La Svimez è l'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, costituita a Roma il 2 dicembre 1946, ed ha per statuto lo scopo di promuovere, nello spirito di una efficiente solidarietà nazionale e con una visione unitaria, lo studio delle condizioni economiche del Mezzogiorno d'Italia, al fine di proporre concreti programmi di azione e di opere intesi a creare e a sviluppare le attività industriali più rispondenti alle esigenze accertate.
Ogni anno l'associazione traccia un rapporto sulla economia del Mezzogiorno.
Il rapporto 2008 è la fotografia di un meridione che versa in condizioni allarmanti e che non riesce a tenere il passo, seppur lento, dell'economia settentrionale.
Lo scenario è quello in cui cresce il rischio di povertà e dove gran parte dei disoccupati, avendo smesso di cercare lavoro, scompaiono dalle statistiche.
In questo quadro non fa certo eccezione la nostra regione, che, anzi, registra la peggior performance a livello nazionale, ma anche rispetto al dato del Mezzogiorno, che nell'arco temporale che va dal 2001 al 2007, vede una crescita del Pil dello 0,7%, rispetto alla crescita zero registrata dall'Abruzzo.
Il Pil per abitante, nel Mezzogiorno è pari a 17.482 euro, nel centro-nord a 30.380 euro, in Abruzzo a 21.195 euro. Riprende, inoltre, il fenomeno migratorio, soprattutto quello giovanile. In Abruzzo il saldo migratorio è più che raddoppiato, passando dal 6,7 del 2006, al 14,3 del 2007.
Di seguito, riportiamo la sintesi del Rapporto 2008.
Un Mezzogiorno che non riesce a tenere il lento passo dell’economia settentrionale, e che da sei anni consecutivi cresce meno del Centro-Nord.
Un’area periferica, un non-sistema infrastrutturale socialmente statico, dove cresce il rischio di povertà e dove i disoccupati scompaiono dalle statistiche: questa la fotografia che emerge dal Rapporto sull’economia del Mezzogiorno 2008 in presentazione a Roma venerdì 18 luglio.
Nel 2007 il Sud è cresciuto dello 0,7%, un punto di meno rispetto al Centro-Nord e in calo di 0,4 punti percentuali rispetto allo scorso anno. Il PIL per abitante è pari a 17.482 euro, il 57,5% del Centro-Nord (30.380 euro), da cui lo separa una differenza di oltre 42 punti percentuali, pari a circa 13mila euro.
In termini di crescita, tutte le regioni registrano segni positivi, tranne la Calabria. In testa alle regioni del Mezzogiorno la Puglia (2%), seguita da Molise (+1,7%), Basilicata (+1,5%) e Sardegna (+1,3%). Quasi ferme Campania (+0,5%) e Sicilia (+0,1%).
A livello settoriale si registra nell’area una tenuta del sistema industriale, cui corrisponde però un forte rallentamento dei servizi: tra il 2001 e il 2007 il settore nel Mezzogiorno è cresciuto dello 0,8% contro l’1,7% dell’altra ripartizione; anche nel 2007 ha registrato una crescita pari a un quarto di quella del Centro-Nord.
Due le cause principali del fenomeno: investimenti che rallentano, famiglie che non consumano. Rilevante infatti il rallentamento degli investimenti fissi lordi dell’area (che hanno fatto segnare nel 2007 un timido +0,5% a fronte del + 2,4% dell’anno precedente), che testimonia il peggioramento del clima di fiducia delle imprese. Sulla stessa linea la spesa delle famiglie meridionali, ferma al +0,8%, circa la metà di quella del Centro-Nord (+1,5%). Da sette anni la dinamica dei consumi interni è poco più che stagnante (+0,5%), a conferma delle difficoltà delle famiglie meridionali a sostenere il livello di spesa.
IL MEZZOGIORNO CRESCE MENO DELLE ALTRE AREE DEBOLI UE
Il quadro diventa sconsolante se confrontato con le dinamiche economiche degli altri paesi europei. Dal 2000 al 2007 il tasso di crescita dell’economia meridionale è stato del 2%, un dato molto lontano da quello spagnolo (+4,9%), irlandese (+5,5%) e greco (+6,2%). In questi paesi sono state proprio le aree deboli, per molti anni ai margini delle direttrici economiche europee, a rilanciare i processi di crescita interni, come ha dimostrato il sorpasso spagnolo.
