Giorgio Cremaschi a Chieti per presentare il movimento politico Ross@

22 Ottobre 2013   16:39  

Giovedì 24 ottobre, alle ore 17.30, presso la sala consiliare della Provincia di Chieti, si terrà l'incontro di presentazione del movimento politico ROSS@ nato dalla necessità di costruire l'unità delle forze antagoniste, in totale alternativa al centrosinistra.

Parteciparà il sindacalista Giorgio Cremaschi.

'''Quello di ROSS@ non è anticapitalismo da convegno- spiegano gli organizzatori - , non serve ad abbellire il mondo che ruota attorno al PD, bensì è un progetto di rottura.

Per queste motivazioni abbiamo partecipato in maniera massiccia alle mobilitazioni del 18 e 19 ottobre e affermiamo con rigore e intransigenza l'urgenza dell'unità antagonista, indicando le responsabilità di chi si attarda a difendere le proprie macerie.'''

 

La dichiarazione comune

Questo non è un appello, ma una proposta di lotta.

Vediamo e viviamo la miseria, l’offesa alla libertà e alla dignità della persona, la devastazione della natura esercitate ogni giorno da parte di un capitalismo criminale.

Un giorno una corte di giustizia dovrà essere istruita contro i responsabili di questi crimini contro l’umanità.

Ma ora dobbiamo prima di tutto smettere di piangere, rimboccarci le maniche e lottare.

Siamo donne e uomini con diversi percorsi politici, di lotta sociale e ambientalista, per le libertà civili la democrazia e l’uguaglianza.

Abbiamo in comune la volontà, la passione e la rabbia di non rassegnarci e di non arrenderci.

Certo il socialismo reale è crollato nel passato per sue colpe, ma il capitalismo reale oggi distrugge il presente e il futuro.

Per questo torna all’ordine del giorno la necessità di costruire un’alternativa all’attuale sistema economico, sociale e politico.

Per questo oggi più che mai sentiamo vive le nostre radici comuniste e libertarie, antifasciste e antirazziste, femministe e ambientaliste.

Non c’è liberazione possibile nel compromesso con l’attuale governo autoritario dell’economia e della società.

Lo hanno capito le donne e gli uomini del Mediterraneo, che ci insegnano a ribellarci.

Lo hanno capito donne e uomini dell’America Latina che si mobilitano per il socialismo del XXI secolo.

Lo hanno capito tutte e tutti coloro che fin sotto i templi del denaro e del potere nei paesi più ricchi hanno gridato: noi siamo il 99%!

Lo hanno capito quelle donne e quegli uomini d’Europa, che dalla Grecia alla Islanda, dalla Spagna a Cipro, scendono in piazza per rovesciare quelle politiche di austerità che stanno uccidendo ogni residuo di stato sociale e democrazia.

Noi ci sentiamo, vogliamo, essere parte di tutto questo.

L’Europa è oggi occupata dal regime della Troika e dei governi che la sostengono. Il popolo non è più sovrano, è solo debitore. Tutti i governi fanno guerra sociale ai loro popoli. La democrazia è ridotta a spettacolo televisivo.

Noi crediamo che, come nel 1848 e nel 1945, tutta l’Europa debba liberarsi dalla tirannia: allora dei sovrani assoluti prima e del fascismo poi, oggi del capitalismo finanziario e della sua oligarchia economica, politica e culturale.

Noi crediamo che sia all’ordine del giorno la necessità di un cambiamento rivoluzionario.

Noi non facciamo nessun generico appello all’unità.

Noi ci uniamo per la rottura con questa Europa e con questo capitalismo, per costruire una nuova storia comune.

È necessario che anche in Italia tornino in campo il pensiero critico, i progetti, le pratiche di un movimento politico anticapitalista di massa. Oggi questo in Italia non c’è e noi proponiamo di ricostruire partendo dal conflitto sociale.

Non ci nascondiamo le macerie che abbiamo intorno. Sinora tutti i tentativi di far emergere un progetto politico anticapitalista unitario dalle lotte sociali, civili, ambientali e per la libertà delle donne sono falliti. Questi fallimenti hanno precise responsabilità politiche, ma rimandano anche ad una questione più di fondo.

Oggi la sola lotta di classe pienamente legittimata è quella che viene dai ricchi verso i poveri, dai padroni verso gli operai, da chi ha il potere verso chi non ne ha. Tutti i bisogni, i diritti e le libertà degli oppressi sono invece contrapposti e frantumati tra loro.

Noi pensiamo che ci sia un nesso profondo fra dominio capitalistico e patriarcale, fra sfruttamento e mercificazione e che non ci siano bisogni di liberazione che possano essere sacrificati ad altri.

