La manifestazione raccontata. Giustino ed altri editorialisti

08 Luglio 2010   13:31  

Cinque editorialisti, Maurizio Belpietro, Francesco Merlo, Alessandro Sallusti, Michele Brambilla Antonio Macaluso, raccontano gli sessi eventi in modo completamente diverso. Cinque editorailsti più uno, Giustino Parisse, aquilano.

Da Il Centro
POVERACCI E DISPERATI SENZA DIRITTO DI PAROLA
Di Giustino Parisse

C'è un elemento che va subito sottolineato: non sono i volontari della protezione civile a dover avere paura di recarsi all'Aquila - come aveva detto qualche settimana fa il premier - ma sono gli aquilani terremotati che devono aver paura di andare a Roma sotto la casa del presidente del consiglio. Ieri, le manganellate più forti, da parte delle forze dell'ordine ai manifestanti, sono arrivate proprio a due passi da Palazzo Grazioli.

Ed è stata questa la rappresentazione "plastica" della situazione in cui si trova il capoluogo d'Abruzzo, L'Aquila: la città è distrutta, gli abitanti chiedono strumenti finanziari per ricostruirla e trovano invece i manganelli.
Intorno alle 19 mentre risalivo sul pullman che mi avrebbe riportato da Roma nella mia casetta di Onna mi sono chiesto: che cosa hanno ottenuto gli ottomila aquilani che per tutto il giorno sfidando le botte e il gran caldo, hanno gridato la loro rabbia nelle vicinanze dei palazzi del potere? C'è sicuramente un dato positivo: i politici "disturbati" dal chiasso e da quel grido ripetuto e più eloquente di mille parole «L'Aquila-L'Aquila» hanno dovuto almeno per poche ore occuparsi di questi "poveracci" di terremotati. In realtà da Camera, Senato, palazzo Chigi sono arrivati più silenzi imbarazzati che decisioni concrete.

Quella parola «poveracci» era stata usata da quei due imprenditori che ridevano la notte del terremoto mentre noi vedevamo morire figli, genitori, parenti e amici. I «poveracci» di solito, vanno bene se stanno zitti. Se alzano un po' la testa vanno prima evitati, poi scansati e infine schiacciati. Ed è esattamente quello che è accaduto ieri mattina: quando non è stato più possibile bloccare il corteo sono arrivati i colpi di manganello.
Ieri sera la questura di Roma ha diffuso un comunicato. Ha attribuito la colpa degli scontri a non ben identificati no global o qualcosa di simile. Notizia smentita dai parlamentari e dagli amministratori in prima fila e, io che ero a due passi, lì davanti ho visto solo tante facce di aquilani. Arrabbiate, questo sì.

Poi, all'ora del tramonto ecco note di agenzia che rimbalzano notizie come cavallette impazzite. Viene definita una "svolta" la decisione (che poi è come al solito un annuncio che dovrebbe diventare emendamento e poi chissà cosa) di far restituire tutte le tasse non pagate in questi 15 mesi, rateizzandole in 10 anni e non in 5. Come dire: una morte un po' più lenta.

C'è chi riferisce inoltre di incontri cordiali con la presidenza del Senato, di improbabili vertici - sempre in quel palazzo Grazioli - in cui si sarebbe discusso del terremoto dell'Aquila. Tutto fumo che si è attaccato al sudore sulla schiena di chi non si vuole piegare. La vera buona notizia sarebbe un disegno di legge di tre righe: per la ricostruzione dell'Aquila vengono stanziati 3 miliardi all'anno per dieci anni. Da finanziare con una tassa di scopo. Ma questo, per ora, resta un sogno che solo la determinazione degli aquilani potrà far diventare realtà. Una determinazione che ieri si è vista tutta. Anche i tanti che sono rimasti a casa o per scelta o per impegni a cui non hanno potuto rinunciare a un certo punto si sono come materializzati in mezzo al corteo.

