Cronaca di un disastro...facilmente prevedibile

Bentornato Quasiquasi.it

15 Aprile 2009   23:37  
Nell'umida serata al Sisma camping di Piazza D’Armi, navigare su internet talvolta è davvero una panacea. Non si può tutte le sere cantare il karaoke, fare il publico dolente durante le dirette televisive, o voltolarsi nella disperazione e sulla branda. E navigando scopro che è tornato on line www.quasiquasi.it, sito diretto da Mario Camilli che è stato pioniere nell’informazione on line in Abruzzo. Mario come molti di noi non ha più casa, però in compenso è tornato ad abitare nella rete, dopo un paio di anni di assenza.Festeggiamo il lieto evento con un benaugurante copia-incolla di un interessante articolo a firma di Jacopo Arpetti. Voci critiche, occhi attenti e pensieri capaci di edificare mondi, ora come mai sono preziose qui nel mezzo del cratere sismico. 

 

Cronaca di un disastro...facilmente prevedibile

Prevedere i terremoti? Non è facile, anzi è impossibile. Tuttavia, non poterne segnalare -a fatto avvenuto- l' insorgere è grottesco.
Oltre ai pilastri delle palazzine, si sono sgretolati anche quelle dei soccorsi. Le strutture portanti avrebbero dovuto resistere all’emergenza. Come in un surreale concorso dove viene premiata l’imperizia, fra i primi tre classificati, vediamo sfilare sulla passerella:
al terzo posto la Questura; poi, a seguire, la Prefettura; mentre -incontrastato- in prima posizione, abbiamo il nostro “gigante dai piedi d’argilla”, il nostro ospedale.

Popoliamo il paese europeo con il più alto tasso di sismicità, ma è evidente: in Italia, le tragedie non ci insegnano nulla.
In questi centri avrebbe dovuto aver sede la regia. In scena c’era una tragedia.
Chi dirigeva chi?

Ad essere disorientati non eravamo i soli. Sul proscenio veniva rappresentata un’ emergenza nell’ emergenza: alla pianificazione, a quello che doveva essere un copione studiato in ogni minimo particolare, si è sostituita l’improvvisazione, dilettantesca, dei politici locali.

Se per decidere in quale istante sgomberare la città -e mettere tutti in salvo- è necessaria la palla di cristallo (i “precursori” dei terremoti sono falsi miti), è evidente che la cosa più saggia dai fare, sia elaborare un meticoloso piano che permetta di fronteggiare simili eventi.
Invece, dalla Prefettura, non è stato possibile nemmeno inviare la prima richiesta d’aiuto. Dal Palazzo del Governo non arrivavano ordini: l’emergenza, che doveva essere coordinata e gestita in maniera tempestiva, non è stata affatto diretta. Non è stato possibile convogliare le prime colonne di soccorsi in direzione delle località maggiormente colpite.
Io ero nel cuore del disastro. Ho potuto toccare con mano, l’inefficienza, l’immobilismo, l’inerzia -vi assicuro, assoluti- della classe dirigente locale.
Se è ragionevole che i politici non corrano dietro ai loro esperti di fiducia e che si lascino sedurre da teorie che non sono pienamente affidabili, bisogna, invece, pretendere, che si facciano promotori ed ideatori di un “disegno” che permetta a chi sta vivendo la tragedia di fuggire, e che permetta ai soccorritori di portare il loro aiuto.
L’Aquila non ha potuto godere di una programmazione, sia pur minima ed elementare.
Inerme, assistevo ad una “danza” di mezzi di soccorso che non riuscivano a trovare l’ingresso di quel intricato labirinto che, nel centro torico, sono interdette al traffico.
Un groviglio di pali, paletti, “dissuasori” che non permetteva a chi voleva fuggire, di individuare una via di scampo; e a chi voleva portare il proprio aiuto, ai soccorritori, di mettere in salvo vite. Un autentico percorso di morte.
Il caposquadra dei Vigili del fuoco di Chieti, in una corsa forsennata, m chiedeva -contrariato- indicazioni, urlava: “Ma come si entra?”.
La fuga assomigliava ad un percorso ad ostacoli, nonostante fossimo, già da più di tre mesi, ostaggi di un implacabile sciame sismico.
La presidente della Provincia parla di una “tragedia annunciata”, denuncia una strana tendenza a sottovalutare le scosse, che lei classifica come premonitrici.
Rischio di apparire banale, ma non riesco a non chiedermi: “E lei, la presidente? Lei cosa ha fatto?” Forse, chiudere un occhio non paga. Forse, sono stanco di essere italiano.

Jacopo Arpetti

 

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