Giovani, creativi e occupati. Ecco i nuovi trentenni d'Abruzzo

Intervista a Luca Di Francescantonio

23 Maggio 2009   23:13  
Non tutti i giovani sono giovani. Alcuni vivono pochi istanti di ebbrezza giovanile. La freschezza della carne, l’ingenuità della mente, il battito scalpitante del cuore. Poi di colpo invecchiano. Hanno scelto di essere educati piuttosto che educare. Hanno preferito la tradizione allo Spirito del Tempo, i vecchi modelli alla ricerca del sé,  il comfort del consenso alla rottura degli schemi, il vissuto di chi li ha preceduti all’esaltante movimento che fonda la nascita di una nuova epoca.

Altri giovani invece scelgono di assolvere la funzione che da sempre la natura assegna loro. Quella di rappresentare il Nuovo, il cambiamento, l’evoluzione della specie umana. Ogni società ne vanta una porzione. La nostra, dominata dal timore del cambiamento e dalla celebrazione di ideologie ormai fatiscenti, sceglie quasi ogni giorno di ignorarli. Ma a loro non importa. Si perché come ogni ''vero giovane'' che abbia solcato le strade di questo Pianeta hanno in mente una sola cosa: cambiare le regole del gioco, indipendentemente dalle controindicazioni. Ed eccoli lì i veri giovani del nuovo Millennio: romantici, ipertecnologici, spirituali e fortemente laici. Hanno integrato gli opposti senza per questo cadere preda della schizofrenia. Vogliono tutto. Il grande amore, la famiglia, il lavoro della vita. Poliedrici e trasversali si tuffano nel mare dell’esistenza con una fiducia sconfinata che molti riterrebbero pura incoscienza. Precari per obbligo o per vocazione fanno della transitorietà uno stile di vita. Ma conoscono ciò che vogliono e lo sanno, prima o poi lo otterranno. Tra cadute, successi, e ferite di guerra giungeranno a sentirsi realizzati, perché hanno accettato il conflitto, hanno detto la loro, hanno permesso al Nuovo di fluire nel mondo, così come la nascita di nuovi germogli indica all’albero che è ancora vivo …

L’appuntamento di oggi è dedicato ai giovani creativi d’Abruzzo. L’intervista a Luca Di Francescantonio, trentenne e grafico pubblicitario lancianese, evidenzia il grande impegno che molti giovani abruzzesi investono nella ricerca e nell’affermazione della propria dimensione creativa, laddove “creare” significa principalmente “muovere in avanti” percorrendo territori sconosciuti e concetti fino ad ora ritenuti inafferrabili, nell’arduo tentativo di imprimere la propria essenza in una società ancora risucchiata dal trionfo dell’immagine e dal dover apparire.

L’ultimo lavoro pubblicitario di Luca è stato talmente provocatorio da conquistarsi una nomination come miglior campagna pop dell’anno. Le selezioni avverranno nell’ambito della nota mostra internazionale dell’agroalimentare Tutto Food 2009 che si terrà presso la Fiera di Milano dal 10 al 13 giugno prossimi. Nell’immagine della campagna una giovane donna dall’aspetto vergineo e nel mentre sensuale riceve un’ostia costituita da una fetta di salame. Un soggetto talmente ironico ed esplosivo da indurre chiunque al sorriso. 

Ciao Luca, perché il mestiere di grafico pubblicitario?


“La mia passione per la comunicazione visiva è iniziata svariati anni fa. Sono cresciuto con i fumetti e la cultura pop di Mtv, con le sue immagini immediate, accattivanti. Come grafico cerco però di andare oltre l’immagine, elaborando soggetti che non siano unicamente puliti e ben definiti ma anche provocatori…andando oltre la consueta definizione del bello”.

Soffiare l’anima nell’immagine pubblicitaria creando un soggetto d’arte necessita però di un certo grado di libertà, aspetto che raramente il mondo del lavoro concede.

“Infatti da circa due anni sono freelance . Guadagno di più e le cose si gestiscono meglio in assenza di strane intermediazioni. Godo di una maggior tutela nei lavori che faccio e mi sento più creativo, non ci sono più molti filtri tra me e il cliente, e la cosa mi aiuta a comprenderlo meglio dandogli una maggiore importanza. In questo momento della mia vita la libertà ha un valore fondamentale, è la radice di ogni mio lavoro. Ovvio che si tratta di un’autonomia basata sul rispetto del cliente, un’indipendenza che non intende stravolgere quanto da lui richiesto. Quel giusto respiro in assenza del quale tutto il lavoro risulta penalizzato”.