Quando dalle tv sono arrivate nelle case immagini e notizie di quello che stava succedendo nel cuore della Capitale, i telefonini sono letteralmente impazziti: chi chiedeva lumi sulla salute dei manifestanti, chi invitava a non mollare "pentendosi" per il fatto di non essere lì, chi prometteva che la prossima volta ci sarebbe stato. I turisti e i romani che hanno incrociato il corteo hanno mostrato comprensione e tanti si sono informati su qual è la reale situazione oggi all'Aquila. Un messaggio è partito chiaro e forte: la ricostruzione dell'Aquila deve essere una questione nazionale. Come può il governo di uno Stato fra i più ricchi del mondo stabilire che una città con ottocento anni di storia debba essere cancellata e al suo posto far nascere tanti "alveari" nei quali si annulla la memoria e il senso di appartenenza degli abitanti alla propria comunità.

 

Da Libero
TERREMOTATI NO GLOBAL. CONTRO SILVIO VALE TUTTO
di Maurizio Belpietro


Probabilmente, sentendo i commenti e scorrendo i titoli dei servizi, molti lettori si saranno fatti l`idea che i terremotati dell`Aquila, giunti nella Capitale per chiedere fondi e comprensione dal Fisco, siano stati accolti a manganellate. In realtà le cose non stanno così, ma qualcuno preferisce presentarle come tali, nella speranza di dimostrare al Paese l`esistenza di un regime autoritario. Vediamo dunque di ricostruire i fatti per come sono accaduti.
Ieri mattina il questore aveva autorizzato una manifestazione di terremotati in piazza Santissimi Apostoli, che nel pomeriggio avrebbe dovuto trasferirsi a piazza Navona, di fronte al Senato, dove l`ottava commissione avrebbe dovuto discutere un emendamento a favore dei cittadini dell`Aquila. Il raduno non prevedeva altri spostamenti, soprattutto non a. Palazzo Chigi, perché a piazza Colonna era già prevista la protesta degli invalidi contro i tagli contenuti nella manovra. All`appuntamento degli aquilani si sono però presentati anche degli appartenenti all`area dei centri sociali, sia romani che abruzzesi, i quali, dopo essersi infiltrati nel corteo, hanno cercato di forzare il blocco degli agenti per raggiungere la sede del governo, con l`intenzione di occuparla.
Cosa poteva fare la polizia, se non respingere il corteo? A questo punto i manifestanti ci hanno riprovato con la residenza privata del premier, ma anche qui il cordone delle forze dell`ordine li ha rimandati indietro.
Anche se non ha potuto raggiungere i Palazzi, chi ha organizzato i tafferugli ha comunque raggiunto il proprio scopo, che è poi di dimostrare che in Italia c`è una polizia cilena, la quale essendo al servizio di un governo fascista non esita a manganellare i terremotati. E le immagini di un ragazzo insanguinato sono più convincenti di tanti discorsi. Si dà il caso però che di poveri senzatetto bastonati non ce ne sia neppure uno. Secondo fonti della polizia, negli scontri sono stati coinvolti i professionisti della contestazione, duri e puri abituati a, forzare i blocchi, che già si erano distinti all`epoca del G8 dell`Aquila. Uno dei feriti è un pluri-denunciato assai noto agli agenti, segnalato nel corso degli anni all`autorità giudiziaria per truffa, detenzione di droga, ingiuria e per altri episodi di ordine pubblico.
Chiarito dunque da che matrice provengano i presunti terremotati colpiti dai manganelli delle forze dell`ordine, vale la, pena di spendere due parole su quel che sta succedendo e sul clima pesante di queste settimane.
Da mesi c`è chi prova a, dimostrare che il Paese è sull`orlo del baratro e del tentativo fanno parte anche i disordini di piazza, grazie ai quali alimentare tensioni sociali e conflitti. Fossimo nel ministro Maroni terremmo dunque ben aperti gli occhi, perché è evidente che si cerca l`incidente per poi poterlo addossare al governo.
E di questo non abbiamo certo bisogno.
Qualche parola la vogliamo riservare anche al sindaco dell`Aquila, il piddino Massimo Cialente, il quale guida le proteste dei suoi cittadini. Cialente fa bene a reclamare maggior attenzione per gli abitanti della città abruzzese, in particolare per le molte e piccole imprese del posto che nei giorni dell`emergenza si sono date da, fare e ancora però aspettano che lo Stato saldi il conto delle opere svolte. Ciononostante il sindaco, oltre che lamentarsi peri ritardati fareb- be bene a guardare anche in casa propria. Se a distanza di 18 mesi dal sisma nella città, abruzzese non è ancora stato ricostruito nulla, lo si deve anche all`assenza di un piano di ricostruzione, documento indispensabile per poter posare il primo mattone, ma che la sua, amministrazione tarda a varare.
Così come tocca al Comune l`erogazione dei contributi e la certificazione dello stato di avanzamento delle opere. Insomma, se Cialente sfilasse un po` meno e si occupasse un po` più dei lavori in corso, non dico che il problema dei terremotati sarebbe risolto, però, forse, qualcosa si muoverebbe. O no? Contro Silvio vale tutto Usati anche i terremotati Gli scatm_anati fnr78n0 il btocco_de11a polizia e finisce a manganellate.

