A Pescara un protocollo contro lo sfruttamento sessuale e lavorativo

28 Settembre 2011   12:38  

Un protocollo d'intesa contenente le linee guida per l'identificazione e la tutela delle vittime della tratta e grave sfruttamento sessuale e lavorativo e' stato illustrato questa mattina nei locali della questura di Pescara a tutti i soggetti che lo dovranno sottoscrivere e, quindi, attuarlo.

L'iniziativa e' della Procura della Repubblica di Pescara ed e' finalizzata ad attuare una piu' energica azione di contrasto alle attivita' criminali connesse ai fenomeni di sfruttamento degli esseri umani e a fornire una piu' efficace tutela alle vittime attraverso la piena operativita' degli strumenti legislativi a disposizione (come il soggiorno per motivi di protezione sociale) e l'attuazione di specifici interventi in sinergia tra autorita' giudiziaria, forze dell'ordine, organizzazioni della societa' civile e altri enti.

Si crea quindi una rete organizzata di soggetti in grado di intervenire con competenza portando avanti un lavoro congiunto anche per tutelare le persone sfruttate, recuperarle e favorirne il reinserimento sociale. Si tratta, per il procuratore Nicola Trifuoggi, di "una materia specialistica in cui c'e' bisogno della collaborazione di tutte le componenti. Ognuno dovra' fare la propria parte e si dovra' anche cercare di recuperare le persone sfruttate". "L'approccio intrapreso - ha commentato il questore Paolo Passamonti - ci consentira' di dare una speranza alle ragazze sfruttate, che saranno aiutate da operatori prepaprati, mentre oggi non lo sono. Lo sviluppo sul fronte sociale di questa problematica e' importante". Tra gli altri c'era Vincenzo Castelli, presidente dell'associazione On the road, che ha gia' partecipato ad un protocollo simile a Teramo e Campobasso e si occupa di circa 3.000 - 4.000 ragazze l'anno da Civitanova a Campobasso, prendendone in carico ogni anno 150, seguendole da tutti i punti di vista per farle uscire dallo sfruttamento. Castelli ha parlato della complessita' del fenomeno dello sfruttamento, oggi riconducibile per lo piu' a albanesi e romeni, e della carenza di fondi e dei "finanziamenti sempre piu' liofilizzati che rischiano di far chiudere l'attivita'".


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