Aquiloutlet, paesaggi puntiformi, il destino di Dresda

20 Marzo 2010   13:05  

Sebastian Storz, uingegnere di fama mondiale, rappresentante del Forum fur Baukulter, nel corso del convegno di Italia nostra di giovedi ha parlato dell'Aquila che potrebbe essere parlando di come è diventata la sua Dresda, in Germania est.

La città tedesca, bombardata e distrutta nel 1945, sotto il regime comunista, restò un rudere tra i cui mozziconi di palazzi pascolavano le pecore. Poi con un grande progetto internazionale e massicci investimenti, dopo la caduta del muro, cominciò la sua ricostruzione. La cattedrale, sulla spinta della volontà popolare, fu rifatta identica a quella vecchia di cui quasi nulla era rimasto, così come il resto del centro storico.

Ma la Dresda di oggi, non c'entra nulla con quella del 1933, e la ragione non è architettonica, ma è dovuta al fatto che il centro storico è stato si ricostruito, ma come una sorta di gigantesco e sontuoso out let di proprietà delle finanziarie e delle banche, dove non ci vive nessuno, e dove ci sono solo negozi e uffici. Dresda, che oramai è un immensa e anonima periferia non ha riavuto, dopo mezzo secolo la sua piazza, perché essa non è il cuore pulsante della città e il luogo d'incontro di cittadini che abitano nel centro storico, ma un non-luogo di passaggio per turisti e consumatori.

L'unica cosa autentica rimasta erano le antichissime cantine e i sotterranei, risalenti al seicento, dove gli abitanti di Dresda si rifugiarono durante il bombardamento e si salvarono la vita. Ebbene: ora le ruspe stanno distruggendo quei luoghi ipogei della memoria collettiva e dell'identità, per fare posto ai parcheggi multi-livello, che servono a chi va a fare shopping nei negozi del centro, e ai pullman dei turisti.

Questo processo di mutazione genetica e mercantilizzazione del centro storico, avverte Storz, può ripetersi anche a L'Aquila. Il progetto CASE ha rappresentato di fatto un'esplosione urbanistica, la nascita di un nuova città di sola e sperduta periferia, che determina fatalemte, come avvenuto in tante altre città europee. la morte dei centri storici, che per la cultura millenaria europea rappresentano quanto di più prezioso possa esserci. il loro spopolamento, o nel caso dell'Aquila del suo mancato ripopolamento. Perché, tra dieci anni, i tempi annunciati della ricostruzione, la vita sociale ed economica della città, si sarà spostata in periferia, e sarà molto difficile, come avviene in tante altre città europee, riportare la gente in centro.

In un seconda fase, poi i centri storici abbandonati, perdendo valore immobiliare, diventano facile preda dei colossi immobiliari, che li ricomprano a buon prezzo e li trasformano però di fatto in centri direzionali e centri commerciali diffusi. In una scenografia di città, insomma.

L'ingegnere Storz ha dato poi un saggio di lettura del territorio aquilano. I quartieri del progetto CASE sono da lui definiti ''treni urbanistici'' che spezzano e rovinano il ritmo puntiforme dei borghi abruzzesi, costituiti da un ritmo meraviglioso e perfettamente inserito nel superbo paesaggio circostante, di piccole case, torri chiese e castelli.

I quartieri del CASE, sono delle intrusioni che saranno definitive, e comprometteranno il futuro della città, la rinascita del centro storico.

L'urbanistica, fa capire Storz, è guardata con disprezzo perché è un sapere che contrasta le mire degli speculatori edilizi, dei palazzinari che fanno soldi con la crescita caotica e senza senso delle città, grazie a continue varianti al piano regolatore, all'assenza di una strategia di sviluppo urbano che mette al centro l'uomo, e non come loro vogliono, il mattone e il profitto. Il brutto urbano è cioè figlio esclusivamente dell'arrivismo.

Da tutta Europa, osserva poi Stroz, arrivano a L'Aquila venditori all'ingrosso di case, che propongono soluzioni abitative che nulla hanno a che fare con la grammatica del paesaggio e la sua storia. Si propongono dacie, finti castelli, villette tirolesi, scatole di polistirolo. Questo spiega Storz significa devastare l'identità di una terra. L'unica che ci è stata data in dono, e che dobbiamo consegnare ai nostri figli.

Filippo Tronca


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