''La faglia di Paganica era conosciuta già prima del sisma del 6 aprile''

di Claudio Panone

02 Aprile 2012   16:50  

La 'faglia di Paganica' che ha originato il terremoto del 6 aprile 2009, non era nota agli esperti alla vigilia della scossa delle 3.32, quella di magnitudo 6.3 che ha devastato l'Aquilano. Ad  affermarlo  uno dei testimoni della difesa al processo sulla Commssione grandi rischi, Gianluca Valensise, geologo dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Roma, ascoltato  nel corso dell'ultima udienza  

Non è affatto dello stesso parere l'ingegnere Claudio Panone, che ci ha inviato questo interessante articolo.

“LA  FAGLIA  DI  PAGANICA  ERA  NOTA  PRIMA  DEL  6   APRILE  2009''

La faglia normale orientata NW-SE, immergente verso SW, nota in letteratura come “faglia di Paganica” e responsabile del sisma del 6 aprile 2009, era nota già prima della catastrofe che ha colpito il territorio aquilano ed era anche riportata sulle carte geologiche dell’Abruzzo dai primi anni novanta assieme alle altre faglie locali: le faglie della Valle dell’Aterno (faglia di Monte Stabiata, faglia di Colle Praticciolo, faglia del Macchione, faglia del Pettino, faglia di Monte Marine, Faglia Rojo – Canetra e dintorni, faglia di Bazzano, faglia di Monticchio-Fossa, faglia di Villa S. Angelo- Tione A, ecc.); le faglie dei Monti della Laga (Area del lago di Campotosto); le faglie del Gran Sasso (Corno Grande, Campo Imperatore, Assergi, M. Cappucciata- S. Vito, ecc.), le faglie dell’Altopiano delle Rocche.

Una indicazione approssimativa era stata data, negli anni cinquanta-sessanta, dal geografo francese Jean Demangeot (Parigi 1916-2009), che condusse ricerche di morfologia in Abruzzo.

L’evoluzione geologica e tettonica quaternaria dell’area colpita dal terremoto è stata successivamente studiata da Bertini e Bosi che oltre ad interessarsi dei litotipi affioranti descrivono le faglie della media Valle dell’Aterno (1970- 1989- 1991- 1993). La struttura tettonica è stata identificata e descritta nei lavori di Bagnaia (ed altri) (1992), Vezzani e Ghisetti (1998), Boncio (ed altri) (2004) e riportata anche nella cartografia geologica ufficiale Foglio CARG scala 1:50000 N. 359 – L’Aquila).

In un lavoro del 2006 Laura Peruzza dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica (OGS) di Trieste e un gruppo di ricercatori dell’Università di Chieti avevano segnalato la pericolosità della faglia di Paganica.

Dopo il sisma del 6 aprile 2009 la faglia è oggetto di studi approfonditi da parte di istituti di ricerca italiani e stranieri: dai primi risultati degli studi, supportati da indagini paleosismologiche (in pratica si cerca geologicamente di riconoscere le evidenze di terremoti del passato che hanno prodotto come nel 2009 delle rotture in superficie come questa) e da un’analisi attenta di tutti i depositi e dei rapporti strutturali si sono potuti riconoscere ben 4 eventi simili a quello del 6 aprile 2009.

La datazione con radiocarbonio e con dei frammenti di ceramica di epoca storica hanno permesso di ricostruire la storia sismica di questa faglia, ed in particolare i 5 eventi di cui in particolare il 2009 è il più recente; il 1461 è molto probabilmente l’evento precedente, e poi altri 3 eventi più antichi. Sia i rigetti verticali (ribassamenti verticali) di ogni evento (circa 25 cm.), sia la periodicità (spaziatura nel tempo, dell’ordine dei 500 — 800 anni), sono molto regolari, cioè la faglia denominata “faglia di Paganica” sarebbe responsabile di terremoti di magnitudo intorno a 6.3 ogni circa 500 anni (es., 1461, 2009) mentre ogni circa 800 - 900 anni darebbe luogo a terremoti più forti quando si attiverebbe in contemporanea con le faglie adiacenti del Pettino e di M. Marine.

