12 e 13 giugno 2011, quattro anni fa la grande vittoria al referendum contro la privatizzazione dell’acqua e l’energia nucleare.
Quattro anni fa 27 milioni di italiani si sono recati alle urne per votare contro la privatizzazione dell’acqua e contro il ritorno all’energia nucleare.
Nonostante il tentativo da parte di molti di far mancare il quorum necessario per i referendum abrogativi (50% più 1 degli aventi diritto al voto), quasi il 55% delle italiane e degli italiani, contrariamente a quanto stanno facendo nelle ultime tornate elettorali, parteciparono alla consultazione. Circa il 95% dei votanti si espresse a favore dell’acqua pubblica e contro l’energia nucleare. Fu il risultato di una grande mobilitazione popolare partita da tanti comitati e dalle associazioni ambientaliste che riuscirono a coinvolgere milioni di cittadini in migliaia di eventi in ogni parte d’Italia.
In Abruzzo si recò a votare oltre il 57% degli aventi diritto, con una percentuale superiore alla media nazionale.
A distanza di 4 anni che cosa è successo? Come si sono comportati Governo, Parlamento e Regioni? In che modo la politica ha dato seguito alla volontà popolare?
La scelta del ritorno al nucleare sembra esseredefinitivamente accantonata. Gli italiani, ricorda il WWF, si erano già pronunciati in tal senso nel 1987, ma evidentemente non era stato sufficiente. Dopo il referendum del 2011 si dovrebbe stare tranquilli anche se, visto il precedente, l’uso del condizionale resta d’obbligo.
Esiste tuttavia il problema irrisolto della gestione dei rifiuti nucleari: quelli prodotti negli anni passati, quelli derivati dallo smaltimento delle centrali nucleari a suo tempo realizzate e quelli, che continueranno a essere generati anche in futuro, connessi alle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca. Si tratta di circa 90/100mila metri cubi di residui radioattivi che dovranno trovare posto in un unico deposito nazionale per il quale si continua da anni a cercare un sito di localizzazione. Un problema frutto di scelte nel campo energetico che in Italia, come stiamo vivendo direttamente noi abruzzesi, sono state e continuano a essere ancorate al passato. La Strategia Energetica Nazionale privilegia infatti le fonti fossili invece di puntare sul risparmio energetico, sulla messa in efficienza dei sistemi e sulle fonti alternative. Il Governo continua a consentire la ricerca e l’estrazione di idrocarburi ovunque, in mare e a terra, dimostrando di avere maggiormente a cuore l’interesse dei petrolieri piuttosto che le scelte e il benessere dei cittadini.
Viene così tradito lo spirito del referendum del 2011 dal quale era emersa chiaramente la volontà degli italiani in favore di politiche energetiche sicure e sostenibili.
Per quanto riguarda l’acqua, la gestione del servizio idrico, a quattro anni di distanza da quello storico voto referendario, è restata principalmente nelle mani di società per azioni, fortemente condizionate dai partiti politici: un mix micidiale ben lontano dalla gestione comune e partecipata che era stata la richiesta degli italiani. Queste SpA, anche quando sono a capitale pubblico, mantengono un’impostazione privatistica con la tendenza a realizzare profitti lucrando sul bene comune acqua a scapito della qualità del servizio, della risorsa naturale e delle tasche dei cittadini che vedono costantemente aumentare le bollette.
Proprio sul punto delle tariffe si è consumato forse il più grande tradimento del referendum del 2011. Uno dei quesiti referendari chiedeva di abolire la cosiddetta “remunerazione del capitale investito”, un assurdo privilegio che rappresentava almeno il 7% (ma con punte ben più alte) di quanto si paga nelle bollette per il servizio idrico. Se formalmente questa percentuale è stata eliminata dopo il referendum, in realtà è rimasta con altri nomi e gli italiani continuano a pagare per qualcosa che hanno abolito da 4 anni.
Un tradimento perpetrato a danno degli italiani, che segue il mancato avvio della discussione da parte del Parlamento sulla proposta di legge di iniziativa popolare “Princìpi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico” che è stata presentata nel luglio del 2007, sottoscritta da 400.000 italiani e che resta ben custodita nei cassetti.
Analoga sorte ha avuto in Abruzzo una proposta nata dalla base, costruita durante una serie di assemblee e di incontri nei territori e consegnata alle forze politiche regionali nella passata legislatura e mai discussa.
L’esperienza del referendum del 2011 ha dimostrato la grande capacità di mobilitazione della società civile su temi di interesse per tutti, ma al tempo stesso ha evidenziato, se mai ce ne fosse bisogno, l’incapacità della attuale classe politica di ascoltare le istanze che provengono dai cittadini. Il silenzio che le maggiori forze politiche italiane hanno fatto scendere su questi temi aumentano quel solco sempre più profondo tra rappresentati e rappresentanti che è alla base della disaffezione al voto che ha raggiunto nel nostro Paese livelli inimmaginabili fino a pochi anni fa. Un dato sul quale sarebbe finalmente ora di cominciare a riflettere seriamente.