Israele ha il diritto il difendersi come Stato e come Popolo

di Nicola Facciolini

03 Giugno 2010   13:28  

Israele ha il diritto il difendersi come Stato e come Popolo. La verità su chi aiuta il sofferente popolo palestinese di Gaza. Parliamo delle organizzazioni filo-Hamas coinvolte nell'assalto. Nessuno osa parlare di provocazione verso Israele. Ma l'associazione turca protagonista dell'azione è sempre stata amica degli jihadisti. Le Ong del convoglio navale sono legate al gruppo turco Ihh, sponsor di Hamas e finanziatore di militanti della guerra santa contro ebrei e cristiani. La pace mondiale è sulla via del tramonto per l'impotenza politica, diplomatica e d'intelligence di un'Unione Europea. Israele entrerà nell'Ocse. L'Autorità Nazionale Palestinese ha criticato duramente la votazione dell'Ocse. Per diventare "pacifisti" basta imbarcarsi sulla nave Marmara, in compagnia delle varie Ong militanti anti-israeliane che, al posto delle navi templari, oggi solcano le onde del Mediterraneo, nelle loro spedizioni in Terra Santa? La sirena ammaliante delle imprese umanitarie ci ha fatto perdere il senno? Diabolico è il rovesciamento, la bugia che si sta disegnando nell'opinione pubblica internazionale. Cosa ne pensa la stampa israeliana. Siamo alla vigilia della Terza Guerra Mondiale? Cosa può pretendere un mondo che predica la pace ai piedi dello Yad Vashem di Gerusalemme ma razzola male. Una cosa è certa. Gli israeliani non vogliono fare la fine degli abitanti di Jericho (famosa serie Tv americana) in Kansas, che assistono impotenti agli effetti di un'esplosione termonucleare, nell'indifferenza del mondo intero.

Siamo alla vigilia della Terza Guerra Mondiale? Dopo gli scontri a bordo della nave turca Mavi Marmara, ammiraglia della "Freedom Flotilla", lo scenario mondiale appare infuocato. Chi ha sbagliato? Chi ha commesso l'errore grave? Chi ha violato i più elementari diritti umani e della navigazione? Quanta poca intelligenza nella trappola fatta scattare ad hoc grazie alla "battaglia delle immagini" ingaggiata contro Israele dal mondo intero. Un mondo che predica la pace ai piedi dello Yad Vashem di Gerusalemme ma razzola male. La pace mondiale è sulla via del tramonto per l'impotenza politica, diplomatica e d'intelligence di un'Unione Europea. Nell'era digitale delle comunicazioni di massa in tempo reale, all'inizio del secondo decennio del 21° Secolo, sulla Terra regna la confusione più assoluta anche su cosa sia realmente accaduto a bordo di quella nave della "flottiglia della pace". In navigazione niente affatto silenziosa da Cipro a Gaza. Dicono alcuni, "per portare aiuti umanitari" a Gaza. Sarà vero? La cronaca e le critiche di questi giorni sono attendibili? Il fatto è accaduto in acque israeliane o internazionali? Un legittimo blocco navale o un assalto indiscriminato a colpi di fucile contro soldati israeliani di 18-20 anni? Il diritto di Israele violato o cosa? I toni violentemente anti-israeliani dominano la stampa mondiale con un bombardamento incessante. Tutti si sono allineati a difesa dei "civili pacifisti". Il copia e incolla di Hamas e compagni ha funzionato alla grande ancora una volta. La trappola è scattata e incredibilmente qualcuno o qualcosa ha permesso che funzionasse. Chi? La comunità internazionale e i giornali esprimono condanne durissime nei confronti di Israele, uno stato di diritto in guerra dal 1947 per la propria sopravvivenza, dove chi sbaglia paga secondo la Legge in processi legittimi. Poche le voci fuori dal coro. Eppure tutti sanno che Israele entrerà a far parte dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) in base a un voto unanime espresso da 31 stati membri. L'adesione di Israele rappresenta un nuovo capitolo dell'organizzazione. Per Israele, diventare un paese membro dell'Ocse è decisamente vantaggioso: favorirà il commercio con l'estero, attirerà investimenti internazionali ed aumenterà il prestigio dello Stato di Israele a livello mondiale. E dovrebbe anche condurre Israele nell'ombrello protettivo politico-militare-diplomatico dell'Alleanza Atlantica (Nato) con l'ingresso effettivo nell'Unione Europea. Chi si