L'abitare e lo scorrere dell'acqua. Todorovic al Muspac

17 Marzo 2009   12:42  

Acqua e abitare. Due parole che aprono infiniti spettri semantici. Declinato in immagini, parole e suoni al Muspac dell'Aquila grazie all'artista serba di fama internazionale Nina Todorovic, e della sua mostra dal titolo Ipertopia, alla performance musicale della tedesca Isabell Presenza, alla video art dell'artista polacco, aquilano di adozione,  Piotr Hanzelewicz. Ai  pensieri e alle parole della curatrice del mostra Paola Ardizzola.
L'arte contemporanea ha questo di bello, è un testo aperto, che si scrive attraverso il dialogo mai definitivo tra l'artista e chi osserva. Nel linguaggio della filosofia, che è pur sempre il buon senso in abito da sera, questa magia si chiama ermeneutica. 

Ecco comunque il  personalissimo percorso di immagini e pensieri, che   la mostra Ipertopia mi ha suggerito, in un piacevole ed economico sabato ermeneutico:  l'alchimista  Attanasio Kircher che passava i pomeriggi ad ascoltare il rumore della cascata per decifrarne gli spartiti musicali; il fiume Aterno, che dopo aver scavato una valle incantevole, forse stanco dello sforzo creativo, si sta seccando; la città delle 99 fontane e delle quattro chiacchiere da bar;  Talete tardo-moderno, ovvero "Tutto è acqua, liscia, gassata o Ferrrelle" ; tutto scorre: ovvero, parafrasando Giovanni Falcone, le idee passano, gli assessori restano (senza idee). E ancora:  mica mi ero mi accorto che le  Novantanove cannelle fossero così mistiche, e che fosse possibile immaginare e soprattutto materializzare il dna di una goccia d'acqua fatta a spirale e con  una segreta armonia matematica; e mica sapevo, ignorante che non sono altro, che Borges avesse  scritto che "il fiume è fatto di tempo e di acqua" e che "ci perdiamo come il fiume e che i visi passano come l'acqua".  A seguire rinfresco.

In una sezione della mostra  un'anticipazione di una esposizione che sarà presentata a Belgrado incentrata questa volta sull'abitare, dal titolo Alpha Nets. Scrive a tal proposito Paola Ardizzola: " La distruzione di una città- sostiene Simone Weil - è una delle cose più terribili che possa accadere nella storia. Ci sono tanti modi di distruggere una città: il più eclatante ed immediatamente doloroso è bombardarla, annientarla con le armi a prezzo di preziosissime vite umane, ma c'è anche un modo più sottile, più insinuante di distruggere una sua identità storicizzata, ed è di svuotarla di contenuti attraverso la costruzione sistematica di edifici, alcuni casi definiti efficacemente non-luoghi, dove viene negato il senso millenario della civitas, della costruzione umana di rapporti che si basano su una società civile che nei secoli ha dato il volto alla sua identità attraverso un codice urbano che era il recinto sacro, la piazza, il palazzo delle assemblee, il parco, il teatro, e che di quella città sono la storia, dei suoi pensieri, dei suoi scambi, dei suoi destini"