Una curiosità

Roberto Bagnaia è uno dei tre giovani geologi romani che nel 1989 non raccolsero consenso dal mondo scientifico, sull’ipotesi da loro formulata in merito all’esistenza ed all’attività della faglia di Paganica:

“La faglia responsabile del sisma che ha devastato L'Aquila lo scorso 6 aprile era stata individuata già nel 1989 da un gruppo di giovani geologi romani; ma la loro scoperta non fu presa sul serio dalla comunità scientifica, che non diede molto credito all'idea che proprio tra L'Aquila e Paganica ci fosse una faglia attiva in grado di provocare terremoti di elevata intensità.

La storia risale al 1988, quando Andrea D'Epifanio, Roberto Bagnaia e Stefano Sylos Labini, all'epoca non ancora trentenni, cominciano a interessarsi alla storia geologica della piana dell'Aquila.

Compiono sopralluoghi sul posto, studiano le tracce di antichi movimenti tellurici, prendono foto aeree della zona. Fino a che, nel 1992, pubblicano sulla rivista «Quaternaria Nova» uno studio dedicato alla formazione dei terrazzi della provincia dell'Aquila.

La loro ipotesi è che la morfologia della terra in questo lembo dell'Abruzzo sia stata plasmata dai movimenti tellurici prodotti nei secoli da un complesso sistema di faglie del quale farebbe parte una spaccatura di circa 15 chilometri, dritta come un fuso, che corre tra Paganica e San Demetrio nè Vestini. La faglia viene ribattezzata proprio «faglia di Paganica-San Demetrio».

I tre sono convinti che sia attiva da almeno 200.000 anni: sua la responsabilità dei terremoti che hanno distrutto il capoluogo abruzzese nel 1461 e nel 1703. Ma lo studio dei tre giovani geologi viene accolto con freddezza e scetticismo. Per qualche mese gli studiosi discutono l'ipotesi suggerita da D'Epifanio e compagni, ma alla fine il verdetto è una bocciatura.

La faglia di Paganica, se pure esiste, non mostra segni di attività. A 20 anni di distanza, dopo che il devastante terremoto del 6 aprile ha dimostrato che la faglia di Paganica non solo esiste ma è anche in piena attività, D'Epifanio riflette con amarezza: «se ci avessero dato retta, forse qualcuno si sarebbe preso la briga di monitorare la faglia con attenzione nel momento in cui qualche mese fa, ha cominciato a ridare segni di vita. Purtroppo qui in Italia l'atteggiamento dei geologi di fronte ai terremoti è improntato al fatalismo e alla rassegnazione. A furia di ripetere che i terremoti non possono essere previsti, nessuno prova a controllare e a dare un senso a quello che succede sotto i nostri piedi».

D'Epifanio, dopo la delusione di quel 1989, ha chiuso con la geologia: a una incerta carriera di ricercatore ha preferito un impiego in una compagnia telefonica. Ma oggi si prende la sua rivincita e raccoglie i tardivi riconoscimenti.

Nicola D'Agostino, professore di geologia a Roma Tre, è uno degli studiosi italiani che segue da vicino la sequenza sismica dell'aquilano. «D'Epifanio, Bagnaia e Sylos Labini - riconosce lo studioso - avevano visto giusto.

All'epoca io ero solo uno studente, ma ricordo il dibattito che nacque sulla faglia di Paganica, che fu da loro descritta e cartografata con precisione. Non raccolsero molti consensi, ma i fatti hanno dimostrato che avevano ragione. Tanto di cappello». D'Agostino, però, non crede che l'individuazione della faglia avrebbe potuto attenuare le conseguenze del terremoto del 6 aprile: «il monitoraggio non consente di prevedere con certezza se e quando si verificherà una scossa distruttiva.

La geologia, oggi, può fare previsioni attendibili solo su periodi medio lunghi e su aree estese». Ma D'Epifanio e gli altri autori del profetico studio sono convinti che qualcosa in più poteva essere fatto: «la faglia di Paganica - sostiene D'Epifanio - rappresentava l'elemento più critico che doveva essere tenuto sotto controllo con tutti i metodi disponibili”.

L'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, invece , ha utilizzato solo il metodo Gps e il monitoraggio sismico su un'area estesa, metodi che evidentemente non hanno fornito quegli elementi per decidere di far evacuare gli edifici più a rischio della città de L'Aquila e per allestire preventivamente dei campi di accoglienza».

E per il domani? Secondo D'Epifanio bisogna fare tesoro dall'accaduto: «a posteriori diventa importante analizzare nuovamente i fenomeni che si sono verificati prima del terremoto aquilano in modo da mettere a punto un protocollo decisionale di intervento che possa essere utilizzabile in altre aree interessate da attività sismica persistente.


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