Gli storici dell'arte tra le le rovine dell'Aquila e di un Paese che disprezza la sua bellezza

Ogni zona rossa è una questione nazionale

06 Maggio 2013   12:01  

Storici dell'arte tra le le rovine dell'Aquila e di un Paese che disprezza la sua bellezza. In circa 700 hanno sfilato in corteo per le vie del centro storico dell'Aquila a sostegno della ricostruzione e con loro anche il ministro dei Beni Culturali, Massimo Bray.

''E' il primo nostro corteo nella storia della Repubblica italiana - ha detto l'ideatore dell'iniziativa, Tomaso Montanari - perché L'Aquila non e' solo una questione dell'Abruzzo, e' una questione nazionale''.

E dunque, come è scritto a chiare lettere nel documento finale redatto dagli storici dell'arte italiani, bisogna garantire un flusso del finanziamento costante, bisogna rinunciare ad ogni progetto di trasformare L’Aquila in una sorta di parco a tema ad abuso e consumo dei soli turisti e benestanti, ma bisogna porre come priorità il ritorno degli abitanti nei centri storici.

Bisogna che L’Aquila risorga com’era e dov’era, seguendo i dettami della Carta di Gubbio, e che non si ricorra a demolizioni di edifici anche modesti, al diradamento ed isolamento e nuovi inserimenti nel tessuto urbano medioevale che è un patrimonio di bellezza da difendere nel suo insieme.  

Nella consapevolezza che il restauro conservativo significa anche personale qualificato e la garanzia di una ricostruzione che abbia un senso, mentre la logica dell' '''abbatto e ricostriuisco in calcestruzzo guadagnandoci il doppio'', favorisce la mediocrità vorace ed ignorante di professionisti indegni, ed anche le infitrazioni delle mafie.

E gli storici dell'arte chiedono con forza che non si ceda all’assurda tentazione di improprie ‘modernizzazioni’ con improvvidi innesti urbani contemporanei a firma delle varie archistar o aspiranti tali, i cui interventi spesso rappresentano devastazioni che si aggiungono a quelle dei terremoti.

Tutti temi sviluppati in un convegno che si è tenuto nella chiesa di San Giuseppe Artigiano. La prima chiesa ad essere dopo il terremoto restaurata e riaperta, in un modo che, va detto per completezza di informazione, ha fatto rischiare a Vittorio Sgarbi e anche a più autorevoli esperti di restauro conservativo, un infarto e vari attacchi epilettici.

Del resto a L'Aquila il Comune è arrivato ad elaborare un bando di gara per un monumento in ricordo delle vittime del sisma che esclude la partecipazione degli artisti, ed è rivolto invece ad ingegneri, architetti e financo geometri. 

Il convegno si è concluso con un intervento di Salvatore Settis, che ha usato parole durissime contro le new town e la gestione miope e speculativa dell'emergenza da parte di Berlusconi e Bertolaso, e ha più volte ribadito la portata nazionale ed anzi mondiale della sfida rappresentata dalla ricostruzione dell'Aquila e di tutti i paesi abruzzesi colpiti dal sisma.

di Filippo Tronca
montaggio di Marialaura Carducci

A seguire un bilancio della giornata di Tomaso Montanari pubblicato sul Il Fatto quotidiano il documento finale degli storici dell'arte italiani.

L’Aquila, dopo i discorsi l’Italia l’ha abbandonata

di Tomaso Montanari

Ieri gli storici dell’arte italiani si sono trovati all’Aquila per scuotere con forza tutte le istituzioni e ogni cittadino italiano: non ha paragone al mondo la tragedia di un simile centro monumentale (già) abitato che ancora giaccia distrutto, a quattro anni dal terremoto che l’ha devastato, e dalle scelte politiche che l'hanno condannato a una seconda morte. Dopo la migrazione di massa nelle new town imposta dalla Protezione Civile di Bertolaso e Berlusconi e passivamente subita dall'amministrazione Pd, il centro monumentale poteva morire in pace: non serviva più a nulla.