OCCUPAZIONE A CRESCITA ZERO - CONTINUA LA SCOMPARSA DEI DISOCCUPATI – IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE REALE AL SUD SAREBBE DI OLTRE IL 28%
Come negli scorsi anni, continua il calo dei disoccupati: meno 66mila al Centro-Nord e ben meno 101mila al Sud, con una flessione rispetto all’anno precedente rispettivamente dell’8,6% e addirittura dell’11,2%. Ma non tutti i disoccupati hanno trovato un nuovo lavoro.
Nel 2007 infatti il Mezzogiorno ha registrato un’occupazione a crescita zero, a fronte di un aumento dell’1,4% al Centro-Nord (+234mila in valori assoluti). Molto positivi i risultati di Puglia (+2,2%) e Molise (+2,5%), più modesti quelli di Abruzzo (+0,8%) e Sardegna (+0,9%) mentre la Calabria segna una forte flessione (-2%). Ma dove sono finiti i 101mila disoccupati meridionali?
Una quota consistente ha smesso di cercare un’occupazione. In Campania, ad esempio, nel 2007 i disoccupati sono scesi di oltre 38mila unità, e i nuovi occupati a loro volta sono scesi di 11mila unità. Situazione simile in Calabria (crollo della disoccupazione del 16% - meno 14.600 disoccupati, ma calo degli occupati di oltre 12mila unità), Sicilia (-13mila disoccupati e meno 14mila occupati) e Basilicata, dove i valori si annullano a vicenda (meno 2mila occupati e disoccupati).
In altri termini, negli ultimi sei anni al Sud i disoccupati sono scesi di 635mila unità: 285mila hanno trovato un lavoro, 350mila sono “scomparsi”: non cercano né trovano lavoro. Nel 2007 dunque al Sud gli inoccupati sono aumentati di 147mila unità (+248mila disoccupati impliciti – 109mila
disoccupati espliciti).
Aggiungendo ai disoccupati ufficiali quelli impliciti il tasso di disoccupazione reale al Sud nel 2007 dall’11% attuale più che raddoppierebbe (28%), a fronte del 6,9% del Centro-Nord.
Spina nel fianco il sommerso, che riguarda al Sud circa 1 lavoratore su 5 (19,2%), a fronte del 9,1% dell’altra ripartizione. Nel 2007 i lavoratori irregolari al Sud sono scesi di 66mila unità (-4,8%), arrivando a quota 1 milione 304mila. Agricoltura, commercio e servizi i settori dove si concentrano i lavoratori al nero. Da segnalare la forte presenza di sommerso al Sud nel settore industriale (11,6% contro 1,8% del Centro-Nord), segno delle forti difficoltà delle PMI meridionali. Maglia nera alla Calabria, che nel 2007 registra 2,6 lavoratori irregolari su 10.
FAMIGLIE E LAUREATI A RISCHIO DI POVERTA’
Rispetto al 28% del Centro-Nord, più della metà delle famiglie monoreddito al Sud risulta esposto al rischio di povertà.
Nel 2005 il 18% delle famiglie meridionali ha percepito meno di 1.000 euro al mese e il 20% circa ha guadagnato tra 1.000 e 1.500 euro mensili. Con differenze da regione e regione: nel 2005 più di una famiglia su 5 in Sicilia ha guadagnato meno di 1.000 euro al mese e nelle altre regioni la percentuale varia dal 19 al 17%. Inoltre quasi 14 famiglie su 100 al Sud hanno più di tre persone a
carico (4,1% al Centro-Nord), con punte del 18% in Campania.
Vi sono famiglie in cui non ci si può permettere un pasto adeguato almeno tre volte a settimana (10% sul totale meridionale), né riscaldare adeguatamente l’abitazione (20%) o comprare vestiti necessari (28%). Quasi il 20% delle famiglie meridionali nel 2005 ha avuto periodi in cui non poteva acquistare medicinali. Vasca e doccia in casa mancano ancora al 2% delle
famiglie pugliesi, all’1,5 di quelle calabresi e all’1,4% delle siciliane.
