L'AQUILA FERITA

L’Aquila, 8 aprile 2009

28 Luglio 2009   18:27  

Il Tecnologicus Rex afferra con le sue fauci metalliche il cumulo di macerie sollevandolo in una nuvola di polvere. Il moderno dinosauro meccanico da trenta tonnellate non sa distinguere il cemento e ferro dai delicati manufatti umani e macina tutto con i suoi denti, mischiandolo in un ammasso informe di cemento poco armato e centomila piccoli ricordi. Soprattutto ancora non gliel’hanno insegnato a distinguere la tenera carne da tutto il resto ed allora ad un segnale dell’uomo con il casco rosso si ferma, con le fauci ripiegate, in attesa. A quel punto entra in azione il fedele amico a quattro zampe dell’uomo. Lui lo conosce bene, da millenni, e quindi lo cerca tra le rovine, incurante dei ferri taglienti e dei vetri rotti che gli feriscono le zampe. Improvvisamente gira in tondo, si ferma, scava freneticamente ferendosi ancora di più, abbaia, piange. Il suo istruttore lo porta via, prima che si faccia male veramente. I rumorosi cuori dei mostri meccanici vengono allora fermati completamente. Tutto è silenzio. Gli uomini si avvicinano, cercano un suono, un debole lamento che li possa far sperare in qualcosa, che però non avviene. Allora scavano piano, a mani nude, sollevando cornicioni e pezzi di lavatrice, armature metalliche che poco hanno difeso e enciclopedie che nessuno consulterà più. Poi l’indizio… un cuscino con una chiazza rossa su un angolo e da questo l’uomo ha riconosciuto la presenza di un suo simile. Comincia allora una cerimonia che si è già ripetuta decine di volte quest’oggi. Gli uomini con le divise verde scuro a strisce gialle ed i caschi neri si dispongono a cerchio attorno a quel punto reggendo dei teli verdi come per non far vedere al mondo quello che è riuscito a fare di un suo simile. Piano piano compare dalla polvere una coperta a fiori ed una ciocca di capelli, un lembo di un pigiama che in un altro tempo ed un altro spazio era stato scelto per la sua civetteria, una mano che sfiora un piccolo orsacchiotto portafortuna che non ne portava abbastanza da riuscire a fermare il mostro. La ragazza viene delicatamente composta in un sacco bianco, moderno sudario di quello che si dice abbia contenuto il Corpo che tra pochi giorni verrà celebrato. I teli verdi vengono ripiegati ed il cerchio si scioglie. Un altro numero in più.

Via Campo di Fossa, un nome un destino. Il palazzo di cinque piani è stato diviso in due, la parte a monte è lesionata, ma sta in piedi, la parte a valle non c’è semplicemente più, sbriciolata come se fosse stata fatta con carte da gioco, che ora giacciono l’una sull’altra, schiacciando tutto quello che era nel mezzo. Solo dal lato verso la strada i solai hanno parzialmente tenuto, ma da quella parte un mediocre progettista aveva previsto i bagni, non le camere, e quindi si sono salvati i sanitari e gli asciugamani ancora ordinatamente appesi alle loro maniglie, non chi li usava.

Tra i primi ad essere recuperati sono stati due bambini con la loro mamma. Erano tutti e tre sul lettone, come per la quotidiana protezione contro l’Uomo Nero, che non passasse di notte, ma questa volta è passato davvero. Il padre non l’hanno trovato, forse è più in basso o forse non c’era, per sua fortuna o disgrazia.

Un ragazzo fruga tra i bordi delle macerie, in mezzo alla polvere delle ruspe. Non può stare lì, non è sicuro, cerco di allontanarlo e lui con gli occhi lucidi mi dice che cerca qualche cosa che possa fargli ricordare il padre e la madre, che abitavano al quinto piano. Rovisto io per lui, non sapendo nemmeno che cosa cercare. Trovo un paio di foto, una scarpa ed una scatoletta metallica a fiori deformata, con su scritto con un pennarello “auguri”. Gliela faccio vedere e lui scoppia a piangere. Mi dice che l’aveva regalata alla madre quando aveva dieci anni e lei ci conservava i bottoni. Mi abbraccia come se gli avessi trovato una collana di diamanti, ma sicuramente per lui è molto più preziosa questa povera scatola di latta tutta schiacciata.

