L'Aquila: la zona rossa e il buco nero

di Antonio Gasparrini

26 Agosto 2009   12:19  

A due colori, il rosso e il nero, si devono le scoperte più intriganti sui misteri del nostro universo. Al primo è legato il nome dell’astronomo Edwin Hubble il quale nel 1929 scoprì che esisteva una stretta correlazione tra lo spostamento verso il rosso (redshift) della luce emessa dalle galassie, la loro distanza e la velocità del reciproco allontanamento, il che equivaleva a dire che l’universo non era statico, come pensava lo stesso Einstein, ma cangiante, dinamico ed in continua espansione.

Al secondo, quello dell’astrofisico John A. Wheeler, il quale nel 1969 con l’espressione buco nero (black hall) identificava una regione dello spazio dove la materia (normalmente una stella collassata) è compressa a tal punto che nemmeno la luce può uscirne.

I lettori si chiederanno cosa c’entri questa premessa con il terremoto dell’Aquila ed i drammatici problemi esistenziali dei suoi abitanti. Qui di seguito cercheremo di motivare una serie di analogie tra l’immensamente grande evocato e le questioni “terra terra” da affrontare quotidianamente dai 70.000 aquilani tuttora dispersi in tre minimondo tra loro incomunicabili: le tendopoli, gli alberghi e le cosiddette sistemazioni autonome.

La città-territorio aggregante (dal 1254-66, alle 3 e 32 del 6 aprile 2009) il centro storico, la periferia, le frazioni ed i comuni più vicini, non c’è più. Le sue rovine sono tutte ancora lì, disordinatamente ammucchiate sopratutto nella zona urbana più antica e più nobile. Diventata, con l’infausto marchio di “zona rossa”, inaccessibile ai suoi ex residenti e dimoranti.

Cosa sia realmente successo con il devastante sisma ne sanno più di loro (anche se in minima parte) il Presidente della Repubblica Italiana, il Papa, i capi di Stato estero e di Governo nonché i giornalisti partecipanti al G8 ed alcuni politici privilegiati accompagnati nei luoghi devastati dal sisma.

Cominciamo finalmente a chiederci perché sino ad oggi i figli legittimi della città-territorio (tale era L’Aquila sin dalla sua fondazione) siano stati tenuti distanti dai carissimi luoghi in cui sono nati, cresciuti, studiavano, lavoravano, giocavano come i bambini o passeggiavano come i pensionati.

La risposta, al di là delle ragioni di sicurezza messe in forse da incombenti pericoli di crolli, è una sola: non far prendere piena coscienza ai cittadini in lutto per la perdita della loro “amata madre urbanistico-architettonica”, della reale dimensione del disastro, e, di conseguenza del controllo popolare e democratico, dal basso, delle scelte tattiche (emergenza) e strategiche (ricostruzione) da porre in essere.

Invece di convogliare migliaia di visitatori nei locali della Guardia di Finanza dove si era tenuto il

segregato e segregante G8 per ammirare i letti dove avevano dormito gli pseudo “Grandi della Terra” o per visitare la mostra di capolavori dell’arte abruzzese fino ad allora sconosciuti a quei Grandi (compreso il piccoletto sig. b.) ma arcinoti agli abruzzesi e familiarissimi agli aquilani, ci saremmo aspettati sin dall’inizio della tragedia un’altra soluzione.

Quale? Quella di mettere in fila, questa volta sì, 400-500 aquilani al giorno (rispettando le dovute garanzie legate alla sicurezza), accompagnati tutti, dico tutti, nei luoghi disastrati, illustrando contestualmente a voce, da parte di tecnici (ingegneri, architetti, storici dell’arte ecc.) muniti di megafono, l’entità della distruzione e le problematiche connesse alla complicatissima ricostruzione.

Questa praticabilissima opportunità che avrebbe consentito nei 4-5 mesi già trascorsi il totale coinvolgimento della comunità aquilana resasi finalmente conto della reale dimensione del disastro,

è stata scientemente scartata..