 

Da La Repubblica
LA RESPONSABILITÀ DELLE PROMESSE
di Francesco Merlo


Ma perchè sono stati mobilitati i reparti antisommossa per fermare un corteo di terremotati pacifici, senza black bloc e senza giovani rivoluzionari armati di estintori? Le immagini in diretta della benemerita Sky, che non è certo una riedizione di Telekabul ma soltanto si límíta a non applicare il "codice Minzolini", hanno fatto vedere in maniera inequivocabile che la marcia degli Aquilani a Roma era al tempo stesso popolare e ragionevole. Di sicuro, tra molte donne e tanti anziani non c`erano i professionisti del passamontagna, niente sbarre e bastoni, niente bandiere rosse e neppure ghigni e grugni di facinorosi.
In generale si sa che i terremotati sono spesso arrabbiati ma raramente pericolosi, e in particolare gli abruzzesi dell`Aquila sono di natura ben più quieti dei sovversivi siciliani del Belice, non sono agitati dalle turbolenze plebee degli irpini e non hanno neppure le durezze calviniste dei friulani. Insomma, da che mondo è mondo, tutti i terremotati cercano aiuti e organizzano marce, chiedono procedure speciali e facilitazioni fiscali come quelle che ieri sera sono state inserite e approvate, conunlodevole emendamento, nella finanziaria.
I terremotati dell`Aquila esigono, con molte buone ragioni, i mutui agevolati, pungolano la cultura scientifica, premono sulle banche, sperano nei governi e pretendono la solidarietà che, perla verità, gli italiani sono sempre disposti a dare, anche in forma di tasse e pur diffidando da sempre, e giustamente, della buona amministrazione: «Si incolpa solo ilFato/ l`Evento se è ferale / l`uomo è peggior del male 1 l`aiuto ci si rubò» scriveva H principe di Biscari dopo la distruzione di Messina in un lunghissimo e bellissimo poemetto che prefigurala Protezione civile del pio Bertolaso.
Ma il terremotato è soprattutto facile preda dei demagoghi e degli sciacalli: «Smarriti e timorosi / ninfe, pastori e armenti / vittime dei verbosi / manipolator di menti». Insomma alla fine tutto si può fare dinanzi ad una piccola folla di terremotati infelici che ti vengono a cercare fin sotto casa, e si può persino usare an cora la demagogia, ma non è lecito affrontarli con la pesantezza deimanganellidellapolizia: «Trema ilsuolo, il marciinonda l sordo èilre ai mesti accenti / fra gli affanni ed i lamenti 1 chi soccorso a noi darà?».
Dunque il presidente del Consiglio, che era impegnato a Palazzo Grazioli in una delle tante assemblee contro i traditori e gli ingrati, non solo non è sceso fra questi disgraziati manifestanti aquilani a spiegare tutte `e meraviglie che erano state propalate dal Tgl solo due mesi fa sotto il titolo «il miracolo della ricostruzione» nell`anniversario delsismadell`aprile 2009, ma, come un caudillo sudamericano, si è nascosto dietro un diluvio di poliziotti che di nuovo hanno usato laviolenza, e di nuovo sui più innocenti, sulle vittime per definizione come sono appunto le vittime delle sciagure naturali, che in Italia si affiancano alle violenze sociali, alle mafie, alla corruzione, al malgoverno.