La dignità di chi lavora non può essere sacrificata al diritto a lavorare ed entrambi non possono venir prima del diritto alla salute e alla salvaguardia dell’ambiente. Non c’è lotta sociale e ambientale che venga prima di quella per la libertà e l’autodeterminazione delle donne. Riifiutiamo ogni contrapposizione fra diritti dei nativi e dei migranti.

Il capitalismo che si proclama liberale, ancora più astutamente in questa epoca di crisi, contrappone i bisogni di liberazione degli uni a quelli degli altri tirando la coperta stretta delle libertà dal lato che più gli conviene. I giovani precari contro i genitori occupati, l’ambiente contro gli operai, i diritti delle donne contro quelli del lavoro. La risposta non è il prevalere di un interesse sugli altri, ma invece il reciproco riconoscimento su un piano di parità e la costruzione dell’unità tra i conflitti contro gli avversari comuni.

La più grave crisi economica dal dopoguerra si abbatte sull’Italia, e non ci sono vie per superarla se si resta nel campo di quel pensiero politico unico che oggi viene definito come riformismo, ma che in realtà è solo una cultura politica del meno peggio, una tecnologia del potere adottata da tutte le forze che si alternano al governo e che ha come primo obiettivo quello di impedire o sterilizzare il conflitto sociale.

La democrazia italiana è commissariata, come mostra l’istituzione del pareggio di bilancio in Costituzione votata da PD, PdL e Monti. Le scelte di fondo, politiche ed economiche, sono definite dal pilota automatico, cioè dai vincoli e dalle regole del fiscal compact e dei trattati di Maastricht e Lisbona, dal supergoverno della Troika.

Tutto questo è precipitato su una democrazia già devastata da venti anni di berlusconismo e da un contrasto subalterno ad esso, quale quello condotto dal centrosinistra e dalla grande stampa. L’antiberlusconismo ha spesso mutuato dal suo avversario i principi di fondo, quali il maggioritario e la governabilità, la centralità del mercato e il liberismo, le privatizzazioni e l’anticomunismo. A volte è sembrato che l’accusa principale a Berlusconi sia stata quella di non essere un vero liberale di destra.

Anche per queste ragioni la domanda di cambiamento e rottura in Italia si è rivolta in gran parte al M5S. Essa esprime un bisogno di rottura democratica giusto, ma insufficiente. Non ci sarà vera trasformazione democratica senza una profonda e radicale trasformazione sociale. I poteri del capitalismo globalizzato e della casta sono intrecciati tra loro in un sistema oligarchico di potere che governa anche il senso comune con i grandi mezzi di comunicazione di massa. Se non si rovescia il potere di questa oligarchia, le rotture dei privilegi della casta saranno marginali e di puro effetto mediatico, il potere vero sopravviverà e riderà di noi.

Il cambiamento non si realizzerà se la lotta contro le caste burocratiche non sarà parte di quelle contro lo sfruttamento del lavoro e la devastazione della natura, contro la mercificazione delle vite e la disuguaglianza sociale, contro il patriarcato e la violenza maschile contro le donne.

Agli inizi del nuovo secolo il grande movimento che portò alle giornate di Genova sembrava aver individuato la strada della costruzione di un soggetto politico anticapitalista di massa, nel quale tutti i conflitti potessero liberamente riconoscersi. La catastrofica esperienza della partecipazione della sinistra radicale al governo Prodi ha distrutto questo percorso.

Un soggetto anticapitalista di massa non può che essere alternativo sia al social-liberismo del centrosinistra, sia al conservatorismo del centrodestra, che in Italia ed in Europa – a volte in alternanza, a volte proprio assieme – governano con le stesse politiche economiche e sociali. I

Privatizzazioni, flessibilità e precarietà del lavoro, tagli progressivi alla scuola pubblica alle pensioni e allo stato sociale, sono scelte comuni a questi due schieramenti; come dimostra il governo Monti, che ha distrutto le pensioni e l’articolo 18 con il sostegno di entrambi e il silenzio dei grandi sindacati.

La concertazione sindacale ha accompagnato e cogestito la regressione sociale e dei diritti del lavoro. Per questo una alternativa radicale alle politiche liberiste passa anche attraverso la la lotta per restituire a lavoratrici e lavoratori un grande movimento sindacale di classe, democratico e indipendente dai partiti.

Alternativa oggi vuol dire prima di tutto NO all’Europa del fiscal compact e dell’austerità imposta dai trattati e dai loro vincoli. Bisogna dire NO ora alle missioni di guerra e alla Nato.

Alternativa oggi vuol che dopo trenta anni di politiche liberiste prima di tutto bisogna distruggere la disoccupazione di massa.

