L'azienda lo licenziò perché malato di tumore, operaio si rivolse a giudice ma gli fu dato torto

Lo sfogo: "Per vincere causa avrei dovuto morire"

09 Aprile 2015   11:00  

Sorprende senza dubbio in negativo la vicenda di Pierpaolo Mantini, 37 anni, ex dipendente della Burgo di Chieti, e suo malgrado protagonista di una storia dal sapore davvero amaro.

Mantini, impiegato presso la Burgo dal 1998, nel gennaio 2005 scoprì di essere affetto da tumore, che si vide costretto a combattere attraverso varie sedute di chemioterapia, restando lontano dal lavoro per circa 6 mesi. Il successivo luglio, pur essendogli stata riconosciuta un'invalidità del 100%, riprese servizio, avendo il medico dell'azienda riconosciuto la sua idoneità l lavoro, purché non fosse svolto in "ambienti di elevata temperatura".

Tuttavia, al contrario, Mantini ha affermato di "essere stato costretto spesso a turni e mansioni non compatibili con il mio stato di salute". In ogni caso, a seguire arrivò per lui anche il licenziamento: lo stabilimento di Chieti era prossimo a chiudere, e chi tra gli impiegati voleva poteva fare domanda per essere trasferito in un altro stabilimento, in Italia o anche in Belgio.

Mantini fu tra coloro che si diedero disponibili ad un trasferimento, ma dall'azienda non ricevette risposta alcuna. A quel punto, l'uomo decise di impugnare sia il licenziamento da parte dell'azienda sia "l'attività dannosa e mobbizzante" cui riteneva di essere stato sottoposto.

Il ricorso davanti al giudice, tuttavia, ebbe per lui esito negativo, con una motivazione secondo cui "non era stata subìta alcuna lesione psicofisica perché non c'era stato un aggravamento della patologia". Mantini, che quasi certamente ricorrerà in appello, si è mostrato decisamente amareggiato per l'esito della sentenza di primo grado, arrivando a commentare che "forse avrei dovuto morire per poter vincere la causa".


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