La povertà in Italia nel 2008

Dal rapporto ISTAT

31 Luglio 2009   15:12  

NUOVE POVERTA': VERI', IN ABRUZZO E' EMERGENZA SOCIALE

"Il recente rapporto Istat sulle nuove poverta' apre uno spaccato nuovo sulla realta' abruzzese che non puo' essere sottovalutata ed invita invece alla riflessione''. E' quanto sostiene oggi il Presidente della Commissione Affari Sociali del Consiglio regionale Nicoletta Veri' commentando i risultati riguardanti l'Abruzzo. "Se il 15,4% delle famiglie abruzzesi versa in condizioni di difficolta' e se il dato di oggi si e' aggravato del 2,5% rispetto a dodici mesi prima e si tiene conto ancora che la condizione della nostra regione supera la media nazionale ( 15,%) significa che si apre ora una emergenza sociale di fronte alla quale la politica e le Istituzione debbono muoversi subito e con iniziative mirate. Alla ripresa dei lavori in autunno - ha proseguito Veri'- sollecitero' il Consiglio regionale e il competente Assessorato ad attivare l'Osservatorio regionale del disagio per monitorabe bene il fenomeno sulle nuove poverta' e mi faro' carico di avviare una serie di proposte legislative per venire incontro ai bisogni vecchi e nuovi della gente,delle fasce sociali piu' deboli, dei portatori di un disagio sociale e soprattutto delle famiglie collocate sotto la fascia minima di reddito".

 

BRUNETTA IL 9 GIUGNO:

«In Italia la povertà è diminuita» Parola del ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta.

Per 30 milioni di lavoratori dipendenti e pensionati la crisi ha portato a un aumento del potere di acquisto, grazie all'incremento delle retribuzioni e alla diminuzione dell'inflazione, ha sottolineato il ministro.

Il risultato è che «la povertà in Italia è diminuita», ha aggiunto Brunetta, secondo il quale i disoccupati-cassa integrati creati dalla crisi economica sono circa 3-400mila: «un dato grave ma non gravissimo», ha rilevato ancora il ministro. La crisi, ha spiegato acora il ministro, ha creato 300-400 mila disoccupati cassaintegrati, tutti con un'integrazione a reddito. «È un dato grave e preoccupante, ma non gravissimo. Infatti a fronte di queste migliaia, continuiamo ad avere 15 milioni di posti di lavoro dipendente - ha sottolineato Brunetta - per questi le dinamiche salariali progrediscono del 3-4% annuo e il potere di acquisto è aumentato», grazie ad un'inflazione in calo.

 

«Sembra paradossale e controcorrente - ha aggiunto Brunetta di fronte alla platea riunita dalla Confindustria per la giornata dell'innovazione e che di fronte alle parole del ministro ha comunicato a rumoreggiare - ma queste sono le statistiche».

«Al netto dei cassintegrati-disoccupati equivalenti - ha ribadito il titolare della Pubblica amministrazione - il potere di acquisto è cresciuto dell'1-2%. Questo spiega perché non ci sia in Italia una crisi sociale». Secondo Brunetta ai 15 milioni di lavoratori dipendenti vanno inoltre aggiunti 16-17 milioni di pensionati per i quali le dinamiche sono simili. Questo comporta che «30 milioni di redditi in questi 12 mesi hanno mantenuto o incrementato il potere d'acquisto». Il ministro ha quindi sottolineato che «al netto dei disoccupati equivalenti, il vero impatto della crisi è stato sul lavoro autonomo». È proprio questa categoria di lavoratori infatti che «sta pagando di più con un fatturato diminuito del 30-40%. La preoccupazione quindi è più sul lavoro autonomo che non su quello dipendente», ha concluso.