oppone? L'Autorità Nazionale Palestinese ha criticato duramente la votazione dell'Ocse, chiarendo in una lettera che "accettare Israele come paese membro significa dare legittimità alle politiche razziste e aggressive praticate contro la popolazione palestinese". La celebrazione dell'ingresso nell'Ocse di Estonia, Israele e Slovenia, alla presenza dei primi ministri dei tre Paesi e del direttore generale dell'organizzazione internazionale Angel Gurria si è svolta il 27 maggio 2010 a Parigi, sotto la presidenza di Silvio Berlusconi con l'Italia presidente di turno dell'organismo internazionale. Per cui quando suonano le sirene in Israele per i razzi lanciati da Gaza, il mondo e i media dovrebbero indignarsi e non tacere. Se fosse accaduto in Italia, come avremmo reagito a un lancio di razzi? Con una flottiglia di solidarietà e pacifismo? E' accaduto 48 ore prima del blocco israeliano alla "flottiglia della pace". Il nuovo lancio di razzi dalla Striscia di Gaza sulla città israeliana di Ashqelon. Fonti locali aggiungono che un razzo è esploso (senza provocare vittime) in un campo alla periferia di Ashqelon, mentre il secondo - forse difettoso - è caduto all'interno della striscia di Gaza. Israele ne attribuisce la responsabilità all'esecutivo di Hamas le cui forze di sicurezza hanno un controllo totale sulla Striscia. E poi ci si chiede perché Israele intenda impedire l'ingresso a Gaza a qualsiasi nuova nave di "aiuti". Israele impedirà a qualsiasi altra nave umanitaria internazionale di entrare nelle acque antistanti alla Striscia di Gaza. Israele ha poi definito "ipocrita" la condanna dell'Onu. Per il portavoce del ministero degli Esteri, Yigal Palmor, la dichiarazione è stata "precipitosa e non ha lasciato un tempo di riflessione per considerare tutti i fatti". Per il portavoce israeliano si è trattato di "un riflesso condizionato basato unicamente su certe immagini televisive e su una certa dose di ipocrisia, non sulla conoscenza dei fatti". Palmor ha anche spiegato che finora è stato difficile dare un nome ai nove morti nel blitz israeliano sulle navi "perché gli altri attivisti si rifiutano di identificarli". Sono 480 gli attivisti della flottiglia internazionale arrestati dagli israeliani dopo il blitz contro la "spedizione umanitaria internazionale", mentre altri 48 vengono espulsi. Le 480 persone arrestate sono raggruppate nella prigione di Ashdod, nel sud d'Israele, mentre gli altri 48 sono stati condotti all'aeroporto internazionale di Ben Gurion per essere espulsi verso i loro paesi d'origine. Altri 45 attivisti, per la maggior parte di origine turca, sono stati ricoverati in diverse strutture. In ospedale anche sei soldati israeliani, secondo i media locali. Sono sei gli italiani: oltre ai quattro italiani già menzionati, vi sono fra gli arrestati due cittadini con doppia nazionalità, un italo-tedesco e un italo-palestinese. Come la penso? Con un sentimento di solidarietà per le vittime innocenti e, allo stesso tempo, di prevalente grande ammirazione per ragazzi israeliani di 18 o 20 anni chiamati a compiere il loro dovere di soldati, rischiando il linciaggio. Per uno Stato di diritto come Israele (lo avremmo fatto anche noi Italiani) fermare quei traghetti che, con la scusa degli aiuti umanitari, trasportavano terroristi per supportare altri terroristi, era necessario. Certamente si poteva evitare che succedesse quello che è accaduto. Anche l'Italia avrebbe potuto offrire la sua protezione a Israele, magari insegnando come fare senza sparare un colpo! Prima con gli idranti, in maniera più logica ed efficace. Poi magari con i soldati che dall'elicottero si sarebbero calati su un ponte vuoto, non in mezzo a un gruppo di persone pronte a massacrarli a bastonate come si è visto dalle immagini che hanno fatto il giro del mondo. A quel punto i soldati cosa potevano fare se non difendersi? Usare i manganelli sarebbe stato sufficiente? Ricordiamo che Israele è una Democrazia in guerra dal 1947, accerchiata da gente pronta a premere pure il grilletto nucleare pur di far piazza pulita della Stella di Davide. E basta un istante per incenerire milioni di persone! Questa è la paura