La ruspa strappa con facilità i mozziconi dei pilastri in cemento armato ancora in piedi. Sembrano fatti di burro, con i loro teneri tondini di ferro liscio che, non ammorsati da alcuna staffa, sono piegati in ogni direzione, come le serpi della testa della Medusa.

Tra le macerie si intravede un libro “L’arte della seduzione, come conquistare il partner in cento consigli”. Forse un regalo spiritoso, o forse un reale bisogno di qualcosa che mancava, una speranza che non potrà più avverarsi.

Un ragazzo con i capelli rossi ci chiede se è stato trovato un ragazzo con i capelli rossi. E’ suo fratello e non lo vede da quando gli aveva detto che andava quella notte con un suo amico a fare compagnia ad un compagno d’università che era terrorizzato dai terremoti. E quel ragazzo terrorizzato abitava in quella palazzina. Gli diciamo che non lo sappiamo, non almeno da quando c’eravamo noi, forse è stato recuperato il giorno prima. Gli indichiamo il luogo dove vengono portate le salme per il riconoscimento. Lui ci ringrazia, ci chiede anche scusa per il disturbo e si allontana lentamente con le spalle curve.

La terra torna a farsi sentire con una vigorosa scrollata. I lavori si interrompono per qualche secondo poi, dopo un’occhiata di controllo ai malandati palazzi circostanti, riprendono come prima, come se fosse la cosa più naturale del mondo stare lì a scavare praticamente sotto a strutture alte decine di metri che potrebbero collassare da un momento all’altro.

Sulla parete di una camera del primo piano della parte del palazzo ancora in piedi si intravede, attraverso l’apertura del muro che non c’è più, una bandiera nera dei pirati appesa sopra un letto intatto. Il bianco teschio con un occhio bendato sogghigna come compiaciuto di quello che ora può vedere attraverso lo squarcio. Da altri poster attaccati si intuisce che il ragazzo che l’abitava è un cultore di musica Dark. Se era in quella camera ha visto realmente la morte in faccia, ma lui sicuramente si è salvato, al contrario degli altri che abitavano immediatamente sotto. Forse se potesse rientrare ora in quella stanza brucerebbe quella bandiera.

I cani hanno individuato un altro corpo. Solito rituale dei teli verdi. Due piedi da ragazzo spuntano dalle macerie puntando verso l’alto. Era riuscito a fuggire, almeno da quel letto traballante, ma le scale lungo le quali si era precipitato non hanno retto ed è caduto a testa in giù. Pian piano compaiono anche dei capelli rossi.

Dopo il recupero i dinosauri ricominciano il loro lavoro. Fa impressione la quantità di carta presente: sono soprattutto dispense universitarie, migliaia di fogli con nozioni faticosamente studiate che si disperdono nel vento e nella polvere. Era un condominio abitato in gran parte da studenti, in due, tre, forse quattro per miniappartamento, per quella feroce speculazione tipica dei piccoli e medi centri che sopravvivono grazie alla presenza di una università. Che ci abitavano in gran parte giovani lo capisci anche dalla gran quantità di CD sparsi in giro, che mandano riflessi multicolore mentre le impietose morse meccaniche li frantumano, affidando al vento ed alla polvere le emozioni che avevano suscitato in qualcuno.

