"Vita di Pi": la forza delle fede espressa attraverso immagini di straordinaria bellezza

09 Gennaio 2013   11:22  

REGIA: Ang Lee

Genere: Drammatico, Avventura

Cast: Suraj Sharma, Rafe Spall, Irrfan Khan, Gérard Depardieu, Tabu, Adil Hussain, Ayush Tandon, Andrea Di Stefano

Durata: 127 Min

Voto: 000 1/2

Pi (Suraj Sharma) è un adolescente di sedici anni intelligente, affamato di sapere e dotato di una grande sensibilità. Un giorno suo padre, proprietario di un grande zoo in India, comunica all'intera famiglia che per motivi economici sarà necessario trasferirsi in Canada. Durante il viaggio in mare, l'imbarcazione sulla quale viaggiano si imbatte in una terribile tempesta e affonda: gli unici superstiti sono Pi e una tigre del Bengala di nome Richard Parker, i quali dovranno dividere una scialuppa in mezzo all'Oceano Pacifico tentando il tutto per tutto pur di sopravvivere.

 

Trasformare un romanzo quasi interamente ambientato su una scialuppa in mezzo all'oceano in un lungometraggio, è stata certamente una delle sfide più ardue che il regista Premio Oscar Ang Lee abbia affrontato nel corso della sua carriera. Il racconto, così ricco di significati simbolici, si prospettava, dal punto di visivo, come una rappresentazione piuttosto statica: immaginare di poter catturare l'interesse del pubblico mostrando per due ore un ragazzo su una scialuppa che cerca di non farsi divorare da una tigre, sembrava un progetto piuttosto utopico agli occhi del futuro regista cosi come dello sceneggiatore David Magee (Neverland- un sogno per la vita) che avrebbe dovuto trasformare il romanzo in un soggetto cinematografico altrettanto degno di nota. Ciò di cui entrambi erano certi è che “Vita di Pi” era una storia avvincente, che doveva essere raccontata. Su ciò, sull'atto stesso della narrazione, Lee e Magee decisero allora di puntare, attraverso la costruzione di una cornice narrativa che guidasse la storia: Pi avrebbe raccontato la propria avventura allo scrittore che avrebbe messo nero su bianco la sua vita.

 

Tramite le parole del protagonista veniamo, quindi, catapultati in mondo fatto di colori, suoni, usi e costumi lontanissimi da quelli occidentali. Dal punto di vista visivo “Vita di Pi” si presenta come una sinfonia di colori e immagini di straordinaria bellezza e capacità comunicativa, un viaggio fantastico in un universo surreale, che riporta alla mente l'arte di Dalì e il suo fantastico “Sogno causato dal volo di un'ape”.

 

La narrazione inizia con la nascita del protagonista e il racconto della sua infanzia: Pi bambino che viene deriso per il suo nome, il rapporto con i suoi coetanei e l'incontro con Dio. La fede, intesa nel suo senso più assoluto, avrà un ruolo centrale nella vita del protagonista.

Per il giovane Pi non esiste un solo Dio: praticante convinto di tre religioni diverse (induista, cristiana e islamica) già da bambino, Pi mostra una fede enorme in un'entità superiore che però non riesce ben ad identificare. Le sue convinzioni, che a tratti sfociano nell'animismo, restano salde, almeno fin quando misticismo e irrazionalità, non si scontrano con la dura realtà. Scena topica e fulcro del film in questo senso è il primo incontro di Pi con Richard Parker, la stupenda tigre del Bengala, punta di diamante dello zoo “di famiglia”. Convinto che l'animale possegga un'anima e quindi capisca che l'allora poco più che bambino Pi non vuole fargli del male, quest'ultimo apre il cancello che lo divide dall'animale e gli porge un pezzo di carne. A sventare la quasi certa imminente catastrofe giunge il padre di Pi che, per dare una lezione al figlio, gli mostra quale sia l'unico istinto che guida una bestia cosi feroce: questo è il momento che lo stesso Lee ha definito il “Bar Mitzvah” di Pi, la perdita dell'innocenza.

 

Per ritrovare lo sguardo puro con il quale da bambino Pi guardava la tigre che credeva sua amica, bisognerà attendere quindi il naufragio della nave. La convivenza forzata dei due sulla scialuppa in mezzo al mare sarà un momento di crescita e riflessione per il ragazzo: fede e razionalità inizieranno una lotta che durerà oltre duecento giorni e non si concluderà con una vittoria univoca.

 

Il finale ambiguo lascia allo spettatore la facoltà di decidere da che parte schierarsi: gli avvenimenti, le storie che ci vengono narrate assumono il significato che l'ascoltatore vuole attribuirgli, questo è ciò che il film di Ang Lee sembra suggerirci.

di Maria Rita Graziani


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