 

DAL RAPPORTO ISTAT La povertà in Italia nel 2008

Premessa: Soglia di povertà relativa: per una famiglia di due componenti è pari alla spesa media procapite nel paese. Nel 2008 questa spesa è risultata pari a 999,67 euro mensili. Soglia di povertà assoluta: rappresenta la spesa minima necessaria per acquisire i beni e servizi inseriti nel paniere di povertà assoluta. La soglia di povertà assoluta varia, per costruzione, in base alla dimensione della famiglia, alla sua composizione per età, alla ripartizione geografica e alla dimensione del comune di residenza. La povertà relativa In Italia, nel 2008, le famiglie che si trovano in condizioni di povertà relativa sono stimate in 2 milioni 737 mila e rappresentano l’11,3% delle famiglie residenti; nel complesso sono 8 milioni 78 mila gli individui poveri, il 13,6% dell’intera popolazione. La stima dell’incidenza della povertà relativa (la percentuale di famiglie e persone relativamente povere sul totale delle famiglie e persone residenti) viene calcolata sulla base di una soglia convenzionale (linea di povertà) che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. La soglia di povertà per una famiglia di due componenti è rappresentata dalla spesa media mensile per persona, che nel 2008 è risultata pari a 999,67 euro (+1,4% rispetto alla linea del 2007). Le famiglie composte da due persone che hanno una spesa media mensile pari o inferiore a tale valore vengono quindi classificate come relativamente povere. Per famiglie di ampiezza diversa il valore della linea si ottiene applicando una opportuna scala di equivalenza che tiene conto delle economie di scala realizzabili all’aumentare del numero di componenti La soglia di povertà relativa è calcolata sulla base della spesa familiare rilevata dall’indagine annuale sui consumi (cfr. Statistica in breve “I consumi delle famiglie Anno 2008” del 14 luglio 2009), condotta su un campione di famiglie circa 28 mila famiglie, estratte casualmente in modo da rappresentare il totale della famiglie residenti in Italia. Per la valutazione delle stime è quindi opportuno tener conto dell’errore che si commette osservando solo una parte della popolazione (errore campionario) e costruire un intervallo di confidenza intorno alla stima puntuale ottenuta. Tali considerazioni sono fondamentali nella valutazione dei confronti spazio-temporali: limitate differenze tra le stime osservate possono non essere statisticamente significative in quanto attribuibili alla natura campionaria dell’indagine. Nel 2008 la stima dell’incidenza di povertà relativa, calcolata sul campione delle famiglie, è risultata pari all’11,3%, valore che, con una probabilità del 95%, oscilla sull’intero collettivo tra il 10,8% e l’11,8%. Negli ultimi quattro anni (Graf.1) la percentuale di famiglie relativamente povere è rimasta sostanzialmente stabile e immutati sono i profili delle famiglie povere. Il fenomeno continua ad essere maggiormente diffuso nel Mezzogiorno (23,8%), dove l’incidenza di povertà relativa è quasi cinque volte superiore a quella osservata nel resto del Paese (4,9% nel Nord e 6,7% nel Centro), e tra le famiglie più ampie. Si tratta per lo più di coppie con tre o più figli e di famiglie con membri aggregati (l’incidenza è rispettivamente del 25,2% e del 19,6% ). La situazione è più grave se i figli hanno meno di diciotto anni: l’incidenza di povertà tra le famiglie con tre o più figli minori sale, infatti, in media, al 27,2% e, nel Mezzogiorno, addirittura al 38,8%. Come si desume dalle tavole che seguono, il fenomeno è inoltre più diffuso tra le famiglie con anziani, nonostante il miglioramento osservato negli ultimi anni: se l’anziano in famiglia è uno solo l’incidenza è prossima alla media nazionale (11,4%), se ve ne sono almeno due sale al 14,7%. La povertà è inoltre associata a bassi livelli di istruzione della persona di riferimento (l’incidenza è del 17,9% quando è a capo della famiglia una persona con al più la licenza elementare), a bassi profili professionali (tra le famiglie con componenti occupati è povero il 14,5% delle famiglie con a capo un operaio o assimilato) e, soprattutto, all’esclusione dal mercato del lavoro: l’incidenza di povertà tra le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione