Ecco come burocrazia e politica affossano una impresa: la storia dei colleghi di Prima da Noi

Riprendiamo e condividiamo l'editoriale di Alessandro Biancardi

03 Gennaio 2012   10:55  

Nell’anno della crisi nera per l’intero globo riuscire a spuntare due assunzioni, di cui una a tempo indeterminato, è già un successo.

Se poi si considera che a farla siamo noi, cioè PrimaDaNoi.it, significa davvero che il precariato nel mondo del giornalismo è una scelta precisa degli editori. Ma la scelta dettata da una linea precisa del giornale, che si avvale di meno di 5 collaboratori per poterli pagare al meglio, si è dimostrata (visto come sono andate le cose) una scelta dura e onerosa.

Assumere non è cosa semplice e gli incartamenti ed i documenti da fare (le tasse da pagare) sono moltissime e di vario genere. Da soli è impossibile ed occorre un commercialista esperto. Ci sono da aprire posizioni all’Inpgi, all’Inail, versare contributi di ogni tipo e a conti fatti se l’editore stanzia, per ipotesi, 100 il dipendente se ne mette in tasca, se va bene, 55.

Una scelta che vorrebbe essere un esempio per le altre testate giornalistiche che invece si fondano sul precariato e la prova forse che con molti sacrifici si può evitare di sfruttare e spremere. Questo aspetto non è secondario nella vicenda che ci ha coinvolto e che in parte già conoscete e riguarda un bando della Regione per l’assegnazione delle chiavi per le agenzie di stampa, in pratica un aiuto della Regione per le piccole testate giornalistiche che in questo modo risparmiano sugli abbonamenti all’Ansa.

All’inizio del 2011 il presidente Gianni Chiodi decide che bisogna tagliare le spese (ma poi sono state davvero tagliate?) e così nella lista finiscono anche i finanziamenti destinati alle agenzie di stampa. Possibile? Proprio non c’erano alternative?

Da subito parlammo di Chiodi che avrebbe inferto il «colpo mortale al web», la scelta della istituzione pubblica ci era sembrata molto parziale, contraddittoria, inopportuna e per certi versi inutile (abbiamo visto che gli sprechi sono altri e di diversi importi).

Che qualcosa ci fosse sotto e che l’intento era quello di colpire le testate del web ci poteva stare visto che la prima intenzione era quella di un bando che a prescindere escludeva il web.

Possibile? Tutto è possibile nell’era dell’Abruzzo commissariato.

Ci sono state timide reazioni e riunioni sindacali e con l’apporto dei rappresentanti dei giornalisti si è arrivati ad una seconda edizione del bando. Chi pensa male farà pure peccato (per quello che valgono oggi i peccati) però l’idea che si voleva in qualche modo discriminare quella parte delle testate giornalistiche più difficili da controllare e manipolare si è radicata in noi ancora di più. Il meccanismo è stato più o meno questo: via il divieto a prescindere per il web e dentro una serie di paletti praticamente impossibili da raggiungere per le piccole realtà editoriali (cioè quelle che maggiormente avrebbero bisogno di aiuto).

Ed infatti hanno protestato le piccole radio mentre gli altri hanno preferito tacere. Tra le varie condizioni imposte dalla Regione anche l’assunzione di almeno due collaboratori fissi contrattualizzati. Noi abbiamo voluto fare di più e al collaboratore fisso abbiamo aggiunto un giornalista assunto a tempo indeterminato e questo ci ha permesso di vincere il bando rientrando nella esigua graduatoria.

Ci pareva di aver fatto abbastanza e di più, invece, la Regione che ha mille risorse da una parte richiede assunzioni e dall’altra dice che la maniera per certificare le assunzioni sia soltanto una: quella che sia l’ente previdenziale (in questo caso l’Inpgi) a certificare la regolarità contributiva e non il singolo giornalista a richiederla.