In cosa consiste il tuo essere creativo, il valore aggiunto che offri al mondo circostante?

“Quando si è creativi lo si è anche quotidianamente, stando insieme agli altri. Un particolare modo di fare ti rende riconoscibile in mezzo alla gente. Per me ad esempio è normale rimanere colpito da quanto mi circonda. A volte mi perdo nel contorno di una casa, nella fisionomia di un volto, nella forma particolare di un albero. Prendo alcuni elementi dalla realtà e li rielaboro in modo del tutto personale, partendo da una sensibilità che ha a che fare con il mio vissuto”.

Come vivi il rapporto tra comunicazione pubblicitaria e realtà?

“Il linguaggio pubblicitario è un grande gioco di metafore, allusioni, allegorie. I concetti, gli oggetti, le immagini vengono reinterpretati. Qualsiasi creativo abbia a che fare con il linguaggio visivo deve trasformare quanto vede in qualcosa d’altro, seguendo quelle che sono le concezioni dell’ inconscio collettivo. La pubblicità è una metafora del mondo moderno, una sorta di nuova parabola capace di raccontare, molto più di prima, quanto ci sta intorno, chi siamo, come viviamo.”

Si dice che ogni creativo sfidi continuamente se stesso. Qual è la tua sfida?

“Il mio obiettivo è l’elaborazione di immagini sottilmente diverse da quanto prescrive il senso comune. Allo stesso tempo, il rapportarmi con il cliente o l’azienda che mi affida la pubblicizzazione di un prodotto mi porta a volerlo interpretare sulla base della sua particolarità, della sua unicità, dei vantaggi che offre. La sfida è quella di dar vita ad un messaggio visivo capace di trasmettere, in una manciata di secondi, quanto di vantaggioso e unico quel prodotto offra al consumatore, nonché la realtà stessa dell’azienda che lo produce”.

Anche se enfatizzato e volontariamente distorto lo scenario mostrato dalla pubblicità parla di noi, dei nostri rituali, delle nostre illusioni. Quanto spazio dedichi nei tuoi lavori a messaggi di tipo sociale o esistenziale?

“Nella pubblicità c’è sempre un certo grado di provocazione. Considero come provocazione anche la rappresentazione del tuo esatto opposto. Quando il prodotto trasmette il senso opposto di ciò che sei  significa che non ha nulla a che fare con te. Siamo ciò che mangiamo, ciò che indossiamo, ciò che scegliamo. La pubblicità è il primo specchio, il primo allarme, la prima spia di come una società si muova. Alcune immagini possono essere molto potenti. Adesso ad esempio sto lavorando ad una campagna shock per una nota azienda di salumi, si tratta di un messaggio alquanto provocatorio, che qualcuno potrebbe definire persino blasfemo e che in realtà accede a diversi significati, non solo inerenti il prodotto: c’è questa ragazza che viene imboccata con una fetta di salame, a mò di ostia. Oltre all’ironia e al gioco trasmessi dal primo impatto può esservi letta anche una critica al cattolico moderno, visto come un salame, senza spina dorsale. Se man mano che esce, la campagna non indignerà nessuno per me non potrà che essere un dispiacere…”

Essere giovani e creativi in Abruzzo. Cosa significa per te?

“Le nuove generazioni della Regione non sono supportate da alcun movimento che sia culturalmente forte, almeno per quanto riguarda l’ultimo ventennio. Qualche decennio fa in altre realtà come Roma, Bologna, Milano e Torino nascevano disegnatori di fumetti, graphic designer, scrittori che avevano voglia di provocare, smuovere, comunicare. Per quanto riguarda invece ciò che percepisco intorno a me, nella realtà della Regione, vedo una situazione ferma, bloccata. A livello pubblico manca uno slancio deciso, in grado di favorire quell’humus creativo di cui si parlava. Mancano gli spazi, mentre i fondi per dare il giusto palcoscenico ai giovani creativi d’Abruzzo sono sempre insufficienti. Poi ci sono le giuste eccezioni, le associazioni culturali di cui Pescara ad esempio è spesso sostenitrice, cosa che non posso dire di Lanciano, il comune in cui vivo”.

Quanto spazio offre Lanciano alla creatività giovanile?

