Itinerari abruzzesi: Castel del Monte

29 Gennaio 2007   16:11  
Tra vicoli, pecore e canti ”D´antichi cavalier, d´armi e d´amori, io vi voglio avvertir non è il mio canto, ma sol di greggi amate e di pastori o questa volta di cantar mi vanto”. Ha ragione il pastore-poeta Francesco Giuliani, l’Ariosto dei transumanti, ogni luogo ha il suo canto. E quello che echeggia nella sua Castel Del Monte lo si può andare a cercare percorrendo la rua centrale del borgo, nel vento che pettina l’erba degli altopiani, nel profumo dei famosi formaggi del signor Giulio Petronio. Oppure facendosi aprire da Paolo, la nostra guida, le porticine del Museo civico ed etnografico il cui percorso è scandito tra le rue di Castel del Monte. Dietro ciascuna porta un microcosmo di oggetti che raccontano e parole della consistenza del legno, del ferro e della lana: ru munature, bastone per rompere il caglio e che profuma di latte; ru caccame, pentolone dentro cui si compiva l’alchimia quotidiana che trasformava le trecento erbe e fiori del Gran Sasso in pecorino, ru mazze, clava per conficcare i pali degli stazzi, l’angìne e ru tascappane, cioè il bastone e la borsa fedeli compagni di lunghi viaggi per la Puglia. Poco lontano Il Forno del ballo, dove le donne nell’attesa appunto ballavano e i giovanotti di altri paesi venivano a farle goffamente la corte, approfittando dei mariti lontani con le loro pecore. Nei fondaci e nelle spelonche sotto il Palazzo dei Colelli, troviamo gli attrezzi della lavorazione della lana, merce pregiata un tempo, oggi materiale di scarto. E’ ivi conservato uno splendido telaio che forse scandiva il ritmo quotidiano del canto che andiamo cercando, un ritmo così diverso da quello sintetico dei moderni maglifici. In un´altra casupola riposano attrezzi di antichi contadini come un aratro intarsiato dai tarli, pennello che per secoli ha disegnato nelle valli vicine i campi aperti marezzati di colori e colture. E infine la casa di una volta che aveva come fulcro non la televisione ma il braciere intorno al quale ci si stringeva la sera. Qui il museo offre al vistatore un’esperienza multisensoriale grazie all’odore caldo e lontano delle coperte e dei materassi imbottiti di frùscie di granoturco. Tutto a Castel del Monte parla di transumanza, dei tempi in cui le greggi impiegavano giorni ad atrraversare il paese per poi sparire lungo il tratturo, giù verso il mare. Era questa la transumanza dei pastori "il cui alito sapeva di cacio, aglio, tabacco e cipolla", come li definisce Pierluigi Giorgio, regista molisano che a questi vicoli, “mondo racchiuso in cinquanta o sessanta passi da lungo a lungo, cinque o sei passi da lato a lato” ha dedicato uno splendido documentario. C’è poi la transumanza più recente, quella degli emigranti, “non più verso le Puglie – dice Pierluigi - ma verso le città del nord, senza pecore e spesso senza ritorno”. E così andiamocene anche noi alla ricerca, ma non di pascoli o lavoro, ma di quel canto di cui ci incaponiamo a seguire le tracce. In cima al vicino Colle della Battaglia ci sono i resti di un villaggio vestino, capanne di paglia difese da ben tre cinte murarie. Non bastarono a respingere i Romani che lo espugnarono e lo rasero al suolo. Ma oggi a dominare su quel cocuzzolo pelato non sono i Romani ma il vento ed il silenzio dell’antico regno vestino. Poi si può proseguire verso la più classica delle mete, la Rocca di Calascio, splendida ed arcana e non perché l’ha scoperta Hollywood. Per apprezzare in pieno la sua valenza storica ed architettonica meglio far visita prima al Museo delle Fortificazioni di Calascio. Oppure da Casteldelmonte si può salire, lungo i percorsi della transumanza verticale, sull’altopiano di Campo Imperatore, il piccolo Tibet tetto degli Appennini. Nelle macellerie di Fonte Vetica non incontrerete però monaci e baba, ma Pio e Giuseppe, che con la mandola, il violino e molto vino intonano arcaiche serenate al Monte Camicia e al Corno Grande. Chissà, era questo il canto che andavamo cercando. Filippo Tronca MU6 IL TRIMESTRALE DEI MUSEI D´ABRUZZO

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