Il presepe nel cratere

Un racconto di Natale

26 Dicembre 2009   10:07  

L’Ottico e il signor Menocchio si alzarono presto quella mattina di dicembre, misero nella borsa cartapesta, forbici e polistirolo, statuine sbeccate di uomini e bestie, cianfrusaglie varie avvolte nell’ovatta, cieli stellati ben ripiegati, muschio quanto basta. Con il favore della nebbia si insinuarono nel cuore della loro città, invisibili all’occhiuta vigilanza degli armigeri posti a presidio dei gloriosi e celebrati ruderi.

Percorsero le viuzze del centro, tra antichi palazzi sventrati, cantinicole barcollanti, vetrine traboccanti di detriti, mozziconi di chiese e ricordi, ricoperti con pudore dalla neve.
L’Ottico raggiunse il vecchio portico incerottato di via del Ciuco e sotto lo sguardo attento del signor Menocchio, cominciò ad addobbarlo con luci e festoni sberluccicanti, distese il muschio sul selciato con grande cura, fissò su un groviglio di ferri arrugginiti gli striscioni dei sui sponsor: ‘’Cartongessi Guido Spirituale’‘, ’’Gino Forchetta, il re della porchetta’’, ‘’Immobiliare Culo &Camicia’’, e in un batter di ciglio e con la sicurezza di un demiurgo che copia un piano regolatore celeste, imbandì uno strano mondo di gesso, cartapesta e polistirolo.

Conclusa l’opera, si sedettero entrambi sui reperti archeologici di un tinello, stapparono una bottiglia di genziana per un brindisi benaugurate e l’Ottico, ebbro ed eccitato, cominciò a spiegare che cotanti capolavori non sanno che farsene di occhi normali.
Il signor Menocchio, restio a farsi infinocchiare dalla facile retorica, non era molto convito dal presepe del suo amico ed esclamo: ‘’ Premetto, gran bel lavoro il tuo, cosa sono però quegli strani grappoli di casette di cartapesta con le zampe, ai confini del presepe, separati uno dall’altro da montagne e da praterie di verdissimo muschio, nonché circondate da morbide pecore e muli mansueti?’’

‘’Belle vero? Sono la nuova Betlemme, costruita al posto di quella vecchia, ovvero di quel tritume di sassolini, stuzzicadenti spezzati, fili di ferro, coriandoli, schiuma da barba e pallette di polistirolo, che ho sparso qua e là per creare un po’ di suspense. Devi sapere che il vecchio presepe è andato in pezzi allorché un cane inseguendo un gatto, travolse il tavolo sbilenco su cui poggiava il presepe che i miei avi avevano conservato e lasciato in eredità di generazione in generazione. Ma io ho prontamente reagito alla tragedia: le casette nuove le ho comprate all’Ikea, e mi sono costate tutti i soldi che ho vinto a tombola e alla lotteria, più un bue e un re magio che tanto erano doppioni. Ma che vuoi, agli sponsor non potevo dire di no. Va detto pure che le casette che sono riuscito a montare in gran fretta non bastano per tutte le statuine sbeccate, ma pazienza, l’importante è dare l’idea, è far sognare i bambini che contempleranno il mio presepe. Basta poi intendersi di scenografia: le metti in evidenza, le illumini nel modo giusto, ci metti intorno le palme più belle che hai. A proposito: quelle che vedi non sono morbide pecore e muli mansueti, ma scrivani e adulatori che ho comprato all’ingrosso per far conoscere al mondo le meraviglie del mio presepe. Infine, ovvio, occorre spostare altrove le statuine in soprannumero, per non farle vedere agli spettatori e far salva la proporzione scenica’’.
Il signor Menocchio, persona assai petulante, chiese allora: ‘’E dove le hai messe le statuine mancanti?’’
‘’Sono dentro le scatole di cartone bucherellate laggiù in fondo – spiegò con pazienza l’Ottico – non so se le vedi, in riva alla grande distesa increspata di carta argentata, e in cima a quei lontani monti imbiancati di farina… Sono le locande dove terrò le statuine in esubero per molto tempo avvolte nell’ovatta. In realtà, detto tra noi, non è che mi sia convenuto, mi sarebbe costato molto meno fare tante capanne di fiammiferi in mezzo al presepe, solo che dopo la sciagura dovevo aiutare anche i padroni delle locande, poverini, hanno sofferto pure loro. E poi le vedi quelle statuine con l’occhio torvo e che contano denari? Sono i potenti mercanti di muschio e non mi avrebbero mai permesso di occupare il loro fazzoletto di presepe per metterci le capanne, perché ci devono costruire anche loro tante casette’’.
Scese un silenzio pensoso in Via del Ciuco. Menocchio continuava ad osservare il presepe, e l’Ottico, cercando di riparare con una pinza e il fil di ferro una punta spezzata della sua stella cometa, continuò a parlare:
‘’Sai che ti dico? Se le statuine le avessi ricollocate tutte insieme sulla ribalta del mio presepe, quelle poi avrebbero cominciato a fare comunella, a protestare e a sbracciarsi, perché, per carità le capisco, vorrebbero tornare subito nei loro villaggi distrutti. E poi figurati… avrebbero voluto mettere bocca su ogni mia decisione, su dove mettere il mulino, su come fare il laghetto delle papere, su dove piazzare il gallo con il becco rotto, o la pecorella di gesso senza una gamba. Ci sono statuine che vanno blaterando che un altro presepe è possibile, che remano conto, che pensano solo a lamentarsi, Sai che stress…io non ho mica tempo da perdere, per il loro bene il presepe lo devo fare come piace a me…’’
‘’E le statuine che abitano nelle casette di cartapesta con le zampe sono felici?’‘, chiese allora il signor Menocchio.
’’Più che felici sono stanche come dopo un lungo viaggio – rispose l’Ottico, mentre cercava di staccare il dito appiccicato con la colla ultrarapida alla stella cometa – Si sentono come ospiti di un benefattore che le ha tolte da in mezzo la strada. Molte non sanno che in quelle casette ci resteranno per tutti i presepi a venire. Altre lo hanno capito, ma gli sta bene così, perché la casetta che avevano prima era più brutta, e c’è sempre il rischio che arrivi un altro cane pasticcione a ributtare tutto all’aria. A proposito: la vedi quella statuina dello scrivano con le orecchie d’asino, laggiù in fondo? Ebbene un giorno addirittura scrisse: ‘’ E’ possibile qui incontrare poeti a braccio che conoscono la Divina commedia a memoria, matriarche nerovestite che si sono salvate dal terremoto interpretando i sogni e dando retta al procurato allarme delle loro galline, forestieri fuggiti dalle città in cerca del silenzio e della semplicità. Che senso ha trasformare queste persone in silenziosi vicini di pianerottolo, impilare una comunità dentro pur confortevoli palazzine d’alta quota dove, direbbe Ennio Flaiano, non vale la pena di amare e soffrire, procreare e morire?‘’
Si riferiva alle nuove casette di cartapesta con le zampe che avevo piazzato vicino a quel villaggio di polistirolo tutto sbriciolato lungo la valle in cui scorre il fiume di pellicola trasparente. Ebbene, lo scrivano non c’ha capito nulla: quelle persone sono contente, e guai a chi parla male di chi gli ha dato le casette. La matriarca nerovestita, ad esempio, quando ha scoperto che qualcuno gli aveva fatto trovare pure la dispensa piena di colorati frutti di pongo, si è commossa per la riconoscenza, dopo tanto tribolare’’.