Se non a resuscitarlo, con calma, per farne un parco a tema, Aquilaland. Un destino prefigurato dall’ipotesi di parcheggi sotterranei e centri commerciali a spese del tessuto storico monumentale e abitativo.

L’Aquila è oggi, suo malgrado, il simbolo della perdita di tutti gli elementi centrali della tradizione culturale italiana: il rapporto strettissimo tra città e cittadini; tra monumenti e vita politica; tra arte e spazio pubblico.

Coerentemente con questo progetto distruttivo, durante i tre anni e mezzo del commissariamento berlusconiano nel centro dell'Aquila non si è tirata su nemmeno una pietra.

Da circa sei mesi , invece, è finalmente partita la più colossale campagna di restauri dell’Europa di oggi.

Grazie all’ex ministro Fabrizio Barca e all'impegno di Fabrizio Magani (direttore generale dei beni culturali abruzzesi) e di tutto il personale delle soprintendenze, qualcosa finalmente si è mosso, almeno per gli edifici vincolati: 23 cantieri sono avviati, 2 stanno per esserlo, altri 25 partiranno a breve. In molti casi si tratta di luoghi simbolo: il Teatro nell’ex chiesa di San Filippo Neri (avviato con un milione e duecentomila euro raccolti dal cd “Domani”), Palazzo Ardinghelli (i primi 7 milioni vengono dal governo russo), la chiesa della distrutta cittadina di Onna, finanziata dal governo tedesco. O la meravigliosa basilica dove riposa San Bernardino, il grande predicatore senza denti che infiammava l’Italia centrale del Quattrocento contro le lobbies degli usurai e del gioco d'azzardo.

Ma è solo un timido inizio. Il centro è particolarmente esteso perché l'Aquila è una delle rarissime città fondate dai suoi stessi cittadini, e con un piano urbanistico dettagliatissimo in cui gli innumerevoli e meravigliosi spazi pubblici nascono proprio per rappresentare i tanti castelli del Comitatus Aquilanus che nel XIII secolo cercarono uno spazio comune che non fosse solo un mercato, ma una città.

Di questo passo, per riavere l'Aquila com’era e dov’era bisognerà aspettare tra venti e trent’anni, ammesso che duri il flusso dei finanziamenti: un miliardo all’anno per i primi dieci anni. E già il primo miliardo appare in forse, come è apparso chiaro durante un’audizione di Barca al Senato, una settimana fa.

Anche ammesso che i fondi arrivino, diventa vitale che il restauro del centro sia progressivamente accompagnato dal ritorno degli abitanti.

Non possiamo aspettare l’arco di una generazione per far trasferire gli aquilani dalle new town nelle loro vere case: bisogna immaginare una politica di incentivi che acceleri questo processo, e che faccia progressivamente rivivere il centro. Per far questo, la ricostruzione deve inserirsi in una pianificazione urbanistica governata dalla mano pubblica, e non deviata da interessi privati.

Ad essa spetterà anche decidere del futuro delle new town: alcune dovranno essere abbattute, per ripristinare il paesaggio oscenamente cementificato, altre potranno forse trovare un uso proficuo, ma solo all'interno di un piano preciso.

Ma sarà possibile arrivare ad un progetto di città, in un Paese che non sembra avere un progetto su se stesso?

 

STORICI DELL'ARTE A L'AQUILA

IL DOCUMENTO FINALE

«Gli storici dell’arte riuniti all’Aquila oggi, 5 maggio 2013, intendono scuotere con forza tutte le istituzioni e ogni cittadino italiano.

Vogliamo ricordare che non ha paragone al mondo la tragedia di un simile centro monumentale abitato che ancora giaccia distrutto, a quattro anni dal terremoto che l’ha devastato e a quattro anni dalle scelte politiche che l’hanno condannato a una seconda morte. La prima cosa che vogliamo dire è che l’Aquila è una tragedia italiana, non un problema locale. È questo il senso della nostra presenza fisica, è questo il senso della volontà di guardare con i nostri occhi i monumenti aquilani in rovina.