è pari al 33,9% e sale al 44,3% se in questa stessa situazione si trovano almeno due componenti (contro il 9,6% delle famiglie in cui nessun componente è alla ricerca di lavoro). L’incidenza di povertà più elevata si registra, ovviamente, tra le famiglie in cui non vi sono occupati né ritirati dal lavoro; queste, infatti, risultano relativamente povere in quasi la metà dei casi (49,6%). Il fenomeno della povertà relativa, oltre che attraverso la misura della sua diffusione, può essere descritto anche rispetto alla sua gravità. L’intensità della povertà, che indica in termini percentuali di quanto la spesa media mensile equivalente delle famiglie povere si colloca al di sotto della linea di povertà, nel 2008 è risultata pari al 21,5% (era il 20,5% nel 2007): le famiglie povere hanno una spesa media equivalente sostanzialmente invariata rispetto al 2007 e pari a circa 784 euro al mese. Nel Mezzogiorno le famiglie povere presentano una spesa media mensile equivalente di circa 770 euro (l’intensità è del 23%), rispetto agli 820 e 804 euro osservati per il Nord e per il Centro (18% e 19,6% rispettivamente). Osservando il fenomeno con un maggior dettaglio territoriale, l’Emilia Romagna appare la regione con la più bassa incidenza di povertà (pari al 3,9%), seguita dalla Lombardia e dal Veneto, con valori inferiori al 5%. La situazione più grave è, invece, quella delle famiglie residenti in Sicilia, dove il valore osservato, pari al 28,8%, è significativamente superiore rispetto alla media ripartizionale. Il confronto tra il 2007 e il 2008 La sostanziale stabilità del fenomeno che, tra il 2007 e il 2008, si registra a livello nazionale è il risultato, da un lato, del peggioramento osservato tra le tipologie familiari che tradizionalmente presentano una elevata diffusione della povertà e, dall’altro, del miglioramento della condizione delle famiglie di anziani. L’incidenza di povertà risulta in crescita fra le famiglie più ampie (dal 14,2% al 16,7% tra le famiglie di quattro componenti e dal 22,4% al 25,9% tra le famiglie di cinque o più); soprattutto per le coppie con due figli (dal 14% al 16,2%), e ancor più tra quelle con minori (dal 15,5% al 17,8%). Tra le famiglie di monogenitori la povertà, che nel 2007 era prossima alla media nazionale, raggiunge nel 2008 il 13,9% (se almeno una persona è in cerca di occupazione si attesta al 31%, contro il 23,4% del 2007). Consistenti aumenti si osservano, inoltre, tra le famiglie con a capo una persona in cerca di occupazione (dal 27,5% al 33,9%), tra quelle che percepiscono esclusivamente redditi da lavoro, cioè con componenti occupati e senza ritirati dal lavoro (dall’8,7 al 9,7%) e ancor più tra le famiglie in cui vi sono 5 componenti in cerca di occupazione (dal 19,9% al 31,2%). Segnali di peggioramento si osservano, infine, tra le famiglie con a capo un lavoratore in proprio, dal 7,9% all’11,2%, valore che tuttavia non supera quello medio nazionale. Soltanto le famiglie con almeno un componente anziano mostrano una diminuzione dell’incidenza di povertà (dal 13,5% al 12,5%), che è ancora più marcata in presenza di due anziani o più (dal 16,9% al 14,7%). Nel Nord si confermano le dinamiche osservate a livello nazionale: peggiora la condizione economica delle famiglie di maggiori dimensioni, di quelle con a capo un lavoratore in proprio, migliora la condizione economica delle famiglie con anziani. Nel Centro la situazione non è significativamente mutata rispetto al 2007, mentre nel Mezzogiorno si confermano, solo ed esclusivamente, i risultati negativi osservati a livello nazionale: vedono peggiorare la propria condizione le famiglie con un elevato numero di componenti, quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione e le famiglie con a capo un lavoratore in proprio. In quest’ultima ripartizione, inoltre, si osservano evidenti segnali di peggioramento tra le famiglie residenti in Molise. Le famiglie a rischio di povertà e quelle più povere . La classificazione delle famiglie in povere e non povere, ottenuta attraverso la linea convenzionale di povertà, può essere maggiormente articolata utilizzando soglie aggiuntive, come quelle che corrispondono all’80%, al 90%, al 110% e al 120% di quella standard. Tali soglie