di Israele. Noi che faremmo al loro posto? Quando vengono diffuse certe notizie, è naturale e più facile "fare il tifo" per quelli che appaiono come "civili innocenti colpiti mentre agivano con le migliori intenzioni". La realtà è molto diversa ma non si vede. E oggi far passare il messaggio della verità è molto complesso. Questa era una spedizione di aiuti aggressivi, mascherati da soccorsi umanitari, una chiara provocazione. Non si pensa al fatto che se a Gaza non c'è crisi alimentare, è perché lo stesso Stato d'Israele manda ogni giorno tonnellate di cibo e medicine, per non far pagare alla popolazione le follie del regime di Hamas che ha sguinzagliato agenti in tutto il mondo, in particolare tra i mass-media. Non si comprende in Europa il pericolo di un Islam radicale e aggressivo che si rafforza sempre di più, né il ruolo di Israele come primo difensore dei valori occidentali. Se vincere la "battaglia delle immagini" è impossibile, allora, signore e signori, ci siamo giocati la pace mondiale. Bisogna salvaguardare la Turchia in Europa insieme con Israele, senza lasciarsi ingannare dai giochi tattico-politici dell'attuale governo turco che ha compreso i vantaggi commerciali derivanti da una politica ostile nei confronti di Israele. Ne è responsabile l'Unione Europea: a farne le spese sono le relazioni tra la Turchia e lo Stato ebraico che da tre anni a questa parte sono in costante deterioramento. Lo Stato d'Israele ha dimostrato in molte occasioni che nelle sue strategie militari e politiche, il danno d'immagine non viene preso in particolare considerazione. Ma con un po' di saggezza e di prudenza in più, questa grande "operazione anti-israeliana" non avrebbe sortito effetti portando, come ha fatto, acqua al mulino degli estremisti islamici. Insomma gli incursori d'elite della marina hanno il diritto di operare al meglio delle possibilità h24, a telecamere spente. Non sotto i riflettori di Internet. Dunque, qualcosa non quadra. L'organizzazione umanitaria turca "Insani yardim vakfi", ovvero "Fondo di aiuto umanitario", sono per l'intelligence israeliana la prova dei legami sempre più profondi tra i fondamentalisti di Hamas e i gruppi islamici turchi. Preoccupa il tentativo della "Ihh" di espandersi da Gaza in Cisgiordania. Preoccupa il fatto che l'Ihh sembra aver assunto il coordinamento dei cosiddetti "pacifisti" confluiti a Cipro mettendo a disposizione della flotta per Gaza tre navi pagate con i propri fondi. Dietro le attività umanitarie dell'Ihh si cela, secondo l'intelligence israeliana, l'intenzione di provocare gravi incidenti, allargare il fossato tra la Turchia e Israele e contribuire all'isolamento d'Israele. Un programma politico confermato dalla stessa Ihh con il profetico monito a Israele pubblicato sul proprio sito il 23 maggio. "Gestite bene questa crisi perché se ci fermerete rimarrete isolati e vi farete del male da soli". Quell'"avvertimento" alla luce dei fatti acquisisce il sapore di una provocazione attentamente studiata. Non a caso l'operazione iniziale degli incursori israeliani si concentra proprio sulla Mavi Marmaris, l'ammiraglia delle tre navi sponsorizzate dalla Ihh trasformata nel centro comando della spedizione. Dietro alla Mavi Marmaris, da cui distribuivano ordini i capi e i militanti di Ihh navigavano altri due mercantili carichi di "aiuti" sponsorizzati dall'Ihh. Preoccupazioni che non dovrebbero essere soltanto israeliane, alla luce di un dossier pubblicato nel 2006 dall'Istituto danese di studi internazionali, firmato dall'analista americano Evan Kohlman. Ulteriori prove emergono da un memorandum del 1996 dell'Uclat, il centro di coordinamento francese d'antiterrorismo. Le attività più preoccupanti per gli israeliani sono però quelle svolte direttamente a Gaza. Non entriamo nei particolari ma sembra che a rendere più sospetta l'attività della Ihh contribuiscono i suoi legami con la "Union of Good", una confederazione di organizzazioni umanitarie islamiche a cui nel novembre 2008 il dipartimento del Tesoro americano ha congelato tutti i fondi dopo aver trovato le prove del "trasferimento di milioni di dollari alle associazioni consociate