La crisi economica è un’occasione per la mafia. Anche in Abruzzo

Tano Grasso a L'Aquila

28 Gennaio 2009   16:48  

“La crisi economica è un’occasione per la mafia di arricchirsi favorendo l’aumento di estorsione e usura" è quanto affermato dal presidente onorario della Federazione antiracket italiana, Tano Grasso, intervenendo a una lezione del corso di storia e sociologia delle organizzazioni criminali dell’Ateneo aquilano tenuto dal professor Francesco Forgione, ex presidente della commissione parlamentare antimafia.
Grasso, nella sua lezione nel polo didattico di via Di Vincenzo, ha anche fatto un breve accenno alla situazione abruzzese per quanto riguarda le infiltrazioni mafiose.
"Isole felici non esistono più" ha aggiunto, "per cui anche in questa regione sicuramente ci sono interessi economici legati ad organizzazioni criminali specie sul territorio costiero, ma non ci sono quegli insediamenti mafiosi veri e propri che, invece, si sono riscontrati in altre zone.Ci sono dei segnali che arrivano dalla cattura dai latitanti che talvolta vengono presi proprio in Abruzzo".
Parla di un paradosso Tano Grasso: la crisi economica è una manna per le mafie perché le banche chiudono i rubinetti del credito, e i commercianti trovano come unico finanziatore sulla piazza proprio le mafie che hanno la necessità di riciclare un’immensa mole di denaro.

Quasi una legge fisica , per Grasso: “Se diminuisce il credito legale aumenta quello illegale garantito da usurai e mafiosi”. La mafia però, a differenza dell’usuraio, non è interessato a strozzare e portare alla disperazione l’imprenditore, è interessato alla sua azienda, che gli serve per investire e ripulire il denaro. Un secondo paradosso, spiega Grasso, è che l’imprenditore in crisi dopo avere “ceduto” l’azienda alla mafia, salvandola dalla bancarotta,  diventa un dipendente della criminalità organizzata con uno stipendio fisso, e può guadagnare talvolta più di quello che guadagnava prima, emancipandosi per di più dal rischio d’impresa. A causa di questo comune interesse il  riciclaggio è un fenomeno dilagante molto difficile da scoprire.

Secondo i dati resi noti da SOS impresa, relativi al business macinato dalle mafie italiane,  Cosa nostra, N'drangheta, Camorra e Sacra corona unita, fatturano un utile annuo di 72,2 miliardi di euro.  

Le  voci di entrata in ordine di rilevanza sono: il traffico di droga, 59 miliardi di euro, ecomafia e rifiuti (16 miliardi);  usura (12,6 md), agro-mafia (5,7); racket (9 md), appalti e forniture (6,5 md), traffico di armi (5,8 md),  contraffazioni (5,3 md),  giochi e scommesse (2,4 md), abusivismo edilizio (2 md) , e poi ancora contrabbando, tratta di esseri umani, prostituzione, proventi finanziari. In totale fanno   130 miliardi.

Nella voce uscita spiccano  i  1,7 miliardi per pagare stipendi e pensioni agli affiliati e fiancheggiatori ed prestanome  e ben 3 miliardi di euro per corrompere e ungere gli ingranaggi dell'amministrazione pubblica. 

 

72 MILIARDI DI EURO...DOVE VANNO A FINIRE QUESTO FIUME DI DENARO? 

 

La coraggiosa rivista di frontiera Narcomafie scrive a proposito della Lombardia: “A partire dagli anni Novanta la mafia calabrese ha infiltrato l’economia di Milano e dintorni, colonizzando interi settori produttivi e occupando la città partendo dalla zona dell’Ortomercato fino ad arrivare al centro, dove continua a fare affari. Eppure nella città del Duomo in molti continuano a negare il problema. Anche oggi, che nuove inchieste e fatti di cronaca hanno reso lo scenario particolarmente mutevole e pericoloso. E all’orizzonte si profila il grande affare dell’Expo 2015.”  

E relativamente all’Abruzzo scriveva un anno fa il giornalista Piero Narducci: “L’azienda mafiosa ha i suoi manovali, addetti ai lavori sporchi, ed i suoi dirigenti in colletto bianco, che si curano del riciclaggio dei proventi delle attività illecite, operando in un cono d’ombra dove è sovente opaco il ruolo svolto dalle banche e dalle società finanziarie.Insomma, la “Mafia Spa” si inserisce ad un certo punto nel mercato - anche grazie alla complicità di “normali” operatori - compra alberghi e ristoranti, lavanderie e autorimesse, villaggi turistici e barberie, che operano nell’economia legale come una qualsiasi azienda. E qui c’entra l’Abruzzo. La nostra regione non è territorio di mafia, nel senso proprio del termine, ma è uno di quei territori relativamente tranquilli scelto dalla “Mafia Spa” per ripulire il denaro sporco, grazie all’attività di prestanome e di società che investono nel mercato. Investimenti che prediligono attività di particolare redditività. La mafia investe sul sicuro, a partire dal mattone. Ed accade così che, applicando elementari calcoli statistici, viene fuori che in Abruzzo sono troppi i palazzi e gli alberghi, gli sportelli bancari ed i centri commerciali, sono troppi i ristoranti ed i locali notturni, sono troppe finanche le lavanderie. Si tratta di attività perfettamente legali che svolgono una duplice funzione: da un lato, assorbono i denari provenienti dal giro d’affari criminoso, dall’altro, forniscono un consistente utile annuo alla “Mafia Spa”.  

