I cani randagi di Napoli, la spiritualità senza terra dei tibetani, i riti antichi dell'Appennino. Sono questi i temi, che attraversano i secoli e i meridiani terrestri, proposti dal Festival internazionale del cinema naturalistico e ambientale, nella tappa di oggi a Civitaquana, splendido paese nel versante pescarese del Gran Sasso, noto per le cisterne e gli antichi acquedotti sotterranei, per il panorama superbo e, secondo alcuni, per essere terra di origine degli
arrosticini, piatto tipico per antonomasia dell’Abruzzo montano.
Primo documentario proposto, a partire dalle ore 21 sarà “Un angolo di Tibet" del noto regista Marco Leopardi, già premiato al Festival. Quest’anno la cinepresa di Leopardi ci porta ad immedesimarci con la vita quotidiana, fatta di gesti semplici, lenti e pieni di significato,
di una comunità tibetana fuggita dalla madrepatria e stabilitasi in India, per porsi al riparo dalle discriminazioni e dalla violenza subita dal regime totalitario cinese. Protagonista è Tezim, un bambino di nove anni che studia per diventare monaco buddista. La sua preghiera
per la pace nel mondo e l’armonia tra i popoli, sarà forse uno dei momenti piuù toccanti non solo del documentario, ma dell’intero Festival.
Con “I guerrieri di Lepanto“, sempre di Marco Leopardi, torniamo invece in Italia, a Spelonga di Arquata, paesino delle Marche dove ogni tre anni, con la Festa bella, si rinnova un rituale antico e suggestivo: un centinaio di uomini di tutte le età lascia il paese per recarsi nei boschi dei Monti della Laga, dove viene tagliato il pino rosso piu' alto. Il tronco, issato in piazza, diverrà l'albero maestro di una nave, e in questo modo, tra il serio e il carnascialensco, gli spelonghesi ricordano quando, nel lontano 1571, un centinaio di loro antenati ha combattuto nella battaglia di Lepanto e si impossessò di un vessillo che garriva minaccioso su una nave turca. Il terzo documentario in programma, “I cani di Napoli”, è già diventato un cult. La regista svizzera Barbara Fally-Puskas racconta la quotidiana lotta per la sopravvivenza, i rituali per rafforzare i legami e stabilire le gerarchie, di un branco di cani randagi che si aggira nel ventre di Napoli, nei vicoli brulicanti di varia umanità, nel porto crocevia di merci e di volti. Bartolo, Gennaro, Chiara, Leopardi e Malocchio: ciascuno dei cani randagi sembra avere una personalità e una sua strategia per sbarcare il lunario. Tutti nei quartieri e nei bassi li conoscono, qualcuno li teme, altri non lesinano una carezza o un pò di cibo. “I cani di Napoli” è solo in apparenza un documentario scientifico ed etologico, ambientato in un habitat metropolitano: esso diventa anche una metafora sociale e alla fine la vera protagonista è Napoli, la sua poesia e le sue contraddizion, vista con gli occhi di un cane randagio. E’ forse questa la nuova frontiera del documentario scientifico e ambientale.
FT