Neanche raggiungere un buon livello di istruzione tutela dall’esposizione al rischio povertà: si trova in questa situazione il 9,4% dei laureati residenti al Sud.
MIGRAZIONI, DAL 1997 IN 600 MILA HANNO LASCIATO IL SUD E IL NUOVO EMIGRANTE E’ PENDOLARE
Negli ultimi dieci anni, dal 1997 al 2007, oltre 600mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno per trasferire la residenza al Centro-Nord. Nel 2007 ai 120mila trasferimenti di residenza si aggiungono 150mila pendolari di lungo raggio, che si spostano temporaneamente al Centro-Nord
per lavorare. Questi flussi di mobilità unidirezionale Sud-Nord sono un caso unico in Europa e testimoniano la distanza economica tra le due aree.
I nuovi emigranti sono in larga parte pendolari: soprattutto maschi, giovani (l’80% ha meno di 45 anni), single o figli che vivono in famiglia, con un titolo di studio medio-alto e che svolgono mansioni di livello elevato nel 50% dei casi, a conferma dell’incapacità del sistema produttivo meridionale di assorbire manodopera qualifica; alti costi delle abitazioni e contratti a termine
spingono a trasferire definitivamente la residenza.
Lombardia, Emilia Romagna e Lazio restano le tre regioni preferite dai nuovi emigranti. Le regioni più soggette al pendolarismo di lunga distanza verso il Nord sono la Campania (50mila unità), Sicilia (28mila) e Puglia (21mila).
IL SUD ANCORA TAGLIATO FUORI DAI FLUSSI DI IDE
Gli investimenti diretti esteri (IDE) nel 2006 (che in Italia rappresentano appena l’1,8% del PIL contro valori medi nell’Ue del 3,7%) sono stati concentrati per appena lo 0,66% al Mezzogiorno, contro il 99,34% del Centro-Nord.
Più in particolare, è stata la Lombardia a ricevere il 68,2% degli IDE a livello nazionale, seguita da Piemonte (11,36%), Lazio (7,8%) e Veneto (4,15%), mentre Campania, Puglia e Basilicata restano ferme allo 0,16%, Sardegna a Abruzzo allo 0,06%, Calabria e Sicilia allo 0,02% e il Molise allo 0,01%.
Forte il divario anche riguardo alla quota di IDE per abitante: negli anni 2002-2006 l’Italia ha attirato in media solo 253 euro pro capite, contro i 608 della Francia e i 1.200 euro del Regno Unito. Di questi, 241 sono concentrati nel Centro-Nord, mentre al Sud vanno soltanto 12 euro per abitante.
Tra i vincoli che penalizzano gli investimenti esteri nell’area la carenza di infrastrutture, la scarsità di servizi alle imprese (aggravata da una burocrazia inefficiente) e la criminalità organizzata.
In questo senso le aree urbane, “in altre aree europee veri motori dello sviluppo, luogo dove si concentrano le funzioni direzionali e innovative, i mercati e le risorse più qualificate” diventano invece al Sud “luoghi di disagio e di svantaggio, dove le donne sono escluse dal mondo del lavoro, le emergenze ambientali e le sperequazioni sociali sono più forti. Lo dimostra il caso Napoli”, dove, al di là dei rifiuti, “è stata messa a nudo l’inadeguatezza del sistema istituzionale e di governance”.
Altra forte carenza nel Mezzogiorno è data dal sistema creditizio locale, che concentra nell’area solo il 17,6% degli sportelli. I confidi meridionali, chiamati a svolgere un ruolo di primo piano nel sostenere il rilancio del sistema industriale, si trovano però in condizione di forte debolezza, con un capitale sociale medio di 470mila euro, meno della metà della media dei confidi settentrionali, e con un volume di garanzie medio di 8,8 milioni di euro, distante anni luce dai 42 del Nord.
