Contagiati da epatite dopo trasfusioni, anziano ed eredi di una donna risarciti dal ministero

Sangue infetto trasmesso negli ospedali di Pescina e Tagliacozzo

24 Luglio 2014   11:29  

Una stangata non da poco per il Ministero della Salute, condannato dalla Corte d'Appello dell'Aquila ad un maxi risarcimento di circa 800.000 euro nei confronti di due pazienti (in un caso, degli eredi) ammalatisi in seguito a trasfusioni infette.

Il primo riguarda una donna deceduta nel 2006 a 75 anni, che nel 1973, ricoverata presso l'ospedale di Pescina per un'intervento chirurgico, contraendo il virus dell'epatite C in conseguenza di una trasfusione di sangue infetto. La Corte d'Appello non ha riconosciuto al ministero una "presunzione d'ignoranza" ed ha quindi accolto la richiesta di risarcimento dei parenti della donna, quantificato in 541.000 euro, creando un importante precedente in materia.

Pressoché identico il secondo caso, riguardante un 86enne ancora in vita che aveva contratto l'epatite C in analoghe circostanze nel 1983 presso l'ospedale di Tagliacozzo. Anche in questo caso il giudice, ritenendo che gli operatori sanitari avrebbero dovuto essere a conoscenza dei rischi di sangue infetto, ha accolto la richiesta dirisarcimento, fissato in 226.000 euro.

In primo grado, entrambe le richieste erano state respinte, poiché il tribunale aveva stabilito che, essendo il virus dellepatite C stato scoperto solo nel 1988, non poteva essere ancora noto alla scienza medica, e non c'era dunque stata omissione da parte del ministero.

Sentenza ribaltata dalla Corte d'Appello, secondo la quale "già all'epoca delle trasfusioni subite il Ministero della Salute aveva l'obbligo del controllo e della vigilanza in materia di raccolta e distribuzione di sangue umano per uso terapeutico", e quindi era già a conoscenza dei rischi di trasmissione di epatite virale.


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