Ma perché ha paura della folla aquilana il premier che all`Aquila ha fatto i suoi più riusciti bagni di folla? Ai tempi delle promesse, quando disse che l`Aquila sarebbe tornata «piùbellaepiùfloridadiprima» Berlusconi arrivava all`improvviso per sopralluoghi nei paesaggi delle macerie informi, per comizi a gente rabbrividente e tutta stonata, maneggiava con sagacia e, bisogna riconoscere anche con efficacia immediata, il primo danaro del pronto soccorso, ordinava di seppellire i morti e accoglieva, un po` spronandole e un po` intestandosele, le carovane della solidarietà di un`Italia che come sempre si univa nella disgrazia, perché nelle peggiori tragedie ci capita di dare il meglio di noi: sottoscrizioni, copiosissime donazioni di sangue, offerte di ospitalità... Davvero ci sentimmo ed eravamo tutti abruzzesi.
Per quelle dignitose lacrime di poco più di un anno fa, ci sono adesso familiari i volti degli abruzzesi in corteo aRoma. Sono ivolti dei nostri fratelli perché l`Aquila è più che mai una questione nazionale che Berlusconi ha il dovere di affrontare anche in Parlamento, e magari tornando nei suoi tg a spiegare che cosa si deve fare di quel centro storico che rischia di morire, come i giornalisti di ogni tendenza, italiani e stranieri, hanno ormai documentato. Vuole ricostruirlo o vuole abbandonarlo? E Berlusconi che volle celebrare all`Aquila quel G8 che, dirottato apposta dalla Maddalena, ha poi aperto il capitolo nero della sporcizia di Stato che faceva capo alla Protezione civile. È Berlusconi che ad ogni piè sospinto gridava: «Non vi abbandonerò mai». Tutti sanno che il governo Berlusconi esordì con le promesse della ripulitura di Napoli e della ricostruzione dell`Aquila. E nessun`altra catastrofe sismica ha provocato tanti carmi e tante elegie, odi e inni sulla ricostruzione e sul suo miracolo, neppure la rinascita di Lisb ona che nella storia dell`umanità è stata certamente la più cantata.
Attenzione: noi non neghiamo che il premier seppe spendersi anche sul piano personale. Mala storia insegna che qualsiasi città terremotata inizialmente èpopolata da sciacalli e becchini, da ciarlatani e trascinatori di folle e da speculatori contenti, come quegli imprenditori che, legati alla cricca, inneggiarono alla distruzione dell`Aquila prima ancora dell`ultima scossa.
È dopo che la città sventrata diventa un cantiere, svegliai talenti finanziari e imprenditoriali, crea ad un tempo i ricostruttori e i garanti della memoria storica. Insomma solo dopo il tempo dello sciacallo, che in passato veniva impiccato senza processo, comincia il tempo della responsabilità.
Chiuso nel suo bunker, circondato da legioni dimanganellatori, Berlusconi si nega alla responsabilità di decidere cosa fare di quel centro storico.
Smascherato «il miracolo della ricostruzione», ora gli italiani sanno che ci sono stati politici che hanno lucrato sul patetico e sull`estetica delle rovine e p alazzinari che h anno organizzato, anche bene, il festival del prefabbricato di periferia. Ma può essere lo sciacallaggio il destino dell`Aquila?

 

Da Il Giornale
USANO PERSINO I TERREMOTATI. ASSALTO A CASA BERLUSCONI
di Alessandro Sallusti