L’articolo 9 della Costituzione impone alla Repubblica di tutelare il patrimonio storico e artistico «della Nazione» attraverso la ricerca: ecco, oggi la comunità nazionale della storia dell’arte è all’Aquila. Per dire che il centro dell’Aquila è un unico monumento di assoluto valore culturale che appartiene alla Nazione: e che ora la Nazione deve essere al servizio dell’Aquila. Mai come oggi, mentre finalmente i primi ventitré cantieri iniziano a prendersi cura di alcuni tra gli edifici monumentali del centro, è vitale che il sapere critico, la ricerca, l’insegnamento, la professionalità degli storici dell’arte siano a disposizione degli organi di tutela pubblici.

E noi ci siamo. Siamo anche profondamente consapevoli del valore civile della storia dell’arte, e non accettiamo la riduzione della nostra disciplina a leva dell’industria dell’intrattenimento ‘culturale’ al servizio del mercato. Ed è per questo che affermiamo con forza che la ricostruzione della città di pietre non basta. Per questo la nostra giornata è intitolata alla «ricostruzione civile». Gli storici dell’arte sanno che la città di pietre ha senso solo se è vissuta, giorno dopo giorno, dalla comunità dei cittadini.

E questo legame vitale all’Aquila è stato volontariamente spezzato. Così, anche ammesso che, tra vent’anni, riusciamo ad avere l’Aquila com’era e dov’era, avremo una generazione di aquilani che non è cresciuta in una città, ma nelle cosiddette new town: cementificazioni del territorio senza alcun progetto urbanistico, e anzi immaginate come somme di luoghi privati. Senza spazio pubblico, senza arte, con un paesaggio violato. Dunque, gli storici dell’arte riuniti all’Aquila chiedono con forza:

1) Che il restauro del centro monumentale dell’Aquila, inteso come un unico e indivisibile bene culturale da proteggere, sia la prima urgenza della politica nazionale del patrimonio culturale. Che il flusso del finanziamento sia costante, e che l’andamento dei lavori sia pubblico, e totalmente trasparente. Che questo processo riguardi anche tutti gli altri centri storici del cratere, parti di un unico sistema ambientale, paesaggistico, urbanistico, storico-artistico.

2) Che l’Aquila risorga com’era e dov’era. Che non si ricorra a demolizioni, e non si ceda all’assurda tentazione di improprie ‘modernizzazioni’ del tessuto urbano che violino la Carta di Gubbio. Che il significato civile e sociale di ogni monumento, del suo aspetto storico e della sua connessione con tutto l’organismo urbano che lo accoglie, sia considerato il primo, più importante, inderogabile valore.

3) Che si rinunci ad ogni progetto di trasformare l’Aquila in una sorta di Aquilaland, cioè in un parco a tema che estremizzi quella perdita di nesso tra monumenti e cittadini che consuma giorno per giorno città come Venezia e Firenze. Per questo diciamo no ai progetti di realizzare parcheggi sotterranei, centri commerciali, richiami turistici a spese del tessuto storico monumentale e abitativo.

4) Che il restauro del centro sia progressivamente accompagnato dal ritorno degli abitanti. Non possiamo aspettare venti anni per far trasferire gli aquilani dalle ‘new town’ nelle loro vere case: bisogna immaginare una politica di incentivi che acceleri questo processo, e che faccia progressivamente rivivere il centro.

Per far questo, la ricostruzione deve inserirsi in una pianificazione urbanistica governata dalla mano pubblica, e non deviata da interessi privati.

A questa pianificazione spetterà anche decidere del futuro delle ‘new town’: alcune dovranno essere abbattute, per ripristinare il paesaggio, altre potranno forse trovare un uso proficuo, ma solo all’interno di un piano preciso. Non c’è più tempo: il momento di restituire l’Aquila e i suoi monumenti ai cittadini aquilani e alla nazione italiana è ora».

 

 


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Storici dell'arte tra le le rovine dell'Aquila
convegno tenuto nella chiesa di San Giuseppe Artigiano
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