La balcanizzazione del post-terremoto

06 Agosto 2010   13:25  

Nei bar dell'Aquila semi-deserti si sente spesso parlare con stizza e rabbia del diamante dell'assessore Daniela Stati, e tra un caffè e una birra si improvvisano processi sommari conditi da irripetibili epiteti.

Gli avventori più tecnologizzati ricordano e riferiscono del video che impazza su Facebook e che immortala una sorridente e rasserenante assessora Stati che nel corso di un intervista rassicura gli aquilani prima del 6 aprile.

L'impressione è che la giusta indignazione nei confronti di ipotetiche  speculazioni e reati, tutti da dimostrare, commessi nel contesto della ricostruzione, stia prendendo però anche una piega etno-campanilistica.

Cioè: la Stati è colpevole in quanto marsicana e fa gli interessi di gruppi di potere di quel territorio. C'era insomma da aspettarselo perché non è aquilana, non ha subito il terremoto, ha altre motivazioni, è qui per farsi i fatti suoi e così via.

Va diffondendosi il sospetto  che i teramani, i pescaresi, i marsicani vogliano approfittarsi dei terremotati. Che le altre Università vogliano dividersi le spoglie di quella aquilana che quest'anno ha retto botta, ma gli anni prossimi chissà. Stesso destino si teme per gli uffici regionali e gli altri tesori della città in ginocchio e sconfitta dalla furia della terra.

Complice un'antica, ma tutto sommato innocua rivalità calcistica, ad essere presa di mira, in questo schemino mentale, in particolare è la Marsica. C'è il sospetto che i politici laggiù eletti, Del Corvo, Stati, per non parlare del dominus Filippo Piccone, in realtà lavorino a drenare risorse e appalti dal cratere sismico, a favore dei loro bacini elettorali. Si teme, anzi molti ne sono certi, che costoro cerchino di portarsi la Provincia, con tutta la sua dote di uffici, poltrone, consulenze e posti di lavoro, ad Avezzano.

L'ombra del torbido sospetto raggiunge anche i cugini teramani e pescaresi: ''Gli albergatori grazie ai terremotati hanno fatto soldi a palate'', si sente dire e scrivere di sovente nei social network. ''Le ditte e gli ingegneri arrivano a frotte da altre province e noi stiamo a guardare!'', tuonano gli studi tecnici del capoluogo, che pure sono pieni di lavoro fin sopra i capelli.

Prende contestualmente piede una sconcertante teoria della superiorità morale degli aquilani condita dalla sindrome dell'accerchiamento. Teoria del tutto priva di fondamento, perché ad esempio semplicemente scorrendo l'elenco degli inquisiti e sospettati all'indomani del 6 aprile, non pochi, anzi molti, sono aquilani doc. Le cricche, inoltre al giorno d'oggi non hanno confini.

Dall'altro lato, però non occorre leggere gli stucchevoli commenti agli articoli de Il Giornale vero e proprio think tank del sedicente popolino dell'amore, per rintracciare un disprezzo, di nicchia certo, ma significativo, nei confronti del terremotato aquilano definito scroccone, incontentabile, uno che appena può se ne approfitta, non meritevole della straordinaria solidarietà degli altri italiani. Le stesse miserabili considerazioni vengono fatte anche nei bar di Teramo, di Avezzano e Pescara, e non solo da poveri ubriaconi disadattati.

La politica, degna di questo nome, dovrebbe con il buon esempio e atti concreti sradicare sul nascere questa pericolosa tendenza nell'opinione pubblica.

Se non fosse che è proprio la politica ad aver balcanizzato per decenni l'Abruzzo e gli abruzzesi, trasformando il voto in una delega a curarsi non dell'interesse generale, quanto piuttosto dei minuti e circostanziati interessi del campanile, delle clientele e delle cricche locali, dei giovani paesani da raccomandare e piazzare con il solo merito dell'anagrafe dietro una scrivania sicura o anche sopra una poltrona di prestigio.

I territori sono diventati cosi' rapaci competitor in occasione di ogni variazione di bilancio e contestuale ripartizione dei fondi a pioggia nei vari collegi elettorali, ripartizione decisa non in base alle oggettive priorità di intervento e ai bisogni dei cittadini, ma a seconda della capacita drenante del maggiorente politico di riferimento.

La ricostruzione, proviamo a trarre una conclusione,  non potrà limitarsi solo alle case, alle chiese e alle fabbriche, ma dovrà interessare niente meno che l'anima profonda di un paese in declino. Non ci sono solo muri da ricostruire, ma molti da abbattere.

Filippo Tronca

 

 

 

 


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