Un meccanismo ampiamente noto e inquietante, già descritto da Giovanni Falcone e confermato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta del 2005, presieduta da Francesco Forgiane.

Si legge nella relazione conclusiva: “L’infiltrazione dei capitali di origine illecita nel sistema economico legale consente alle organizzazioni criminali di collocarsi sul mercato in posizioni di assoluto favore a danno degli operatori legali poiché agisce contemporaneamente nel mercato criminale ed in quello legale e in ragione di questo vantaggio le imprese legali possono divenire “ facile preda dell’imprenditore criminale e predisponendo tutti gli elementi per un monopolio criminale in alcune aree”. Questa tendenza può essere favorita dalle “difficoltà dell’impresa legale di accedere al credito (magari per mancanza di garanzie da fornire) e quindi dalla sua necessità di ricorrere a capitali illeciti attraverso l’usura. La conclusione frequente di tale processo è l’acquisizione, da parte della mafia, dell’impresa che non riesce a pagare le rate del prestito usurario, con il presumibile risultato di ingrossare le fila delle imprese nelle quali far confluire i proventi illeciti da riciclare, alimentando ancora il circuito perverso.” L’imprenditoria dunque spesso convive - silente o vittima, collusa o intimidita - con il potere pervasivo delle mafie”.“La scarsa capacità dell’Italia in generale, ma in particolare nel Mezzogiorno, di attrarre investimenti è addebitabile ovviamente al tema della sicurezza, oltre che al cattivo funzionamento della pubblica amministrazione, alla lentezza della giustizia civile ed alla carenza delle infrastrutture”. E pertanto “In italia esiste un vero e proprio «sistema bancario parallelo o alternativo, in grado di contare su una rete capillare di distribuzione tre volte più ampia di quella delle Poste, su cui circolano flussi imponenti di denaro contante che sfuggono ad ogni controllo, con il fondato pericolo che possano servire a finanziare, oltre che attività illecite, anche il terrorismo internazionale”..”Tale struttura finanziaria presenterebbe circa 25 mila punti di raccolta di denaro presenti in Italia, dei quali si stima che il 30 per cento - circa 8 mila - sia illegale. Questi punti di raccolta utilizzano anche i tabaccai, gli internet point, i phone center”  

Chi è Tano Grasso 

Nato a Capo d'Orlando, in provincia di Messina, nel 1958, laureato in filosofia a Firenze, commerciante, presidente dell'Acio (l'Associazione dei Commercianti ed Imprenditori Orlandini fortemente impegnata contro il racket delle estorsioni, che ha denunciato i mafiosi e li ha fatti condannare in tribunale), poi parlamentare, membro della Commissione parlamentare antimafia, primo firmatario della proposta di legge contro l'usura, successivamente è stato nominato Commissario Straordinario di Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura.Attualmente Tano Grasso è consulente antiracket e antiusura della Regione Campania, del Comune di Napoli e del Comune di Roma ed è coordinatore nazionale della Federazione delle Associazioni Antiracket e Antiusura Italiane. Nella presentazione del suo primo libro, Contro il racket (Laterza, Roma-Bari 1992), scriveva: "Caro lettore, cara lettrice, non sono uno scrittore, anche se sono l'autore del libro che hai nelle mani. Non sono un teorico, anche se gli studi di filosofia all'Università di Firenze mi hanno lasciato dentro il gusto di ragionare e di capire. Non sono un politico,anche se siedo sui banchi del Parlamento della Repubblica italiana. Sono un commerciante di scarpe. Insieme ad altri commercianti mi sono trovato a vivere un'esperienza incredibile. Anch'io, ancora oggi, quando ripenso a tutto quello che è successo negli ultimi due anni, stento a crederci. La rivolta contro il racket, l'assassinio di Libero Grassi, i funerali, le interviste, gli studi televisivi, il processo, gli estorsori condannati, nuovi funerali, gli incontri nelle scuole, nelle piazze, nelle chiese, le mani strette per strada. Stento a crederci. (...) Questa è la mia testimonianza, e non solo la mia".


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