroso rispetto.
Io vedevo un uomo dal volto assorto e pensoso, raramente sorridente, ma illuminato da uno sguardo vivo e penetrante, non autoritario nel senso stretto e vuoto del termine. Autorevole invece sì, aveva sempre le parole giuste per governare classi composite, eterogenee e partecipi ai dibattiti in corso in modo spesso confuso ed un po’ pasticcione, ma sempre piene di passioni e speranze.
Studioso e ricercatore attento e curioso, amava lo studio severo e sistematico, per sé, e per gli altri. Con lui si doveva studiare sempre, tutti i giorni, non solo quando si doveva essere interrogati. Era per una scuola selettiva nel merito, temutissima la sua matita rossa e blu. Il suo metro di giudizio era fondato sul merito, ovvero sul profitto che tutti, o quasi, potevano raggiungere con pazienza e tenace applicazione. Allora c’erano i compiti scritti, bisognava tradurre interi brani dal latino e dal greco, mettere la traduzione in bella copia, frasi in italiano possibilmente senza errori. Chi prendeva insufficienze gravi alle verifiche scritte di latino e greco, era bocciato, rimandato a settembre, o perdeva l’anno a seconda della situazione generale.
Le critiche alla scuola pubblica che opera una forma di selezione sociale in nome del merito, riflessioni ed accuse alla scuola tradizionale, tipo Lettera ad una Professoressa di Don Milani, lo riguardavano poco. Sapeva essere comprensivo con chi era meno fortunato, e severissimo con i ragazzi fortunati ma fannulloni ed anche un pò furbetti.
Da lui ho imparato ad esprimermi sui testi classici, testi di poeti, letterati, filosofi e storici. Con molta attenzione partecipavo alle sue lezioni, che si svolgevano con un metodo preciso. Il suo punto di partenza era sempre qualcosa di solido, in genere parole, frasi e brani di autori classici, ma anche fatti di cronaca, quando avevano un rilievo degno di attenzione. Erano le basi del suo discorso che si svolgeva con una serie di argomentazioni sempre ben collegate fra di loro. Profondo conoscitore di cultura classica, entrava fra i moderni con pari consapevolezza, citava e spiegava Benedetto Croce, ed anche Gioacchino Volpe ed Edoardo Scarfoglio.
Devo molto agli insegnamenti di cultura classica del Professor Antonio Cordeschi. Tuttora mi piace moltissimo leggere e studiare; tuttavia le grandi discussioni sui massimi sistemi, le polemiche fra opposti punti di vista, non mi hanno mai affascinato, mi piace poco il gusto di opporsi, di differenziarsi. Sono sempre stata alla ricerca della sintesi non delle divisioni pregiudiziali.
Anche quando negli anni ‘80 la politica mi ha completamente assorbita, non ho mai trascurato la mia passione per la cultura, per la conoscenza, per il sapere. Ritengo che questa inclinazione forte che ho, sia cresciuta e si sia sviluppata anche per il nutrimento ricevuto dall’opera pedagogica del Professor Antonio Cordeschi.
Non solo è stato fondamentale per quanto riguarda la formazione generale del mio modo di pensare e di esprimermi, ma anche per gli aspetti pratici della vita. Infatti mentre ancora frequentavo l’università, mio padre morì all’improvviso di un infarto. Allora incominciai a lavorare, ho fatto la maschera - guardarobiera al teatro comunale, ho fatto la baby-sitter, ho sbobinato decine di cassette di convegni universitari. Ed ho anche dato ripetizioni di latino e greco.
In quei momenti a volte era la voce del Professor Antonio Cordeschi, che con la memoria del cuore e della mente, spesso mi suggeriva cosa dovevo dire e fare.
Compagno di classe era anche Fulvio Angelini, mio marito, anche lui impegnato nei movimenti giovanili di sinistra e anche lui spesso pluri interrogato.
Quando insieme ad altri studenti scioperavamo contro il terrorismo, lui mi interrogava di seguito anche per 3 o 4 volte. E non volevo cedere, studiavo la notte per non farmi trovare impreparata. Era una sfida.
Sarà per questo che ricordo ancora brani interi a memoria

 


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