Alternativa significa il rifiuto del vincolo del debito, la nazionalizzazione e la socializzazione delle banche e delle imprese strategiche, l’istituzione di poteri democratici reali e diffusi nei luoghi di lavoro, nel territorio, nelle istituzioni. Ci vuole un piano di grandi interventi pubblici per milioni di piccole opere, cancellando tutte le TAV che distruggono ambiente e lavoro.

Alternativa significa la costruzione, la difesa, la riappropriazione e gestione sociale dei beni comuni, contro la mercificazione delle vite, dell’ambiente e della salute, della conoscenza.

Alternativa, perché bisogna riprendere la marcia verso l’eguaglianza sociale partendo dalla riduzione generalizzata degli orari di lavoro, dall’abbassamento della età della pensione, dalla cancellazione delle leggi sulla precarietà, e di quelle sullo schiavismo e la criminalizzazione dei migranti.

Alternativa perché ci vuole una grande redistribuzione della ricchezza verso il basso, con un generale ed egualitario incremento delle retribuzioni e delle pensioni più basse, e con la istituzione di un reddito minimo garantito.

Alternativa, perché nulla di tutto questo potrà essere realizzato con le vecchie classi politiche di destra e di sinistra e con l’attuale sistema di concertazione burocratica sindacale.

Alternativa, perché un movimento politico anticapitalista è necessario per ricostruire forza e unità in tutto il mondo oppresso e disperso dalla precarizzazione devastante che ha imperversato in questi venti anni.

Noi siamo con quella grande maggioranza che oggi paga la crisi, dal lavoro dipendente privato e pubblico al lavoro autonomo e parasubordinato, al precariato diffuso manuale ed intellettuale, al popolo delle grandi periferie metropolitane, agli immigrati, alle donne espulse dal lavoro e colpite dai tagli allo stato sociale.

Noi siamo con le popolazioni del Meridione, che pagano due volte la crisi e che non vogliono precipitare nella desertificazione economica e sociale, nel non lavoro, nello sfruttamento schiavistico dei migranti e nella nuova emigrazione.

Noi lottiamo per la costruzione di una rappresentanza politica che non abbia come prima e unica ragione la presenza nelle istituzioni, ma che sia strumento della ricomposizione e organizzazione conflittuale del blocco sociale degli oppressi. Nessuno si deve più vergognare e isolare per la sua povertà, solo le relazioni solidali e il conflitto rompono la solitudine.

Occorre rompere con ogni subalternità al centrosinistra, con l’opportunismo elettoralistico, ma anche con quei settarismi e quella frantumazione che hanno portato la sinistra comunista e anticapitalista italiana ad essere la più piccola e ininfluente dEuropa. Ci sono tante esperienze di sinistra alternativa che crescono in Europa. Esse ci dicono che la strada che vogliamo percorrere è praticabile, purché si abbia il coraggio di ripartire su nuove basi.

Proponiamo di costruire un movimento politico anticapitalista e libertario di donne e uomini che vogliono lottare, sulla base di un programma di alternativa economica, politica e culturale, con adesioni individuali e pratiche di democrazia realmente partecipativa, con un sistema di relazioni plurali ed aperte.Vogliamo costruire questo movimento ed il suo programma imparando dalle lotte sociali e delle esperienze concrete in atto.

Pensiamo alla lunga resistenza del popolo della Valle Susa, capace di mobilitazioni di massa, di azioni dirette, di conflitto e iniziativa istituzionale. Pensiamo alle organizzazioni popolari per il consumo e per il diritto all’abitare, alle lotte degli operai che spontaneamente hanno scioperato contro la cancellazione dell’articolo 18 e a quelle dei migranti contro il caporalato della logistica, alle mobilitazioni degli studenti, degli insegnanti, dei ricercatori.Tutte queste lotte annunciano e reclamano un nuovo spirito unitario e nuove modalità di partecipazione e organizzazione. Vogliamo che esse siano gli elementi costituenti del movimento politico.

Siamo tuttora in differenti esperienze e in diverse organizzazioni politiche e sociali, ma riteniamo urgente l’avvio di un percorso comune, che vogliamo aperto, senza esclusioni basate su piccole discriminanti o pregiudiziali.

Per noi la sola condizione indispensabile per partire è sentire la profonda necessità di costruire ora e assieme un movimento politico anticapitalista e libertario di massa, alternativo e indipendente rispetto agli attuali grandi schieramenti politici.

Per questo motivo convochiamo un primo incontro aperto a tutte e tutti coloro che vogliono confrontarsi che siano interessati a un comune percorso per costruire l’alternativa.

Vogliamo con esso dare avvio a un viaggio comune nelle lotte e nelle sofferenze del paese. Alla fine di esso convocheremo una assemblea per decidere.


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