Il presepe dell’Ottico in realtà non era poi così spopolato: dentro casette di cartapesta con le zampe, si intravedevano molte lucine. In buona parte erano le televisioni sempre accese. I bambini stavano recuperando i mesi trascorsi nei ricoveri di fortuna che dopo il patatrac l’Ottico gli sveva costruito con i cartocci delle caramelle, e dove trascorrevano il tempo a giocare ad acchiapparello, a nascondino e a salto alla mula, qualcuno addirittura a leggere un libro. L’arrotino, il falegname e il fabbro ricominciavano a muover le braccia e gli arnesi dopo mesi di immobilità, seppure lentamente e a scatti.
Rubizze e panciute statuine avevano ritrovato la loro taverna, dove fare compagnia, come ai vecchi tempi, insieme ad una bottiglia di vino, alla loro malinconia. Altre statuine però si comportavano in modo strambo: i re magi, ad esempio , vagavano sui prati di muschio, ognuno per conto suo, Melchiorre chiedeva informazioni ad una contadinotta con la conca, come se si fosse smarrito. I pastorelli non si dirigevano con i loro armenti verso un’unica direzione, ma si incamminavano verso i confini del presepe, come all’inizio di una transumanza senza ritorno. L’arcangelo Gabriele svolazzava qua e là, in cerca di un ramo dove posarsi.
Mentre l’Ottico cercare di riparare la stella cometa, con un saldatore a stagno, Menocchio continuava ad osservare perplesso il presepe, poi finalmente capì: ‘’Ma Ottico! Ecco cosa manca nel tuo presepe! Ti sei scordato la grotta del bambinello!’’
Questa volta l’Ottico non rispose con pronta e fiera favella, abbassò anzi lo sguardo e chiese a mezza bocca: ‘’Perchè, si nota tanto?’’
‘’Bè fai un pò tu..suvvia… si è mai visto un presepe senza grotta? …’’ commentò con sarcasmo il signor Menocchio.
‘’ Caro amico mio – prese allora a spiegare l’Ottico – si vede proprio che non ti intendi di presepi moderni! Per rimettere la grotta al suo posto, avrei dovuto rifare prima tutta la vecchia Betlemme, andata in cento pezzi. Era una miniatura bellissima levigata dai secoli, un merletto di pietra intarsiato dai più abili e ispirati maestri incisori, un labirinto di enigmi e visioni. Lo ammetto – ma non dirlo a nessuno – io non ne sono capace a riparare la vecchia Betlemme, non saprei da dove iniziare, e poi costerebbe troppo, e i soldi li ho già spesi tutti. Non è ne neanche detto che sia possibile rifarla com’era e dov’era, ma non ho il coraggio di dirlo alle statuine. E allora ho cercato di riempire il presepe in altro modo, perché non è che potevo certo finirlo a Pasqua, cosa avrei raccontato agli sponsor? E ai bambini impazienti?‘’.
’’E gli inquilini della grotta, che fine hanno fatto?‘’ chiese allora Menocchio.
’’Ah loro…. la famiglia di immigrati clandestini? Pensa che allevavano il figlio dentro una
mangiatoia, in mezzo alla paglia, scaldato dall’alito di un asino e di un bue, roba da denuncia al Tribunale dei minori! Ho messo in albergo pure loro, anche se non avevano i requisiti. Devi sapere che non erano sposati, il padre falegname lavorava in nero, non erano residenti e in più non avevano un contratto d’affitto per quel tugurio di grotta dove vivevano. Ma che vuoi, a Natale siamo tutti più buoni, e ho aiutato anche loro…‘’.
Mentre parlava, l’Ottico era riuscito finalmente a riparare la stella cometa con una gomma masticata, la fiondò distrattamente sopra il mucchio di sassi della vecchia Betlemme, e insieme al suo amico Menocchio, si alzò e si incamminò, scomparendo nella nebbia.

Filippo Tronca

 

 

 


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