con Hamas". Perché allora è più facile esprimere la propria solidarietà a chi vuol gettare alle ortiche, per non dire peggio, la pace mondiale? Diabolico è il rovesciamento, la bugia che si sta disegnando nell'opinione pubblica internazionale. La prima vittima è la verità, dopo la tragedia dei morti e dei feriti. La verità ne esce capovolta, capovolte le responsabilità. Le condanne fioccano senza appello: chi era sulle navi della flottiglia e si chiama "pacifista" e "civile", va assolto. I giovani soldati israeliani che ne hanno sanguinosamente interrotto la rotta verso la "missione di soccorso" a Gaza, vanno condannati. Ma non basta dichiararsi pacifista per esserlo. Per diventare pacifisti basta imbarcarsi sulla nave Marmara, in compagnia delle varie Ong molto militanti che, al posto delle navi templari, oggi solcano le onde del Mediterraneo, nelle varie spedizioni in Terra Santa. Noi Europei non abbiamo capito niente. La pace è in pericolo sotto i nostri stessi occhi. Nelle guerre odierne, l'uso dei civili come scudi umani e come guerrieri di prima fila, è la novità più difficile da accettare pure dagli stessi giornalisti che ne sono le prime vittime. Eppure la quantità di scenari, fin dalla tragedia europea nell'ex Iugoslavia, avrebbe pur dovuto insegnare qualcosa. La divisa non separa i buoni dai cattivi, in mare e sulla terraferma. Allora, prepariamoci al peggio, perché se cade Israele cade il mondo. La sirena ammaliante delle imprese umanitarie ci ha fatto perdere il senno? Tutti sanno che Hamas, organizzazione terroristica che perseguita i cristiani e ha condannato a morte tutti gli ebrei, usa bambini, oggetti, edifici, ospedali, allo scopo di combattere Israele e l'Occidente intero. Ma le navi della solidarietà terzomondista islamica navigano verso Gaza per aiutarla. A fare cosa? A permettere il lancio dei missili e degli attentati? Si dimentica che Israele aveva più volte offerto agli organizzatori della flotta di ispezionare i beni nel porto di Ashdod, e quindi di recapitarlo ai destinatari. Essi avevano rifiutato, e questa sembra una prova abbastanza buona della loro scarsa vocazione umanitaria. La flottiglia diretta verso Gaza avrebbe consegnato un carico sconosciuto nella mani di Hamas, organizzazione terrorista, armata. La popolazione di Gaza ha certo bisogno di aiuto urgente, ma da Israele. Secondo fonti attendibili tra il 2 e l'8 maggio 2010 ai valichi di Israele sono passati alla gente di Gaza, tra le varie necessità, ben 1.535.787 litri di gasolio, 91 camion di farina, 76 di frutta e verdura, 39 di latte e formaggio, 33 di carne, 48 di abbigliamento, 30 di zucchero, 7 di medicine, 112 di cibo animale, 26 di prodotti igienici. E 370 ammalati sono passati agli ospedali israeliani. Ecco chi aiuta il popolo affamato di Gaza e la democrazia di Gaza. Questa è la verità. Ma quelle vele provenienti da Cipro con l'aiuto turco, sotto la pressione politica di Hamas per la delegittimazione morale di Israele, erano vele nere. Non umanitarie. Quando i soldati della marina israeliana hanno tentato di scendere sulla nave Marmara, sono stati accolti da spari. C'erano armi da fuoco sulla nave dei pacifisti? Sarà l'inchiesta internazionale indipendente, forse, a stabilirlo. I giovani soldati che hanno toccato il ponte hanno certamente affrontato un linciaggio, ci sono le immagini che lo provano. Che il mondo si glori pure delle solite condanne a Israele. Lo faccia l'Europa. Lo faccia l'Italia. Una corsa è certa. Quel carnaio degno del film "Red Dawn" (Alba Rossa) è l'anticamera della prossima guerra mediorientale, certamente non voluta da Israele ma da qualcun altro. Fallimento, disastro, fiasco di chi? I punti di vista sono molteplici, spesso contrastanti ma su una cosa esperti e analisti concordano: non doveva finire in questo modo. Un'affermazione che sembra retorica quando si parla di vittime, morti e feriti ma che nasconde un problema molto complesso: il futuro di Israele e la sua legittimazione a usare la forza. Dalle colonne del moderato giornale popolare "Yediot Ahronot" arriva la critica di Eitan Haber, noto giornalista israeliano ed esperto in questioni militari, che