La ricostruzione dell'Irpinia, trent'anni di scandali impuniti

Perchè la storia non si ripeta

01 Febbraio 2010   16:48  

Una magistrale inchiesta di Andrea Cinquegrani,  pubblicata a novembre dal mensile La Voce delle Voci, ricostruisce gli scandali impuniti e gli sprechi di denaro pubblico che hanno fatto seguito al terremoto dell'Irpinia.

- TERREMOTI INFINITI -

23 novembre 1980. La terra scuote l'Irpinia seminando morte e devastazione. Ma la pioggia di miliardi negli anni che seguiranno (65 mila e passa di vecchie lire, una semifinanziaria da prima repubblica) per la “ricostruzione” (sic) andra' a tutto beneficio di opere faraoniche, inutili, addirittura letali per il terriotorio e l'ambiente (come nel caso, che vedremo in seguito, dei Regi Lagni). E, soprattutto, servira' da propellente per un'intera classe politica “ministeriale” di marca Dc ma non solo, e per il decollo della Camorra spa.
Pensate sia successo qualcosa, in questi 29 anni? Che qualcuno abbia pagato il fio per scempi e ruberie da brivido? Che un solo politico, imprenditore o camorrista sia finito in galera? Niente. Il vuoto assoluto. Il 30 per cento di quel fiume di danaro pubblico e' finito in megatangenti? Chissenefrega. Un altro terzo nelle casse della malavita per subappalti e tutto quanto fa opere pubbliche, dalle cave al calcestruzzo? Chissenefrega. Sulle ceneri di quel disastro e' sbocciata un'intera classe politica che dalla Campania ha spiccato il volo verso appetibili poltrone ministeriali, da Paolo Cirino Pomino ad Enzo Scotti, da Antonio Gava a Franco De Lorenzo? Chissenefrega.

La conferma si e' avuta qualche mese fa, il 23 giugno, quando e' finito nella classica bolla di sapone anche il processo d'appello per i 51 imputati, fra politici, imprenditori, faccendieri e C. Tutti prescritti e immacolati, per via delle scontate “attenuanti generiche”. Solo una condanna, del tutto formale, per Antonio Fantini, in quegli anni presidente della giunta regionale e commissario straordinario per la ricostruzione (negli ultimi anni passato all'Udeur di Clemente Mastella): 2 anni e dieci mesi di reclusione (ovviamente pena sospesa) per un solo episodio di «corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio». «Roba da ridere, o meglio da piangere - commentano alcuni avvocati partenopei - una lieve riforma rispetto alla sentenza di primo grado dove si parlava della meno grave corruzione per atto di ufficio. Ma la sostanza resta: impunita' per tutti, alla faccia dei cittadini e delle casse dello stato». Ma c'e' chi va giu' anche piu' duro: «Tutto parte da un vizio d'origine - commenta un magistrato che si occupa di reati contro la pubblica amministrazione - con un capo di imputazione del tutto fasullo, quello di corruzione».

