Crisi dello spettacolo o spettacolo della crisi?

14 Dicembre 2011   12:07  

Secondo una tradizione antica e, purtroppo profondamente radicata nel mondo dello Spettacolo italiano, è bastato che un Ministro un po’ più determinato del suo predecessore, sia riuscito ad ottenere un “reintegro” del Fondo Unico dello Spettacolo, perché, fatta salva qualche poco incisiva forma di protesta come quella che da alcune settimane vivacchia all’interno del Teatro Valle di Roma, operatori, attori, registi – insomma tutti! – abbiano ripreso ad attendere alle loro cure abituali.

D’altra parte, essendo l’intero comparto restato praticamente senza rappresentanza vera dopo l’eclissi dell’AGIS, manca persino il “luogo” in cui individuare ed affrontare i problemi numerosi e gravi che minacciano la sopravvivenza stessa, ad esempio, del Teatro facendo temere il divampare di una crisi senza soluzioni.

Intanto, in qualche cassetto delle Commissioni Parlamentari della Camera dei Deputati, giace negletta e abbandonata, una proposta di legge riguardante, lo Spettacolo dal Vivo, che sembrava aver ottenuto l’assenso di tutti, con la prospettiva di un’approvazione, proprio in Commissione, in sede deliberante.

Era forse il 2009 quando l’annuncio di tale imminente miracolo legislativo venne dato da più di un padre (o di una madre!). Da allora, però, tutto è silenzio! Con i tempi ormai sempre più calamitosi però, qualcuno dovrebbe riprendere un concreto discorso di prospettiva partendo da un esame accurato e scevro da reticenze della situazione attuale. In questa sede limiteremo il discorso al settore Teatro di Prosa, sapendo che anche la Musica e la Danza soffrono più o meno degli stessi mali, per vedere come funziona il sistema.

Accedono al Fondo Unico dello Spettacolo - il mitico FUS! - soggetti, tutti di natura giuridica privata, ma dalle “vocazioni” diversificate, anche se a volte in maniera più asserita che reale. In ogni caso, la peculiarità di tutti indistintamente tali soggetti risiede nel fatto che nessuna delle fattispecie in cui sono inclusi (teatri stabili, compagnie private, circuiti regionali ecc.) ha tratto origine da una specifica norma statuale, ma al contrario, per ciascuna di esse, la norma ne ha sancito a posteriori esistenza, natura, funzione, diritto al sostegno pubblico.

Si può, dunque, affermare che le norme sono intervenute sempre a regolamentare ciò che si era già affermato nella realtà, quasi sempre in verità come risposta ad esigenze avvertite in maniera diffusa: valga per tutti l’esempio dei Circuiti Regionali nati, nella prima metà degli anni ’70, come tentativo di assicurare un aspetto culturale al decentramento amministrativo regionale. Il fatto è che, successivamente, le mutate esigenze del Paese non hanno avuto dalle categorie interessate risposte nuove ed efficaci, per cui da quasi un decennio la situazione appare cristallizzata, segno evidente di crisi per un comparto che dovrebbe informare alla “trasformazione continua” la sua stessa esistenza.

Un esame sia pur sintetico delle cause che hanno inceppato il sistema può essere tentato partendo da un’altra premessa: in Italia, come nel resto d’Europa, lo Spettacolo non riesce a sopravvivere senza il sostegno finanziario pubblico che non è rappresentato solo dal FUS, ma anche da interventi integrativi del sistema delle Autonomie Locali, per cui, quando capita che lo Stato, oltre a non adeguarlo al costo della vita, riduce il FUS contestualmente ai suoi interventi a favore delle Autonomie Locali, gli operanti del comparto, se non chiudono bottega, hanno solo due alternative: ridurre drasticamente l’attività con il rischio di non raggiungere i parametri di accesso al FUS; indebitarsi, innanzitutto con lo Stato sul piano del ritardato o mancato versamento di tasse e contributi.

Allora, anche in vista degli annunciati rivolgimenti relativi alla riorganizzazione delle Autonomie Locali, sarebbe necessario mettere finalmente mano ad una riforma del sistema spettacolo stabilendo, per esempio, che non si possono chiedere gli stessi indici di attività a soggetti che operano in contesti profondamente diversi tra loro: i minimi richiesti al Piccolo Teatro di Milano a cui lo Stato assicura una sovvenzione annua di oltre sei milioni di euro, non possono più essere gli stessi del Teatro Stabile d’Abruzzo la cui sovvenzione supera di poco quattrocentomila euro, tanto per fare un esempio macroscopico della “irragionevolezza” di regole che, se non modificate, ci avvicineranno sempre più rapidamente al momento in cui i cittadini saranno costretti ad assistere, invece che a spettacoli teatrali, solamente allo Spettacolo della Crisi e a niente altro! Per quanto concerne l’Abruzzo l’annuncio della crisi è già venuto dalla impossibilità della Regione di sostenere finanziariamente le varie leggi sulla cultura, a causa dei debiti del settore sanità. A soffrirne di più sono le Istituzioni operanti nell’ambito del Cratere che hanno perduto, per il sisma del 2009, le sedi e, quindi, anche la possibilità di conservare il loro patrimonio di pubblico, con conseguenti ripercussioni negative anche sul piano occupazionale.

Recentemente si è costituito un Comitato cui è stato demandato il compito di portare avanti una vertenza spettacolo rivolta a tutti i livelli istituzionali locali e nazionali da cui incomincia ad arrivare qualche timido segnale di attenzione, per il momento solo teorica. Se son rose fioriranno, ove per “rose” si intendono mezzi finanziari utili almeno a colmare il taglio dell’ottanta per cento operato dalla Regione a partire, guarda caso, proprio dall’anno del terremoto! Se così non dovesse essere, con chiara reminiscenza dannunziana, i responsabili delle Istituzioni si troveranno a recitare:” Settembre andiamo…A portare i libri in Tribunale per la liquidazione di Associazioni che vantano dai trenta a settanta anni di attività, che è servita a connotare l’Aquila come Città di Cultura”. Enzo Gentile


Oroscopo del Giorno powered by oroscopoore