Le ragioni? Più di una, tra le quali ha primeggiato quella di non avere come antagonisti nelle scelte governative, proprio i destinatari delle stesse. Pensiamo solamente ai clamorosi, perduranti ritardi nella messa in sicurezza degli edifici di civile abitazione, siano essi di pregio o normali.

I danni mortali in progress inferti dalle centinaia e centinaia di scosse susseguitesi senza sosta, danni del tutto occultati dai massmedia filogovernativi anche in presenza di un quarto grado della scala Richter (l’ultima di questa entità, in ordine di tempo, è avvenuta il 12 luglio), sarebbero stati, invece, ben valutati da quegli stessi cittadini portati nei luoghi del lutto e del dolore, cittadini diventati potenzialmente testimoni scomodi dell’accaduto, come posso fare in prima persona (da cittadino, s’intende) per lo spazio culturale di Angelus Novus (da me diretto) ubicato in Via Sassa 15: chi risponderà dei guasti aggiuntivi causati dalla scellerata scelta dei mancati puntellamenti? In un altro mio articolo, avevo suggerito di effettuare una class action contro il governo per il sacrosanto risarcimento dei danneggiamenti aggiuntivi subiti dalle costruzioni

Alla base dello spudorato gioco delle tre carte praticato sulla pelle dei terremotati aquilani con spregevole cinismo dal sig. b. e dai suoi fidi e fidati vassalli, esiste una strettissima correlazione tra le promesse propagandistiche mai mantenute (ricordate la questione del 100% relativa alle seconde case, o il rimborso parziale delle trattenute IRPEF?) e le striminzite risorse finanziarie fino ad oggi messe realmente a disposizione. Solo per il recupero dei beni artistici e culturali occorrono 3 miliardi di euro; il governo ne ha stanziati qualche giorno fa solo 20 milioni, mentre i Capi di Stato e di Governo partecipanti al G8 ne hanno promessi altri 30-40: in termini percentuali siamo all’infimo 2%. Per la Basilica di S. Maria di Collemaggio a tutt’oggi non è disponibile nemmeno un euro, ma, cari lettori statene certi: il sig. b. sfilerà nel mini-corteo della Perdonanza, attraverserà la Porta Santa con la faccia “pentita e contrita” (per beneficiare dell’indulgenza plenaria, la Bolla celestiana esige che non già la faccia, bensì il peccatore con tutta la sua anima perversa, sia“pentito e contrito”). Le felicitazioni del Sindaco Cialente per questa strumentale partecipazione ad uno dei più sentiti eventi religiosi da parte della comunità aquilana, ci sembrano inappropriate.

Se quegli aquilani fossero stati portati nel centro storico come suggerito più sopra, avrebbero capito con un sol colpo d’occhio dato alle rovine la presa in giro governativa in merito all’assoluta insufficienza dei fondi stanziati per la ricostruzione, peraltro spalmati nell’arco di sei anni nel seguente modo: circa 70 nel 2009; 335 nell’anno successivo; 2000 nel 2011 e 1650 nel 2012-2015, per un totale di circa 4 miliardi di euro. È azzardato sostenere che ne occorreranno almeno il quadruplo, se si vuole salvare almeno la “sopravvivenza” urbana, civile e culturale della città-territorio dell’Aquila?

Sulla base di queste considerazioni è del tutto fuori luogo, anzi stonato l’appello rivolto agli aquilani dall’arcivescovo dell’Aquila Giuseppe Molinari :«Sembra che tutti si aspettino un aiuto incondizionato dallo Stato, dimenticando che bisogna darsi da fare. Dobbiamo ringraziare chi ci sta dando una mano. Ad esempio, non serve limitarsi a constatare che il Piano Case non basterà per tutti, bisogna capire dove sono le responsabilità di questa carenza. Non credo sia tutta colpa del governo». Sig. Arcivescovo, di che sta parlando? Sta forse facendo il “pompiere” per il riavvicinamento del sig. b. al Vaticano, dopo la reprimenda delle gerarchie cattoliche alle sue vergognose, riprovevoli abitudini sessuali soddisfatte con i documentati festini tenuti a Villa Certosa e a Palazzo Grazioli?

