Eluana Englaro. Divise nelle idee, unite nell'amore per la vita

Risposta ad Agnese Pellegrini

26 Novembre 2008   09:25  
In seguito al primo confronto sul caso Englaro e al successivo intervento di Agnese Pellegrini, segue la riposta di Giovanna Di Carlo, corrispondente da Roma per Abruzzo24ore. L' intervento mira a commentare il contributo della Capolista di "Aborto? No grazie", in uno spirito di scambio reciproco e confronto autentico, affinchè si possano fornire più informazioni possibili sul dramma di Eluana, ed esprimere i diversi orientamenti che animano la società civile di fronte ad interrogativi esistenziali di enorme portata , come quelli connessi all' eventualità di istituire il testamento biologico, e alla libertà di sospendere l'alimentazione artificiale in casi vegetativi permanenti che si prolungano per anni e anni.

 

Cara Agese,

ho già espresso la mia gratitudine per il coraggio con cui affronti il caso Englaro, e confermo la mia riconoscenza per l’apertura che dimostri nel commentare idee e interventi differenti dai tuoi. Esprimere il mio punto di vista su questo dramma, troppe volte strumentalizzato solo per fare notizia, mi riempie di timori, ma accolgo il confronto e mi accingo a rispondere al commento che gentilmente hai inviato in redazione, e pubblicato nella giornata di ieri.

Quando affermi lo stato di disinformazione e superficialità dei media in relazione ad alcuni termini da me utilizzati nello scorso intervento, non mi trovi pienamente d’accordo, forse non ho chiarito bene quanto volevo affermare: con il termine “macchina” mi riferivo al concetto più ampio dell’artificialità con la quale certe terapie somministrate al paziente in stato vegetativo permanente, non migliorino né guariscano l’organismo, ma semplicemente ne ritardino la morte.

In tal senso considero anche l’alimentazione artificiale tramite sondino nasogastrico utilizzato per nutrire Eluana, che tu non consideri differente da tante altre persone disabili, anche “meno gravi” di lei, che vengono curate per mezzo della stessa tecnica. Sostieni che “Eluana non è malata”, che “non è pericolo di vita”. Mi chiedo a quale “vita” tu ti riferisca.

Se parliamo di quella vegetale siamo d’accordo. Se invece ti riferisci a quella che definisce il percorso psicoemotivo di un essere umano, allora devo dissentire: da quando venne portata in ospedale nel lontano gennaio del 92, in seguito ad un gravissimo incidente, Eluana vegeta, non vive. Non si può dire neanche che dorma, perché nel sonno il cervello elabora immagini tridimensionali e sensazioni, eventi a lei tragicamente preclusi da una corteccia “irreversibilmente compromessa dal trauma e dalle emorragie celebrali” che sono seguite al ricovero.
Ripeto la degenerazione, accertata dal mondo medico come “irreversibile” delle funzioni connesse alla corteccia, ha annullato tutte le facoltà che distinguono un essere umano, non dall’animale, ma dal vegetale: vista, udito, linguaggio, sogni, affetto, emozioni,relazioni, cognizione, in altri termini l’intera sede organica della coscienza umana, il tutto a conclamare uno stato vegetativo “permanente” e non “persistente”, poiché sono trascorsi molto più di 12 mesi dall’inizio di tale penoso stato.

Da 17 anni il corpo della bellissima ragazza apre le palpebre su occhi che non vedono, né tantomeno possono tradurre in immagine qualche stimolo, uno di essi non reagisce nemmeno alla luce. Ogni giorno il suo organismo viene nutrito da una sonda nasograstrica infilata nello stomaco, produce feci che devono essere estratte mediante periodici clisteri, il rene elimina le scorie producendo l'urina che fuoriesce continuamente dalla vescica attraverso un catetere, le labbra sono scosse da un tremore continuo, i quattro arti paralizzati e tesi in uno spasimo, i piedi in posizione equina. Che altro deve accadere ad una persona perché il suo stato venga definito "disumano"? Non è accanirsi questo?

Ma in effetti hai ragione a ritenere il termine inadatto: Eluana va oltre ogni definizione classica di “malattia” perché la sua coscienza biologica è morta. Non può compiersi ,nè realizzarsi, né porsi, né interagire come persona, ma soltanto esistere come esiste una pianta.