Vediamo di capirci qualcosa. E di capire anche chi ha messo in moto quel meccanismo da perfetto “autogol” per la giustizia di casa nostra.
Partiamo dalla “corruzione”. Tipica della prima Mani pulite, salita agli onori della cronaca con la tangentopoli che da Mario Chiesa e dal Pio Albergo Trivulzio ha «rivoltato come un calzino l'Italia», secondo le parole dei pm di punta del pool di Milano, Piercamillo Davigo. Fu proprio un suo collega, Antonio Di Pietro, allora oscuro sostituto, a parlare di “imprese di partito”, “portappalti”, delineando, quindi, uno scenario che andava ben oltre il classico sistema “corruzione-concussione”.
Del resto, e' proprio Pomicino, a inizio anni ‘80 rampante dc, a mettere a punto ‘o sistema: “soci di fatto”, politici e imprenditori diventano ‘na cosa sola per acchiappare appalti pubblici miliardari. Lo mette addirittura nero su bianco, ‘o ministro, nel libro “Strettamente riservato” edito da Mondadori nel 2000 e firmato col classico nomignolo di Geronimo: «ma mi poteva mai venire in mente di corromperlo all'amico Zecchina? O all'amico Di Falco? Oppure all'amico Balsamo?». Del resto, uno gli ha fatto da testimone di nozze, all'altro ha fatto da padrino per il battesimo della figlia, il terzo poi ha sposato la sorella dell'amico del cuore, Vincenzo Maria Greco, ingegnere ovunque del dopo terremoto. Ed e' ancora Pomicino a raccontare, in perfetto stile Berlusconi, un gustoso aneddoto: «Francesco Zecchina contribuiva alle mie campagne elettorali dal 1970. Era cosi' abituato a darmi finanziamenti che nel 1992, quando arrivarono i soldi dell'Enimont per le elezioni politiche e io gli dissi che non avevo bisogno dei suoi contributi, egli rimase stupito. Ando' da altri due amici, il vicepresidente nazionale dei costruttori Eugenio Cabib e il presidente dell'Unione industriali Salvatore Paliotto, e chiese loro un po' preoccupato, ma che cavolo e' successo? Perche' non vuole piu' il mio contributo? Che gli ho fatto? Era questo l'amico che, secondo i magistrati della procura, io avrei concusso per vent'anni».

AMICI NOSTRI

Quindi, tutti amici per la pelle. O per l'appalto. Nessuna corruzione, mai una concussione, secondo la ricostruzione - e' il caso di dirlo - sgorgata spontanea dal cuore (bypassato anche grazie all'intervento economico di un altro superaficionado, l'ex re del grano Franco Ambrosio, trucidato mesi fa in strane circostanze nella sua villa di Posillipo) di o' ministro.
L'unica pista da battere per gli inquirenti, a questo punto, l'associazione: a delinquere, quell'articolo 416 del codice penale spesso invocato dalle toghe. Caso mai con una piccola, significativa appendice, un bis che significa “di stampo mafioso”, visto che la malavita straorganizzata, come gia' accennato, l'ha fatta da padrona nel dopo terremoto (e non solo). Ebbene, niente: il super pool al lavoro in migliaia e migliaia di pagine non ha tirato fuori neanche una sola volta il nome di un clan, di un camorrista, di una connection: un'entita' metafisica, un'astrazione per giornalisti in vena di fantasie.

Quindi, cade ogni ipotesi di bis; e perfino di associazione, che non viene - incredibile a dirsi - contestata. Solo corruzione e concussione. ed e' un giochetto da ragazzi, per lo stuoli di legali della difesa, sbarazzarsene.
Il risultato in soldoni? Un vero e proprio miracolo di San Gennaro: perche' a questo punto il pur presunto reato di corruzione-concussione si prescrive in un baleno, sette anni e mezzo, come e' successo nei fatti; mentre il 416 bis (o anche semplice) ha tempi di vita giudiziaria molto piu' lunghi, fino a 15 anni. «Per un macroscopico errore quindi - viene osservato da un cancelliere del tribunale di lungo corso - la prescrizione e' stata servita agli imputati su un piatto d'argento». E una corsia preferenziale. Ma si e' trattato solo di un errore, di ignoranza della legge, o di che altro?
Tutte carriere con lunghi curriculum quelle degli inquirenti, per la precisione i pubblici ministeri Antonio D'Amato, Alfonso D'Avino, Nunzio Fragliasso, Domenico Zeuli (coordinati dal magistrato-anziano all'epoca della gestione di Agostino Cordova, ossia Arcibaldo Miller). I quali, oggi, fanno salti di gioia: «il nostro impianto accusatorio si e' dimostrato esatto proprio per via della sentenza di appello - esultano - perche' e' stato accertato il reato di corruzione propria. Se non vi fosse stata la prescrizione le condanne sarebbero state molte di piu'». Se, se, se...