MEZZOGIORNO ANCORA TROPPO POCO COMPETITIVO
In base a tre indicatori individuati dalla SVIMEZ (benessere economico, situazione di partecipazione ed equilibrio del mercato del lavoro, livello di sviluppo delle risorse umane e della ricerca scientifica) è stato costruito un indice di competitività che conferma in modo evidente la debolezza del Mezzogiorno.
Sicilia, Puglia, Campania e Calabria registrano i più bassi tassi di occupazione femminile in Europa (sotto il 30%), distanti di quasi 10 punti dalle regioni più arretrate della Grecia e della Spagna e di quasi 20 dall’est Europa. Sul fronte della ricerca pesa la scarsità di laureati nelle discipline scientifiche: (dal 10,4% di laureati sulla popolazione adulta in Sardegna ai 10,8% della Sicilia.
Per trovare in Europa il successivo valore più basso dovremo andare in Extremadura, Spagna, con il 21%.
Non va meglio neanche riguardo alla spesa per ricerca e sviluppo in percentuale del PIL: rispetto a un valore medio Ue dell’1,8%, a parte l’1,2% della Campania tutte le regioni meridionali sono sotto il punto percentuale, fino allo 0,4% del PIL della Calabria.
CONTINUA IL CALO DELLA SPESA PUBBLICA IN CONTO CAPITALE
La quota di spesa pubblica in conto capitale del Mezzogiorno è passata dal 40,6% del 2001 al 35,3% nel 2007, arrivando così al livello più basso dal 1998. Tale quota non solo è ben lontana dall’obiettivo del 45% fissato in fase di programmazione, ma non raggiunge neppure il peso naturale del Mezzogiorno (la media tra la sua quota di popolazione e di territorio) che è del 38% circa. Negli ultimi anni nel Mezzogiorno la spesa “aggiuntiva” nazionale e comunitaria, data l’esiguità delle risorse, si è limitata a compensare le carenze della spesa ordinaria.
La quota di risorse ordinarie ha segnato un ulteriore diminuzione, passando da 11,8 a 10,2 miliardi di euro, dal 24,5% del 2006 al 21,4% del 2007.
Il livello basso della spesa ordinaria ha ultimamente ridotto l’efficacia delle politiche di coesione nazionale. La dispersione delle risorse aggiuntive in molteplici interventi e la progettazione scoordinata degli stessi, gestita soprattutto dagli enti locali, non hanno prodotto i risultati attesi.
INFRASTRUTTURE
Fatto pari a 100 il valore Italia, riguardo alla dotazione di autostrade il Sud è fermo al 78,6%, con livelli particolarmente bassi per Molise (37,4) e Basilicata (13,4), fino ad arrivare alla Sardegna, totalmente priva di autostrade.
Non va meglio sul fronte delle ferrovie: il 42% delle linee presenti nell’area non sono elettrificate. Sottodotate anche le linee di trasmissione elettrica e del gas (67,3% dell’Italia), che raggiungono percentuali ancora più basse in Basilicata (49,2%), Molise (37,4) e Sardegna (32,2). Fa eccezione la Campania, che registra il 123,1%.
L’indice sintetico di dotazione di reti idriche ferma il Sud al 65,6%, la metà circa del Centro-Nord (135,2). Nel Mezzogiorno inoltre il 37% dell’acqua immessa in rete viene perso, con percentuali particolarmente elevate in Sardegna (43,2%) e Puglia (46,3%).
Molise e Basilicata sono totalmente prive di aeroporti; tutti gli aeroporti meridionali hanno collegamenti stradali, ma mancano quelli ferroviari.
Particolarmente carente la presenza di strutture intermodali (37,8%) e di magazzini all’interno dei porti, ancora troppo piccoli e orientati soprattutto al traffico passeggeri. Scarsissima la capacità di movimentazione dei mezzi per il trasporto merci, che dota il Sud di un indice pari a un centesimo della media nazionale.
Unica eccezione in questo panorama, il porto industriale di Gioia Tauro, che è tornato a essere il porto di transhipment leader nel Mediterraneo, con 3,5 milioni di TEU di traffico e una crescita del 19,1% rispetto al 2006.