“Fondamentalmente vedo un Comune interessato ad altre problematiche, forse più urgenti. Ciò che critico maggiormente ad una certa parte ideologica è la mancanza di movimento culturale. Ci vorrebbe più mecenatismo. Se devo invece riferirmi a noi giovani  a volte penso che ci aspettiamo le cose su un piatto d’argento. Non c’è più quella voglia di creare movimento. Qui a Lanciano ci sono ragazzi davvero molto bravi che nonostante il talento non riescono a creare quel movimento in grado di generare visibilità. Se mi sposto di appena 30 chilometri vedo una situazione pescarese completamente diversa, giovani iperattivi, mostre collettive di grafica e design... Ad ogni modo non vedo ancora quel massimo della provocazione che secondo me occorre all’Abruzzo, una Regione che potenzialmente ha tutto, bella in ogni senso eppure ferma, ancorata al vecchio. Credo che tocchi a noi creativi svegliarci in questo senso”.

Ho l’impressione che certa politica vecchio stampo osteggi l’ingresso delle nuove generazioni, sempre più trasversali e disincantate verso il rassicurante quanto fatiscente modello destra-sinistra.

“Per certi versi potremmo intimorire. Se così fosse significherebbe che la nostra potenza culturale viene riconosciuta, vista, considerata. Io invece credo che il problema risieda nell’ignoranza di certe persone al potere. Una classe politica distratta, anziana, che si interessa ai giovani solo quando può tramandarsi attraverso di loro così com’è, trasformando anch’essi in vecchi. Riconoscere il valore del nuovo è cosa rara in quella che è la cultura dominante della Regione”.

Un aspetto che comincia a manifestarsi anche a livello mediatico …

“C’è una grande distanza tra chi si occupa di pubblicità presso studi affermati e i giovani creativi che come me amano provocare e smuovere l’opinione pubblica. Ci sono studi che vantano i clienti più importanti d’Abruzzo. Le campagne che elaborano sono spesso molto studiate dal punto di vista del marketing, ma poco originali dal punto di vista della comunicazione. Immagini pulite, impeccabili si susseguono sulle mura cittadine di Vasto. Manifesti tutti uguali realizzati da studi che impongono lo stesso stile da anni. Anche a Pescara la stessa cosa: vedi quei 4-5 nomi importanti che rappresentano il made in Italy come il made in Abruzzo,  pubblicizzati da studi altamente professionali che non osano, non vanno oltre, non rischiano. La dominazione del vecchio che caratterizza il clima nostrano impone limiti che io e i miei colleghi stiamo cercando di superare, è ovvio che fin quando non ci sarà il cambio generazionale sarà difficile vedere un nuovo Abruzzo”.

Cosa consigli ai giovani creativi che intendono percorrere la strada di grafico pubblicitario?

“Di andare oltre il concetto del bello. Molti scelgono determinati prodotti al solo scopo di ottenere visibilità, non sapendo che in tal modo diventano servitori del prodotto piuttosto di farsi servire da esso, come dovrebbe essere. Forse siamo stati vittime di Mtv, delle grandi firme, di tutto ciò che appare impeccabile, preciso, pulito. Tutto ciò che vediamo attorno si lega ad un’immagine sempre troppo pulita, la cravatta ben annodata, le scarpe scelte con cura, l’abito giusto per la serata giusta. Un’estetica pericolosa, anch’essa tipicamente abruzzese. È la marca che deve trovare e conquistare il consumatore non il contrario. Pensiamo che il consumismo sia una minaccia quando in realtà siamo noi i veri mostri, perché manchiamo di educazione al consumo.Ai giovani creativi che intendono buttarsi nell’ambito pubblicitario dico di non soffermarsi sull’estetica comunemente accettata, ma di andare oltre, stupire, scuotere, provocare, perché il consumatore non è stupido”

Non sarà stupido ma di certo teme di esporsi. Come molte aziende italiane che preferiscono imitare il concorrente piuttosto che distinguersi.

“ Mi è capitato di avere a che fare con clienti totalmente invaghiti del proprio concorrente. Vengono da me sminuzzando qualsiasi cosa abbia fatto il competitor, di quanto sia impeccabile e di come sia riuscito nella propria campagna, arrivando a chiedermi di realizzare esattamente quanto il rivale ha ideato. La cosa più sbagliata che si possa fare. Se da consumatore comprendo che hai paura di esporti, arrivando addirittura ad assimilarti alla concorrenza, è chiaro che non vengo da te a comprare, vado direttamente dall’originale ”.

Immagine in alto a sinistra tratta da Google.it

 

Giovanna Di Carlo

 

 


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