permettono di individuare diversi gruppi di famiglie, distinti in base alla distanza della loro spesa mensile equivalente dalla linea di povertà. Esaminando i gruppi di famiglie sotto la soglia standard, risultano “sicuramente” povere, hanno cioè livelli di spesa mensile equivalente inferiori alla linea standard di oltre il 20%, circa 1 milione 260 mila famiglie, il 5,2% del totale delle famiglie residenti. Il 6,1% delle famiglie residenti in Italia risulta “appena” povero (ha una spesa inferiore alla linea di non oltre il 20%) e tra queste più della metà presenta livelli di spesa per consumi molto prossimi alla linea di povertà (inferiori di non oltre il 10%). Anche tra le famiglie non povere esistono gruppi a rischio di povertà; si tratta delle famiglie con spesa per consumi equivalente superiore ma molto prossima alla linea di povertà: il 4% delle famiglie residenti presenta valori di spesa superiori alla linea di povertà di non oltre il 10%. Nel Mezzogiorno la quota di tali famiglie sale al 6,6%. Le famiglie “sicuramente” non povere, infine, sono l’80,9% del totale e si passa da valori prossimi al 90% nel Nord e nel Centro (rispettivamente 89,5% e 87,5%) al 63,8% del Mezzogiorno. La povertà assoluta Nel 2008, in Italia, 1.126 mila famiglie (il 4,6% delle famiglie residenti) risultano in condizione di povertà assoluta per un totale di 2 milioni e 893 mila individui, il 4,9% dell’intera popolazione. La stima dell’incidenza della povertà assoluta viene calcolata sulla base di una soglia di povertà che corrisponde alla spesa mensile minima necessaria per acquisire un determinato paniere di beni e servizi. Tale paniere, nel caso specifico, rappresenta l’insieme dei beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, sono considerati essenziali a conseguire uno standard di vita minimamente accettabile. Le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia, che si differenzia sia per dimensione e composizione per età della famiglia, sia per ripartizione geografica e ampiezza demografica del comune di residenza, vengono classificate come assolutamente povere (cfr. Statistica in breve “La povertà assoluta in Italia nel 2007” del 22 Aprile 2009). La stima puntuale dell’incidenza che, per il 2008, è risultata pari al 4,6%, oscilla, con una probabilità del 95%, tra il 4,3% e il 5%. I profili territoriali e familiari tra i quali la povertà assoluta è maggiormente diffusa ricalcano quelli già delineati in termini di povertà relativa. Il fenomeno è maggiormente diffuso nel Mezzogiorno (7,9%), dove anche l’intensità di povertà assoluta, pari al 17,3%, è leggermente superiore a quella osservata a livello nazionale (17%). Si conferma lo svantaggio delle famiglie più ampie (se i componenti sono almeno cinque l’incidenza è pari al 9,4% e sale all’11% tra le famiglie con tre o più figli minori), dei monogenitori (5%) e delle famiglie con almeno un anziano (in particolare, quando l’anziano è la persona di riferimento l’incidenza è pari al 5,7% e sale al 6,9% se è l’unico componente della famiglia), oltre a quello associato con le situazioni di mancanza di occupazione o di bassi profili occupazionali: tra le famiglie con a capo una persona occupata, le condizioni peggiori si osservano tra gli operai o assimilati, 5,9%, mentre i valori più elevati si rilevano quando la persona di riferimento è in cerca di occupazione, 14,5%, e nelle famiglia in cui non sono presenti occupati né ritirati dal lavoro,19,9%. Dal 2007 al 2008, l’incidenza di povertà assoluta è rimasta sostanzialmente stabile a livello nazionale, ma è significativamente aumentata nel Mezzogiorno, passando dal 5,8% al 7,9%. La condizione di povertà assoluta peggiora tra le famiglie di quattro componenti, in particolare coppie con due figli, soprattutto se minori; tra le famiglie con a capo una persona con licenza media inferiore, con meno di 45 anni o con a capo un lavoratore autonomo. L’incidenza aumenta, inoltre, tra le famiglie con almeno un componente alla ricerca di occupazione, soprattutto quando si tratta della persona di riferimento. Un leggero miglioramento si osserva solo tra le famiglie dove si associa la presenza di componenti occupati e di ritirati al lavoro.


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