Le amministrazioni pubbliche però (non ci crederete) non sono tutte veloci e spesso si incappa in persone che o se la prendono comoda o hanno poca dimestichezza. La verità è che da settembre richiediamo il certificato richiesto dal bando all’Inpgi senza poterlo ottenere. Da ultimo si è scoperto che per errori non nostri la relativa registrazione di tutti i dati che riguardano la nostra azienda non erano stati trascritti e riversati correttamente nel sistema dell’Inpgi. Risultato: nessuna regolarità contributiva e nessun certificato, anzi, multe salate in vista.

E’ bastata però una mail con una decina di allegati al nostro commercialista per provare il contrario.

Nel frattempo dall’ufficio stampa regionale che si è occupato del bando ci hanno sempre rassicurato ed il responsabile del procedimento, Sante Iavarone, intrattenutosi in frequenti colloqui con il nostro commercialista sembrava aver capito il problema asserendo anche che i termini (60 giorni) per produrre la documentazione non erano perentori. Le parole se le pronta il vento perché pochi giorni dopo, invece, arriva la mannaia e la revoca della vittoria del bando. Inutile dire che a nulla sono valse telefonate e email inviate alla Regione nella quale per certificare il rapporto di lavoro abbiamo inviato buste paga e versamenti dei contributi.

Il risultato è che saremo penalizzati, senza un servizio che è comunque utile per lavorare al meglio, non indispensabile ma che pesa se tutti gli altri ce l’hanno. Il risultato è che purtroppo la Regione e la politica che c’è dietro, di fatto, con questa operazione è riuscita a penalizzarci ancora.

Anche in questo modo si influisce direttamente per inquinare la libera concorrenza e mortificare la libertà d’impresa e lo si capisce se si considera che ancora oggi il web, che è in espansione ovunque, in Abruzzo è messo da parte. E’ in questo modo che penalizza chi decide di dare le notizie a prescindere da chi riguardino e si foraggia chi oggi potrà avere un occhio di riguardo. E’ così che si fabbricano i falsi consensi e si inquina la democrazia.

Nessuno ci ha ancora spiegato come facciano gli enti pubblici a continuare ad affidare servizi di comunicazione istituzionale senza interpellare anche noi che continuiamo a crescere dal punto di vista della diffusione. Nonostante tutto.

Non c’è ancora nessuno che ci ha spiegato quali sono le regole che si applicano per girare milioni di euro di fondi pubblici ai giornali per la pubblicità. Regole che di fatto inquinano il mercato, fanno crescere alcuni e soffocano gli altri (questi ultimi guarda caso sono anche quelli un po’ più liberi). Non ci hanno ancora spiegato perché 1 milione di euro viene regolarmente girato alle reti televisive locali (che fanno pure informazione sul web, dunque nostri concorrenti) e per gli altri non ci siano risorse. Come si fa a reputare giusto che decine di migliaia di euro vengano girati a emittenti cittadine che hanno una diffusione di gran lunga inferiore rispetto a noi?

Tutto questo non ci piace ed è la prova che le istituzioni sono infestate da una politica poco trasparente che continua a calpestare valori fondamentali e a perseguire interessi privati.

Ma noi andiamo avanti nonostante tutto, nonostante questa politica che vorrebbe vederci sparire per sempre. Faremo molta più fatica nel nostro lavoro, questo sì, saremo costretti a non pubblicare notizie che abbiamo, causa sfinimento, e sapremo fare di sicuro a meno della propaganda sterile che ogni giorno viene prodotta a quintali.  

Andiamo avanti ed abbiamo deciso di raddoppiare la posta e tra qualche settimana tutti i nostri lettori potranno rendersi conto che con fatica e con pochi spiccioli è ancora possibile essere liberi e onesti e investire sul futuro. Nonostante la classe dirigente che ci ritroviamo.

 Alessandro Biancardi  30/12/2011 16:51

PS. … e che sia un 2012 migliore per tutti


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