Una generazione in fermento: gli italiani a cavallo tra fascismo e democrazia

29 Aprile 2013   16:14  

''Una generazione in fermento: dalla “scuola” fascista all’Italia democratica'', questoil tema del convegno organizzato dallo Iasric, in concomintanza delle celebrazioni del 25 aprile.

Un'occasione per focalizzare l'attenzione su quella generazione di intellettuali e di comunicatori che venne educata sotto il fascismo e si trovò a sviluppare la parte matura della sua attività nel secondo dopoguerra e nella liberal-democrazia. La generazione di italiani che ha edificato la repubblica e la democrazia non è del resto arrivata dalla luna, aveva fino al quel momento vissuto nel fascismo.

Spiega al nostro microfono il professor Walter Cavalieri: c'è stata in Italia un a generazione di transizione, che visse a cavallo tra le due guerre.

Che nacque, studiò, lavorò ebbe la sua educazione sentimentale sotto il regime fascista, ma che poi fu dopo la guerra e la liberazione protagonista della politica e della cultura democrazia.

Solo per fare questo esempio, basta citare Moro, Fanfani, Biagi, Guttuso.

In Abruzzo si può citare Lorenzo Natali e Tullio De Rubeis. Non ebbero costoro due personalità diverse, non sono stati dei trasformisti, dei riciclati, degli opportunisti. Si sono invece ''trasformati''.

E il professor Cavalieri ha a tal proposito una teoria: i semi della democrazia, sotto il regime, germogliarono anche in realtà come la rivista Il Primato di Bottai e nei Guf, le associazioni universitarie fasciste. Dove appunto si sviluppò un fascismo dissidente e critico, non a caso mal tollerato e avversato da Mussolini e dai suoi scerani più feroci.

Il dibattito è stata poi un'occasione per analizzare gli elementi di continuità tra regime fascista e democrazia. La peggior tara che il fascismo ha lasciato, è stato sottolineato dal professo Umberto Dante e da altri relatori, è il peso dello Stato e la centralità del partito, l'incapacità di aprirsi del tutto al liberalismo di matrice europea, la propensione a farsi persuadere dalle sirene del populismo, la passività dell'opinione pubblica, che attende un duce di turno che decida per lei.

 


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