Venezuela ad un passo dal collasso economico

15 Gennaio 2015   02:03  

Si accentua, con la caduta vertiginosa del prezzo del petrolio, la crisi  economica che vive il Venezuela, una delle più gravi di questi ultimi anni.

Anche l’ultimo disperato tentativo del presidente Maduro di convincere il governo cinese ad elargire un prestito di 25 milioni di dollari sembra essere fallito ed il giro che lo impegna da più di una settimana per cercare solidarietà tra i paesi  componenti l’OPEP, per chiedere una riduzione della produzione del greggio e così tentare una frenata al continuo ribasso, sembra non aver avuto ascolto.

Ed a parte le dichiarazioni ufficiali di intenti non sembra aver ottenuto quella boccata d’ossigeno di cui la asfittica economia venezuelana ha bisogno in questo momento.

La penuria di valuta pregiata ha infatti bloccato la possibilità di importare tutto quello di cui il paese ha bisogno visto che la poca produzione nazionale è stata in questi anni tartassata al punto di farla scomparire del tutto, portando il paese a dipendere per il 96% dagli ingressi della vendita del petrolio.

Sarà quindi un ritorno a mani vuote, coperto però come sempre, da una straordinaria campagna di disinformazione organizzata.

Il Paese intanto è alle prese con una disperazione crescente, infatti alla scarsezza dei generi alimentari si sommano le difficoltà a reperire qualsiasi cosa, dai medicinali ai ricambi delle auto.

Detergenti personali, prodotti per la pulizia della casa, latte, zucchero ,farina di mais, olio di oliva, ecc. ecc. originano, quando arrivano nei supermercati, grandi file di cittadini che aspettano a volte non tanto pazientemente, di poter  entrare ed acquistare  quello di cui hanno bisogno.

Parallelamente un’inflazione galoppante falcidia i salari dei lavoratori che sono costretti a vivere con poco meno di 7.000 bolivar mensili (circa 45 dollari al cambio parallelo), mentre un paio di scarpe sportive costa 8/9.000 bolivar, un jeans 6.500, una camicia 3.500, una pizza 800, un litro d’olio di oliva 1.300, sei mele 840 e si potrebbe continuare a lungo.

In questa situazione di caos economico e con una microcriminalità che porta negli obitori delle città più importanti  dai 150 ai 200 cadaveri  ogni fine settimana, il governo non trova di meglio che restringere ancora di più la possibilità per noi giornalisti di fornire informazioni.

E’ di questi giorni infatti il decreto che vieta, pena il carcere, qualsiasi tipo di riprese video o fotografiche e meno le interviste, nelle lunghe file che si generano all’arrivo delle mercanzie nei supermercati.

L’opposizione dal canto suo divisa e senza un leader che possa raccogliere il malcontento che ormai coinvolge anche il popolo “Chavista” vive alla giornata denunciando di volta in volte le gravi violazioni  alle leggi esistenti ed ai diritti umani che si perpetrano nei confronti di chi si arrischia a protestare.

Ma l’interrogativo più importante resta quello delle parti che prenderanno i militari nel caso che i cittadini decidessero di raccogliere l’invito delle opposizioni a scendere in piazza.

L’esercito, storicamente, è sempre stato l’ago della bilancia e sino ad ora non ha dato nessun segnale che possa lasciare intendere da quale parte staranno.

Le prossime settimane saranno decisive per capire che destino finale avrà il chavismo, originale reinterpretazione del socialismo in versione caraibica.

Gianfranco Di Giacomantonio Caracas-Venezuela


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