Riguardo alle definizioni di “stato vegetativo permanente”, e del termine “accanimento terapeutico” mi sento più vicina a quelle fornite per anni dalla letteratura e dall’esperienza medica , e vorrei riprendere quelle espresse dalla commissione istituita da Veronesi, allora ministro della Sanità, proprio sull’alimentazione forzata tramite idratazione e nutrimento via sonda nasogastrica. Il testo parte dalla differenza tra stato vegetativo persistente e permanente. Nel primo caso,"ci si riferisce solo a una condizione di passata e perdurante disabilità con un incerto futuro", mentre nel secondo "l'aggettivo permanente ne indica l'irreversibilità[…]. Prima di dichiarare permanente, cioè irreversibile, lo stato vegetativo di origine traumatica di un soggetto adulto, è necessario attendere almeno dodici mesi. Trascorso questo lasso di tempo, la probabilità di una ripresa di funzioni superiori è insignificante[…]. Nel caso di soggetti in SVP la nutrizione e l'idratazione si riducono alla somministrazione di composti chimici che solo i medici possono prescrivere e controllare, mentre il beneficiato non può rendersi conto di essere alimentato. Non c'è gusto, né volontà né misura, i piatti sono sonde e i bicchieri flaconi di flebo, non si assiste il paziente aiutandolo a mangiare o a bere, ma si sopperisce alle esigenze del suo corpo attraverso una sonda nasogastrica, o una tecnica simile, che ha solo l'effetto di ritardare il momento della morte. Per questo, secondo la commissione, questi atti costituiscono un trattamento medico sproporzionato e poco rispettoso della dignità dell'individuo: sono un chiaro esempio di accanimento terapeutico”.

Anche se il ministero del Welfare ha voluto produrre un documento nel quale si ritengono “imprecisi” i termini “permanente” e “irreversibile” affinchè si mostrasse maggiore delicatezza verso le persone in stato vegetativo, la sostanza nel caso di Eluana -aggiungerei purtroppo- non cambia: le funzioni cognitive sono andate irrimediabilmente distrutte, indipendentemente dal tronco cerebrale che, non danneggiato completamente, riesce ancora regolare il ritmo sonno veglia, e la respirazione.

Gli esseri umani aspirano a qualcosa di più, e lei lo sapeva quando vide l’amico nello stesso stato in cui versa il suo corpo oggi. Questa considerazione mi riporta ad un’altra affermazione che tu hai voluto condividere con noi, e precisamente quella in cui consideri “presunta “la libertà di Eluana di non prolungare un’esistenza solo corporea. Scrivi: “nessuno ha il diritto di scegliere la morte e di essere aiutato a perseguirla, tant’è vero che il suicidio assistito è punito dal codice penale”.

Cara Agnese, questo non è un caso di suicidio assistito, neanche vi si avvicina. Non è un gesto eutanasico quello che il signor Englaro si avvicina a compiere dopo anni di sentenze negative, studi scientifici, analisi cliniche, percorsi umani, commissioni mediche riunite ad hoc e convegni di bioetica. La sentenza che gli concede il diritto di sospendere l'alimentazione artificiale del corpo di Eluana dopo 17 anni, non è stata emessa con superficialità, ma dopo lunghi periodi di dibattito, confronto e sofferenza. E in merito al diritto di scelta, nel nostro caso non si relaziona al voler morire, ma “al come” il trapasso debba avvenire. In pace, senza tubi sonde o cateteri, liberi dall’ angosciosa prigionia dell’ incoscienza, evitando se possibile di martirizzare un genitore che, come il padre di Eluana, per 17 lunghi anni non ha potuto piangere l’amata figlia, né elaborare un lutto che si prolunga dolorosamente privo della speranza spirituale di saperla libera in una dimensione dove, si auspica, dolore e martirio non esistano.

Un’ultima considerazione vorrei farla in relazione all’età che consideri troppo “giovanile” ai fini della scelta/testamento biologico. Al di là del fatto che raramente età anagrafica e tempo interiore coincidano, i 20 anni di Eluana erano allora, i 20 anni di tante persone che intraprendono percorsi e scelte importantissime a livello esistenziale, come quella ad esempio di formare una famiglia. La sua scelta non venne dettata dall’incoscienza della condizione che si accingeva, quasi fosse una profezia, a subire, ma dal dramma che respirò e apprese nella stanza d’ospedale dove giaceva immobile l’amico ridotto in stato vegetativo. Provata da quell’esperienza Eluana aveva a parer mio tutto il diritto di esprimersi sulla propria morte, momento sacro che fa parte della nostra vita, passaggio evolutivo che non dobbiamo considerare come una punizione, ma come un’ aspetto naturale e connesso alla nostra esistenza come a quella dell’intero Pianeta. Sono d’accordo con te sul dono immenso della vita, ma mi fido dell’essere umano quando sceglie coraggiosamente per se stesso tramite il libero arbitrio, in tal senso considero la libertà di scelta importante quanto la coscienza di sé affinchè l’esistenza possa definirsi Vita.



Giovanna Di Carlo

 

 

 

 

 


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