Le foto di due ragazzi con la faccia insanguinata per le ferite (lievi) conseguenza della rissa per forzare i blocchi delle forze dell`ordine. Questa l`immagine dell`Italia che Massimo Cialente, sindaco di sinistra dell`Aquila, consegna ai circuiti internazionali dell`informazione.
Per lui operazione riuscita: uno Stato cinico e violento che bastona terremotati disperati. Ovviamente non è così: Cialente ha preso cinquemila aquilani, li ha portati nella capitale e li ha scagliati contro l`abitazione privata del presidente del Consiglio, Montecitorio e Palazzo Madama. Il corteo non era autorizzato, carabinieri e poliziotti non hanno potuto far altro che difendere come hanno potuto gli obiettivi dell`assalto. A conti fatti è andata ancora bene, sarebbe bastato un niente e il bilancio della giornata avrebbe potuto essere ben più pesante.
Usare scudi umani per fini propagandistici è quanto di più irresponsabile e pericoloso si possa fare. Costringere poliziotti, alcuni dei quali probabilmente abruzzesi, a usare il manganello (...) (...) per sedare una rabbia non gestita da chi dovrebbe, cioè la politica, è da vigliacchi e lo aveva già capito Pasolini ai tempi dei moti di piazza del `68. No, caro sindaco Cialente, per nessuna ragione al mondo un primo cittadino mette deliberatamente a rischio l`incolumità dei suoi cittadini, neppure per la più giusta e nobile delle cause.
Che cosa avrebbero dovuto fare le forze dell`ordine? Permettere a cinquemila persone di fare irruzione nella casa del premier? Oppure fare invadere Montecitorio? Se ieri ci sono stati degli eroi, questi sono i poliziotti che sono riusciti a gestire una situazione delicata con tanta fatica, limitando i danni. È evidente che oggi i commenti dei giornali illuminati e progressisti saranno di segno diametralmente opposto. Ed è proprio questo il motivo dell`impasse che sta vivendo la ricostruzione dell`Aquila. Cioè aver arruolato anche il terremoto e il suo post nell`antiberlusconismo militante.
A sinistra infatti non si sono dati pace che un governo di centrodestra, e il presidente del Consiglio in prima persona, avessero compiuto un miracolo che in Italia, e non solo, si pensava impossibile.
Tutto perfetto, nel limite consentito da un disastro naturale di quelle proporzioni. I soccorsi, le cure ai feriti, il primo intervento, la costruzione a tempo di record di case vere, i grandi del mondo portati sul cratere ancora fumante per sensibilizzare la comunità e l`opinione pubblica internazionale.
Troppo per passare impunito. E così ha preso il via la grande campagna di disinformazione e odio. Trasmissioni tv, reportage, persino un film, firmato Sabina Guzzanti, premiato a Cannes, per gettare fango e discredito sulla più efficiente macchina di soccorsi mai messa in piedi. Disfunzioni, ritardi e ingiustizie, inevitabili e contenute, sono state elevate a regola, le cose fatte oscurate e ridicolizzate, le paure della gente enfatizzate, i problemi ingigantiti.
Quello che è successo ieri è la ovvia conseguenza di tutto questo.
Ricordo che Berlusconi, in giorni non sospetti, cioè a ridosso del sisma, disse che per ricostruire i centri storici e far rientrare la gente ci sarebbero voluti dai dieci ai quindici anni e una quantità di milioni di euro ancora non definibile. Non parlava a caso, ma era una previsione supportata da unanimi pareri tecnici. Chi ha illuso gli aquilani che in pochi mesi sarebbe stato ripristinato un territorio così tanto ferito ha mentito sapendo di farlo. E ora, per non perdere la faccia, scarica le colpe su altri. Fino a metterli nel mirino usando un esercito di gente per bene vittima due volte: del terremoto e dell`incoscienza della sinistra.

 