A PROPOSITO DI MUSPAC

I 99 PASSI

Una strada lunga una generazione può essere percorsa in novantanove passi. È la distanza che separa l’uscio del Museo sperimentale d’arte contemporanea dalla casetta rosa in cui abitò il poeta Gilberto Centi. “Lo andavamo a trovare - ricorda Enrico Sconci, direttore del Muspac - e lui si affacciava alla finestra con un mantellaccio nero. Nella sua minuscola camera ascoltavamo al buio i primi 45 giri di un certo Bob Dylan e di un tale De Andrè”. Tempi lontani: “La rivoluzione ha perso il reggipetto”, pezzo forte dei Bravo reverendo Rebman, una delle prime band psichedeliche aquilane, la ricordano in pochi. Ma è lì, nel fertile terreno delle illusioni, che affonda le radici il Muspac, un luogo nato con la ragione sociale di diffondere cacofonie ella musichetta conciliante che avvolge come bambagia gli ipermercati del senso. “Mi chiedo spesso il significato di tutto quello che abbiamo fatto - riflette Enrico – e rispondo che esso consiste nell’ aver creato uno spazio d’incontro in cui sono passati tanti artisti, tanti giovani, tanti appassionati”. Il Muspac insomma come una valigia piena di storie, volti e amicizie: come la stanzetta di Gilberto traboccante di libri.
Il Muspac ha tentato di essere agli antipodi di musei trasformati in ricoveri per quadri stanchi e senza mercato, talvolta appesi negli eleganti privèe ad uso di uomini politici e d’affari, come accade nella catena di musei del frachising Guggenheim. Per questa ragione, se si leggono “gli endecasillabi per un quadro non dipinto” di Carmelo Bene, che fanno parte della collezione permanente del Muspac, la sua voce risuona ancora e fa vacillare e solide pareti del Palazzo. A volerlo ci si può ancora affacciare nelle fessure aperte dal greco Kounellis, fatti della materia primordiale dei sogni, come il fuoco, il carbone e il caffè. Cola il bitume sui quadri di Massimo Piunti e disegnano gineprai oscuri e colline opalescenti. Resta fermo nell’istante dell’assenza l’urlo di rabbia dell’argentino Raul Rodriguez per il destino dei desaparecidos.
Il grande Joseph Beuys non è mai passato di qui - con la sua pala e una bottiglia di Montepulciano - ma sua è la filosofia sottesa al Muspac: l’arte come scienza della libertà e come fondamento di un’economia aderente ai bisogni e alla terra, l’arte come unico vero capitale. E poi il suo febbrile dare senso alle parole, a cominciare dalla parola utopia, resa concreta da gesti semplici come raccontare una ricetta, spaesare un oggetto di uso quotidiano, piantare alberi a Cassel, infilare una presa in un limone carico di energia. Hanno lasciato un segno profondo i gesti sonori di Sylvano Bussotti, musei delle cere animati e messi in scena da Fabio Mauri, la rilettura della Perdonanza celestiniana fatta da Joseph Kosuth e a altri importanti artisti: un omaggio laico e spiritualmente scandaloso del Muspac ad una delle più Sacre Tradizioni della città. “In questi anni - spiega Sconci – abbiamo intrecciato relazioni con ciò che è vivo culturalmente nel territorio. Abbiamo favorito l’incontro degli studenti dell’Accademia con artisti di altri paesi e culture. Presto saremo aperti anche la sera, per invitare i giovani a trascorrere, con la scusa di un buon bicchiere di vino, ore diverse da quelle spese in pub sovraffollati e ove di cultura ne circola ben poca”.
Dietro il portone del Muspac, Via Paganica è deserta e malinconica. I Custodi del silenzio assorbono con le loro spugnette gli echi di utopia e financo i bisbigli di dissenso, prima che essi possano scalfire il vicino Palazzo Margherita.
Domandona del secolo: “Signor Sconci: l’arte è morta?”. “Non saprei – risponde - sicuramente è morta nel mondo della politica e degli ordini professionali. Basti pensare allo scempio che è stato fatto sulla Piana dei Navelli alla colata di cemento con cui qualcuno vorrebbe coprire Piazza D’Armi, invece di farne un polmone verde della città, come sarebbe ovvio”. Torna alla mente, a tale proposito, Africa/Incontri, altro importante evento ospitato al Muspac nel 1992. Tito Pini raccontò, a tanti aquilani che gremivano la sala, di tribù che hanno un rapporto sacrale con l’abitare, avvertono il territorio come distesa di simboli, hanno compreso, come il surrealista Andrè Breton, che plasmare lo spazio in cui si vive significa trasformare se stessi.
Filippo Tronca 2007

 

 

 


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