Per quanto riguarda poi lo stato comatoso in cui versano le chiese, i palazzi e le case della “zona rossa” (res sic stantibus) , il “buco nero” dell’informazione (a parte la trasmissione di Michele Santoro Anno Zero, il libro + DVD di “Sangue e cemento” messo recentemente in distribuzione dagli Editori Riuniti, e qualche altra eccezione di vari giornali on line e siti internet locali e regionali), ha consentito tutte le nefandezze fino a qui perpetrate grazie anche alla “similinformazione” fornita da compiacenti trasmissioni televisive come Porta a Porta condotta dall’aquilano Bruno Vespa.

L’ostentata gestione verticistica-decisionista su tutti gli interventi sinora “messi in campo” (è questa una tipica espressione gergale del sig. b.) dalla Protezione civile, vero e proprio braccio armato del Governo, ha escluso di fatto dalle decisioni più delicate non solo i cittadini, ma i loro rappresentanti legittimi a livello locale (Sindaco e Presidente della provincia), mentre a nulla sono valse sino ad oggi le loro proteste e quelle esternate a gran voce dai “professionisti del territorio” (urbanisti, ingegneri, architetti, geologhi).

Sicché due dilettanti in materia urbanistica, quali sono il sig. b., imprenditore-speculatore di “MilanoDue” ed il Capo della Protezione civile Bertolaso (medico), hanno di fatto decretato in quattro e quattrotto, con le loro insulse scelte delle 19 little towns in via di costruzione e dell’imminente deportazione in massa dei circa 15.000 aquilani, la più che probabile morte della città antica.

Certamente per chi sarà stato per 6 mesi recluso in una cella- tenda, avere ottenuto un tetto sotto cui finalmente ripararsi, anche se distante 15-20 km. dalla precedente dimora, equivarrà psicologicamente e materialmente all’aver azzeccato un terno al lotto. Guardando però la realtà in faccia non già nel breve periodo o sotto l’ottica della singola convenienza, ma in quello del medio e lungo arco di tempo necessario per riedificare gran parte del centro storico, l’allontanamento forzoso di questo consistente nucleo di cittadini, insieme agli altri due prevedibili (alberghi e sistemazione autonoma), genererà un progressivo allontanamento degli aquilani dal loro originario territorio, con la stessa logica e velocità di regressione delle galassie chiamate in causa all’inizio di queste righe.

Purtroppo la positiva esperienza friulana e umbra in fatto di ricostruzione post-sisma, da cui attingere a piene mani, è stata del tutto ignorata dal sig. b.

Nella premessa al suo agilissimo libro “Terre mobili. Dal Belice al Friuli dall’Umbria all’Abruzzo” (appena uscito), l’architetto ed urbanista Giovanni Pietro Nimis, protagonista della rinascita friulana con i suoi progetti elaborati per Gemona, Venzone ed Artegna, rileva: «Il progetto dei nuovi villaggi antisismici tecnologicamente avanzati, mescolando emergenza e ricostruzione, crea una situazione malata, che sembra volta sopratutto a stupire con promesse capaci di vincere le ragioni del tempo e dello spazio: tornando a vecchi accentramenti di potere. Ciò che sembrava superato per sempre dopo l’esperienza del Friuli e dell’Umbria, dove erano state le regioni delegate a definire il quadro dei danni, a predisporre i programmi finanziari, e a fissare le priorità per ripartire i fondi. A delineare la propria sorte».

La malasorte del sisma aquilano ha voluto diversamente.

 

* Critico d’arte – Art Director del Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea Angelus Novus, fondato nel 1988 (L’Aquila, Via Sassa 15, ZONA ROSSA). Attualmente “naufrago” sulla costa teramana. antonio.gasbarrini@gmail.com

 


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