La Stampa
MISURE-SPOT E GRIDA D'AIUTO
di Michele Brambilla


Mai Berlusconi si sarebbe immaginato che alla lunga fila dei suoi nemici - la sinistra, i magistrati, i giornalisti, i finiani, i «poteri forti» e via di seguito - avrebbe dovuto un giorno aggiungere la categoria dei terremotati. '' Ingrati!», avrà probabilmente pensato ieri dei cinquemila aquilani che hanno sfilato per Roma fino ad arrivare sotto le sue finestre a palazzo Grazioli.
L`intervento all`Aquila era stato fatto passare come il fiore all`occhiello di questo governo, più ancora della rimozione dei rifiuti accumulatisi a Napoli dopo anni di ignavia delle amministrazioni di sinistra.
A pochi mesi dal terremoto il premier aveva consegnato, radioso come nei tempi migliori, le prime case agli sfollati. Moderne, antisismiche, ben arredate, «più belle di quelle che avevano prima», diceva Berlusconi mentre si faceva fotografare accanto a famigliole sorridenti. Quelle immagini erano diventate il miglior spot per il governo, una grande prova di efficienza, di «politica del fare». Perfino gli oppositori più incalliti per qualche tempo si erano trovati a balbettare, e i sondaggi assicuravano che la popolarità del premier era più alta che mai.
Ecco, immaginare allora che dopo meno di un anno quasi il dieci per-cento della popolazione aquilana si sarebbe riversata a Roma per gridare «vergogna» al capo del governo sarebbe stata una follia. Eppure è successo. Ed è difficile, se non impossibile, spiegare la manifestazione di ieri come una manovra politica dell`opposizione, della sinistra, dei soliti antiberlusconiani in servizio permanente ed effettivo. A protestare, per le strade di Roma, c`era gente comune, di sinistra come di destra; commercianti, partite Iva, perfino preti e sindacati di polizia.
Com`è potuto accadere? Chi è stato all`Aquila lo può capire. Intendiamoci bene.
Sbaglia, e si rende responsabile di un altro tipo di spot, chi sostiene che il governo non ha fatto niente. Per quanto riguarda l`emergenza abitativa, è stato fatto molto più che in altri terremoti. Gli sfollati erano un`enormità: 67.000. In poco tempo, quasi quindicimila hanno ricevuto case nuove e più che dignitose; altri le cosiddette «Map», le casette di legno fatte dagli alpini, anch`esse molto meglio delle tende o di quei container ancora presenti, ad esem- pio, in alcuni paesi dell`Umbria; altri ancora sono stati sistemati sulla costa in alberghi a tre o quattro stelle. Nessuno ha passato l`inverno al freddo: e questo è stato, se non il miracolo sbandierato dal governo, sicuramente un successo.
Ma il trionfalismo con cui è stato «venduto» questo successo ha fatto credere a buona parte del Paese che L`Aquila fosse, se non rinata, almeno ripartita. Invece L`Aquila è una città morta. Le nuove case prefabbricate sono tutte nelle frazioni, la gente che ci vive è sradicata, senza più i riferimenti e i vicini di sempre. Il centro storico, che poi è la vera città, è un luogo di fantasmi. Non una casa è stata riaperta, non un albergo, non un ristorante, non un`attività commerciale. Delle 2.300 imprese artigiane, mille hanno dovuto chiudere.
Le ore di cassa integrazione in provincia, che erano 800 mila nel maggio-giugno del 2008, nello stesso bimestre del 2009 sono diventate sette milioni e mezzo.
Insomma è successo questo: gli aquilani pensano che, dopo un`emergenza gestita bene, il governo si sia fermato. Che si sia dimenticato di loro. Perché la ricostruzione non parte e perché - con un`economia ancora a pezzi - si chiede di riprendere a pagare le tasse e di ricominciare a restituire quelle sospese per poco più di un anno.
Anche qui bisogna sforzarsi di essere il più possibile obiettivi. Ricostruire L`Aquila - un capoluogo di provincia con 70.000 abitanti e 28.000 studenti residenti - è un`impresa titanica, per la quale non bastano certo gli slogan che ieri Bersani urlava in mezzo ai manifestanti con parole scandite: «le risorse vanno tro-va-te», «occorre un intervento stra-or-di-na-rio». Né sono utili i toni barricaderi e i discorsi farfugliati di Di Pietro e di Pannella, anch`essi precipitatisi tra i dimostranti per cavalcare la protesta. Accanto alla demagogia del miracolo del governo, ce n`è pure una dell`opposizione.
Ma è proprio contro questa politica degli spot che la gente dell`Aquila ha protestato ieri a Roma. Gente comune, né di déstra né di sinistra, la quale vorrebbe che ai problemi reali non si rispondesse con la politica degli annunci e con operazioni-lampo che giovano solo all`immagine di chi le promuove.
È un desiderio, anzi un bisogno, di tutto il Paese, non solo dei terremotati.

