In galera i giornalisti che pubblicano le intercettazioni proibite

Gli emendamenti del Pdl

17 Febbraio 2009   17:14  

 Andrà in prigione chi divulgherà le intercettazioni per le quali "sia stata ordinata la distruzione". Ad imporlo uno degli emendamenti approvati ieri dalla Commissione Giustizia della Camera, che spinta dalla Maggioranza ha dato il via all'iter accelerato del ddl sulle intercettazioni, il discusso pacchetto di norme che divide l'Italia tra sostenitori del diritto alla privacy e convinti assertori della libertà di stampa.   In discussione dal prossimo 23 febbraio, il ddl ha provocato aspri confronti tra esecutivo e opposizione, da sempre su sponde opposte per quanto riguarda la legittimità dell'uso di intercettazioni nelle indagini di reati "inferiori" a quelli di stampo mafioso e terroristici.


Gli ultimi emendamenti del Pdl. Sono due in sostanza gli ultimi emendamenti approvati dalla Camera e proposti dal Pdl al disegno legge sulle intercettazioni. Il primo, proposto dalla berlusconiana Deborah Bergamini, introduce un nuovo tipo di reato: quello relativo alla pubblicazione di intercettazioni per le quali sia stata ordinata la cancellazione. Per tale forma di infrazione, finora sanzionata per mezzo di una semplice "contravvenzione", la modifica proposta dalla Bergamini prevede, in riferimento al codice sulla privacy, la reclusione da 1 a 3 anni, ed è rivolta a quanti con "volontà di dolo", diffondono intercettazioni per le quali sia già stata disposta la distruzione: come e in che termini la legge renda possibile il discernimento tra "calunnia" e "volontà di informare i cittadini su cose, fatti, e servizi che li riguardano in prima persona, non è stato ancora reso noto.

La seconda modifica, firmata dall'avvocato palermitano di An Nino Lo Presti, estende la pena prevista dall'emendamento Bergamini anche a chi pubblica, diffonde in parte, o riassume , atti e contenuti relativi a conversazioni o flussi di comunicazione inerenti fatti, circostanze, persone ritenute estranee all'indagine: i cosiddetti "terzi" con i quali parlano i sospetti coinvolti in un'inchiesta per intenderci.

Ma le norme contenute nel ddl volte a regolamentare e ridimensionare la libertà di stampa non si fermano qui. Presenti nel disegno legge anche quelle relative al divieto di pubblicare i nomi e le immagini dei magistrati coinvolti nei procedimenti o nei processi penali in fieri, ad eccezione dei casi in cui tali informazioni non siano ritenute "indispensabili al diritto di cronaca". Un emendamento proposto dall'avvocato barese ed esponente del Pdl Francesco Paolo Sisto, che oltre vietare la diffusione di immagini relative ai Pm coinvolti nei procedimenti penali, sembra abbia avanzato l'ulteriore proposta di multare fino a 360 mila euro gli editori che pubblicheranno le intercettazioni proibite dalla normativa.

Saranno espressamente vietati inoltre, (salvo permesso accordato da tutte le parti coinvolte) anche gli "ascolti" e le riprese in aula delle conversazioni tra gli avvocati difensori e i loro assistiti. Infine, ultima pillola restrittiva rivolta gli ambiti della magistratura e firmata dal centrista Michele Vietti con approvazione del Pdl, l'introduzione di un "budget annuale" per le spese che ogni singola Procura potrà dedicare alle intercettazioni.

IL GIORNALISMO INSORGE: LEGGE OSCURANTISTA

Un disegno legge che non piace all'opposizione, tantomeno ai giornalisti. La Bergamini, ideatrice dell'emendamento che vieta la diffusione di intercettazioni per le quali sia stata ordinata la cancellazione, è stata oggi definita sulla Repubblica una "giornalista contro i giornalisti". Secondo Liana Milella (autrice dell'articolo odierno sul ddl intercettazioni del celebre quotidiano), l'ex assistente del Premier e responsabile del palinsesto Rai, alias Deborah Bergamini, deve aver maldigerito la pubblicazione dei verbali inerenti l'inchiesta di Napoli su Berlusconi e Saccà in merito al caso delle "veline raccomandate". L'indagine, della quale ancora oggi si ritiene una "vittima", deve averla traumatizzata a tal punto da spingerla a legiferare in senso diametralmente opposto a quanto era consentito fino ad oggi, avanzando una proposta che impedisce alla stampa di avvisare e informare il cittadino , almeno fino a quando le indagini preliminari siano state concluse, il che per la Milella vuol dire una cosa sola: anni di informazione oscurata, imbavagliata, in altre parole censurata. Il black out della verità.

In Abruzzo una tale legge avrebbe indotto giornali, televisioni e redazioni telematiche a tacere per lungo tempo sui grandi scandali che hanno sconvolto la Regione, come quelli inerenti la politica, le amministrazioni ad essa connesse, le ecomafie,le discariche, le assicurazioni. Nemmeno i nomi degli indagati si sarebbero potuti menzionare, nutrendo il comfort di chi, rassicurato dal silenzio legalizzato imposto dallo Stato al giornalismo, avrebbe continuato tranquillamente a frodare il cittadino, piuttosto che cospargersi il capo di cenere e dimettersi come spesso è avvenuto grazie al potere dell'informazione.


GDC

 

 


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