E’ tardo pomeriggio. Una madre sorretta da un parente o un amico porta un grosso mazzo di fiori e dei lumini che appoggia per terra su una lastra di solaio. Ad uno ad uno, in silenzio, prende i fiori dal mazzo e li getta sulle macerie, tra la polvere delle ruspe in azione poco più in là. Ha perso due figlie in quel palazzo. Attorno a lei numerosi fotografi immortalano la scena. In ordine sparso alle sue spalle si raduna una piccola folla di gente ben vestita, con la faccia da circostanza, che si tiene lontana dalla polvere. Qualcuno importante parla a qualcun altro munito di microfono. Pochi minuti e la madre con il suo accompagnatore lentamente si allontana, la piccola folla con davanti quello importante rapidamente va via dalla parte opposta, lungo la scalinata che dal piccolo parco davanti al palazzo crollato sale sulla strada principale. Tutti in fila, come un funerale alla rovescia, un funerale che parte dalla tomba per arrivare al mondo dei vivi, il più possibile lontano da li. D’altra parte qui tutto pare a rovescio. Si recuperano per primi quelli che stavano all’ultimo piano, per ultimi quelli che a pochi passi dalla salvezza sono invece precipitati nei seminterrati sotto tonnellate di macerie.

In alto volteggiano in cerchio come enormi avvoltoi due elicotteri. I piccoli uomini che contengono certamente vedono di sotto altri uomini resi piccoli dall’altezza che nelle loro tute, caschi multicolore e grandezza umana si affannano attorno a giocattoli radiocomandati che scavano nella polvere. Loro osservano in grande, e da lassù non possono certo vedere le piccole cose personali che emergono da quella polvere, gli oggetti tenuti in gran cura sino a poche ore prima, visualizzare i ricordi che suscitavano in qualcuno che non c’è più. Non li possono vedere, quei piccoli uomini sui grandi uccelli, perché se li vedessero capirebbero veramente dal profondo del cuore che tutto questo non dovrà realmente accadere mai più, che in futuro non sarà più possibile morire per scosse che in altri paesi sopportano frequentemente senza danni, che il meglio della gioventù non possa realizzare i suoi sogni per l’incuria o speculazione di altri.

In via Campo di Fossa si sono aperte due voragini, una delle quali ha inghiottito una macchina. Sono un geologo e capisco che non si sono aperte per caso, dovevano esistere dei vuoti precedenti al terremoto, che ha semplicemente fatto crollare la sovrastante strada che sarebbe stata comunque inghiottita prima o poi. Vedo che i camion con le macerie cominciano, per ragioni di comodità, a scaricare nelle voragini. Li fermo. Chiamo dei ragazzi del Soccorso Speleologico che stavano operando in una palazzina crollata nelle vicinanze. Scendono in una delle due voragini ed individuano una serie di gallerie scavate artificialmente in passato nel detrito naturale del monte sul quale sorge la città. La vecchia cava di breccia ha creato dei vuoti nel terreno proprio sotto ai palazzi costruiti sopra. D’accordo con il comandante generale dei Vigili del Fuoco facciamo chiudere la strada; i ragazzi speleo faranno il rilievo delle cavità per tramandarne la memoria a chi sarà incaricato della pianificazione della ricostruzione. E’ da qui che comincia la prevenzione. Per non commettere più gli errori del passato.

Cala lentamente il buio ed il lavoro procede alla luce delle fotocellule. Un cane si lecca la zampa ferita. Il suo istruttore sa che se lui glielo chiedesse l’animale si butterebbe di nuovo nella polvere, ma per oggi può bastare, ci sono altri amici pronti a farlo se necessario.

Tranne gli addetti ai lavori, non c’è più nessuno attorno. Ufficialmente non dovrebbero esserci più dispersi in quel palazzo. Ne hanno estratti da quella montagna di macerie due vivi e ventisette morti, ma c’è un particolare che induce ad un tremendo sospetto; è stato ritrovato uno zaino pieno di orologi dozzinali ed accendini. E’ quindi possibile che, stivati dalla speculazione umana in qualche stanza nel sotterraneo, siano presenti dei clandestini, magari cinesi. Ed allora la ruspa romba ed i cani sono vigili.

Mi guardo attorno e attorno vedo solo devastazione e polvere. Sono un geologo e ho studiato che i terremoti sono la linfa della Terra, che la mantengono viva, senza di loro non ci sarebbe stata la nascita della vita, senza di loro non ci saremmo neanche noi. Scientificamente ne sono consapevole e lo capisco, ma umanamente non lo posso comprendere oggi, non posso proprio comprenderlo tra queste macerie.

 

Roberto, soccorritore volontario, uno dei tanti.

 


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