 

Dal Corriere della Sera
NON DOVEVA ACCADERE
di Antonio Macaluso


Lo abbiamo visto dalle finestre del nostro giornale. E non ci è piaciuto. Uno spettacolo avvilente che avrebbe potuto essere evitato. Non era un mistero che un folto gruppo di terremotati dell`Aquila sarebbe venuto a Roma per manifestare.
Con i sindaci in testa e i gonfaloni e le magliette e le bandiere verdi e nere. Era evidente che l`obiettivo sarebbe stato il cuore del Potere:
palazzo Chigi e Parlamento. In un primo momento il passo è stato sbarrato ai manifestanti da un cordone (peraltro esiguo) di forze dell`ordine in tenuta antisommossa. Le urla, la tensione, il caldo implacabile e qualche ben visibile facinoroso hanno fatto il resto:
spinte, ondeggiamenti, qualche manganellata. Trattative e poi il via libera verso i Palazzi, peraltro già presidiati - come quasi ogni giorno - da altri manifestanti, ieri gli invalidi. Ancora slogan «A voi le pensioni d`oro, a noi le macerie» - ancora esasperazione, ancora blocchi, ancora qualche gesto di troppo e ancora manganellate. Una pagina da dimenticare. Che nessuno avrebbe voluto mai scrivere ma che purtroppo resterà - nera - nell`album che un giorno racconterà quel terremoto. Senza fare del facile moralismo, ci sentiamo di dire che non è così che la politica deve rispondere alle richieste di chi ancora oggi è ben lontano dall`esser tornato a una situazione di vivere sereno. Molto è stato fatto, mai in passato una prima risposta era stata data in modo tanto tempestivo, ma molto, moltissimo rimane da fare. Dare un tetto non può, non deve essere tutto: l`Aquila e il suo centro storico, come tante altre zone mutilate, vanno rimesse in piedi il più velocemente possibile. Nessuno può far finta, però, di non sapere che le risorse di cui il Paese dispone sono oggi scarse per non dire inesistenti. È di queste ore la battaglia aspra su una manovra economica che ha il tratto di una gigantesca mannaia. Peraltro assai simile a quelle che i governi di mezza Europa stanno abbattendo sui loro paesi. Tutto questo non deve far dimenticare che le poche risorse di cui si dispone vanno di certo dirottate su chi ha più bisogno. E se gli aquilani sono esasperati, si può ben capirli.
Una cosa non vorremmo, dopo una giornata infausta: che a fare le spese di quel che è accaduto fossero le forze dell`ordine. Davanti ai volti esasperati di chi protestava, davanti a chi piangeva anche, abbiamo visto ragazzi vestiti da carabinieri, poliziotti e finanzieri che non avevano alcuna voglia di battagliare. Anche i loro poveri stipendi sono terremotati da una crisi che non risparmia nessuno.
E comunque è evidente che le forze dell`ordine devono garantire che percorsi e obiettivi delle manifestazioni siano rispettati. Il ministro dell`Interno Roberto Maroni ha convocato ieri pomeriggio un vertice per capire come sono andate le cose. Le cose sono andate male, è chiaro. Ma forse bisognava evitare che quella gente, quei sindaci, quei lavoratori, quegli studenti fossero costretti a venire a Roma. Lo ripetiamo: un buon inizio non vuol dire aver risolto i problemi e se le difficoltà ci sono è bene che qualcuno vada all`Aquila a spiegarlo. Ieri sera un nuovo segnale è arrivato da un`intesa Letta-Tremonti: il recupero dei tributi non versati per effetto della sospensione decisa dopo il terremoto avverrà in dieci anni a partire dal gennaio 2011. Ora non ci si fermi, si vada a dare una prospettiva, una parola, un progetto, una tempistica. Quella gente ha dimostrato pazienza, orgoglio e dignità e siamo sicuri che sa bene che nessun governo al mondo è in grado di far miracoli. Nessuno si aspetta bacchette magiche. Ma neanche manganelli.

 

 

 


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