scrive "Israele ha sempre una sola soluzione a ogni problema: la forza, l'esercito, l'IDF. Ci saranno quelli che diranno ‘lo stato non deve esitare. Ora avranno ancora più paura di noi. Chi pensa in questo modo e chi cede a questa tentazione vive in un'epoca passata; conviene che si svegli da questi sogni devianti. Noi viviamo nel 2010 e la risposta dell'esercito appartiene al secolo scorso". Una visione diametralmente opposta è quella del caporedattore del Jerusalem Post, Caroline Glick, che rimprovera al governo israeliano di non aver capito a priori la situazione internazionale: una continua campagna mediatica anti-israeliana sfociata, per esempio, nella risoluzione Onu contro la proliferazione di armi nucleari. "C'è un fallimento cognitivo - scrive la Glick - da parte dei nostri leader nel comprendere la natura della guerra condotta contro di noi. Ed è questo errore fondamentale di conoscenza che ha portato sei soldati in ospedale e la riduzione in brandelli della reputazione internazionale dello stato ebraico". La giornalista del Jerusalem Post parla di Israele come "il bersaglio di una guerra di informazione di massa, senza precedenti per scala e scopo". Il clima creato dai media e da alcuni governi sarebbe, secondo la Glick, il vero problema da analizzare: starebbe crescendo a dismisura, infatti, un movimento per delegittimare Israele e la sua possibilità di difendersi. Amos Harel, noto esperto militare del quotidiano Haaretz, tradizionalmente il più critico nei confronti dell'attuale esecutivo, condanna non la risposta armata del commando alle violenze degli attivisti, ma la modalità con cui è stata portata avanti l'operazione. "L'inferiorità numerica dei commando israeliani - scrive Harel - ha causato un grave pericolo per tutti i soldati, portando a quell'inizio di linciaggio da cui poi è nata la risposta armata dell'esercito. Il risultato, in ogni caso, è stato orribile: alcuni civili sono stati uccisi e i manifestanti hanno lanciato un soldato dal piano superiore al piano inferiore. Non sono solo filmati terrificanti, è un umiliazione nazionale e un colpo alla deterrenza israeliana. La domanda è: perché i soldati sono stati messi in questa situazione?". D'accordo con Harel, il commentatore Avi Trengo di Yediot Ahronot che punta il dito contro il ministro alla Difesa Ehud Barak e sarcastico domanda "che cosa si aspettava Barack? Pensava di poter avere tutta la torta e poterla mangiare indisturbato?". Il problema, secondo Trengo, è stato tutto il comportamento tenuto nell'ultimo periodo da Barak, ovvero troppo sensibile:"Israele sta perdendo il suo potere deterrente, le truppe israeliane sono percepite come deboli, e quando incontrano difficoltà reale la risposta immediata è l'utilizzo della violenza che ci fa guardare male dal mondo intero. Ma - continua Trengo - quello che sembra brutalità e stupidità israeliana ha implicazioni strategiche: crea una situazione in cui Israele non sarebbe in grado di usare la sua forza in modo efficace. Nel lungo periodo, è una ricetta per il disastro nazionale". "Da adesso in poi sarà sempre più dura" aggiunge sul Jerusalem Post l'analista politico Gil Hoffman "anche se l'IDF aveva il pieno diritto di salire a bordo della nave nel momento in cui lo ha fatto e di aprire il fuoco nel momento in cui l'ha fatto, tutto ciò non ha importanza. Perché la percezione è più importante della realtà. E la realtà adesso è che Israele affronta un periodo molto difficile". Il futuro sembra preoccupare molto il principale corrispondente politico del Jpost "i negoziati preliminari - sostiene Hoffmann - con i palestinesi potrebbero fermarsi, i rapporti fra Israele e Turchia potrebbero essere caduti in una crisi irreparabile, e il mare calmo in cui molti israeliani pensavano di navigare si sta trasformando in una tempesta che non si quieterà tanto presto". Una cosa è certa. Gli israeliani non vogliono fare la fine degli abitanti di Jericho (famosa serie Tv americana, 2006-08) in Kansas, che assistono impotenti agli effetti di un'esplosione termonucleare, nell'indifferenza del mondo intero.

 


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