Oggi e' il magistrato piu' potente d'Italia, Miller, nella veste di capo degli ispettori ministeriali, gli 007 di via Arenula incaricati di delicatissime “visite” nei palazzi di giustizia piu' caldi d'Italia (fra le piu' recenti e piu' bollenti, quelle a Catanzaro per l'impeachment di Luigi De Magistris). La figlia, Cristina Miller, ha sposato Pietro Scaramella, fratello di Mario, coinvolto nel clamoroso affaire Litvinenko. Diventa cosi' parente, Miller, anche della toga Maria Adele Scaramella (sorella di Mario), che ora presiede il collegio giudicante alle prese con il maxi processo della monnezza a Napoli. Undici anni fa, nel 1998, Miller fu al centro di un infuocato j'accuse redatto dalla Camera dei penalisti del foro partenopeo, 160 pagine al vetriolo con pesantissime accuse rivolte sia alle gestione Cordova che, soprattutto, a Miller, accusato di disinvolte frequentazioni: dalla casa squillo di via Palizzi (uno degli scenari ipotizzati in prima battuta dal Telefono Giallo di Corrado Augias per l'omicidio del giornalista Giancarlo Siani) fino ai fratelli Sorrentino di Torre del Greco, a quel tempo inquisiti per essere i gran riciclatori della Camorra spa, addirittura trait d'union tra la Nco di Raffaele Cutolo e l'emergente Nuova Famiglia targata Carmine Alfieri e C. (poi gemellata con gli uomini di Antonio Bardellino, antesignani dei Casalesi). Tutte accuse, quelle rivolte dai penalisti napoletani, su cui il Csm ha pronunciato un verdetto di assoluzione. «I procedimenti subiti dal dottor Miller - scrivevano in un documento - si sono conclusi con l'archiviazione, ma residuano fondate ragioni di censura sul comportamento del magistrato per l'estrema disinvoltura manifestata nelle sue relazioni personali».
E con un colpo di spugna, un'archiviazione in istruttoria, si concluse una quindicina d'anni fa un'altra maxi inchiesta collegata al dopo sisma, quella per la realizzazione della Pozzuoli bis, il “mostro” di Monteruscello, crocevia di scempi ambientali (con annesso saccheggio archeologico), emergenze inventate ad hoc (a quel tempo il ministro per la protezione civile era Scotti, oggi sottosegretario agli Esteri in quota Mpa) e affari arcimiliardari per costruttori, progettisti e soprattutto camorristi (in prima fila i Sorrentino, fra l'altro ottimi amici di Pomicino al quale hanno venduto proprio in quell'anno, il 1984, un attico a prezzo catastale in via Petrarca a Napoli).
Una Tangentopoli ante litteram, un bubbone che avrebbe decapitato il gotha cittadino e non solo: e sul quale venne messo un bel coperchio dall'allora procuratore capo del tribunale di Napoli, Alfredo Sant'Elia, scottiano doc, e dal responsabile dell'ufficio denunce, Armando Cono Lancuba (e grande amico di Miller), il quale arrivo' a “profetizzare” in un'intervista al Mattino la precoce chiusura delle indagini con un nulla di fatto: come se un allenatore annunciasse in anteprima la sconfitta della sua squadra...

BAGNI PENALI

Ma di processi finiti in clamorosi flop e' piena la storia del post sisma. Terza tappa, quella dei Regi Lagni, uno degli scempi ambientali piu' riusciti a livello europeo nell'ultimo quarto di secolo. “Miliardi nel fango”, titolava oltre vent'anni fa, nel 1988, un'inchiesta della Voce che dettagliava costi, progettisti, imprese, subappalti alla camorra, un pentolone straricco da sfiorare la stratosferica quota di quota mille miliardi, partendo dalla consueta cifra di un centinaio. «Opere non solo inutili - commenta un geologo - ma addirittura dannose, capaci di cementificare il terreno, creando esondazioni dei canali ad ogni pioggia. Insomma, un'opera scientificamente, appositamente sbagliata».

Proprio per poter rifare i lavori, riappaltati agli stessi autori del massacro come se niente fosse, e nessun processo li sfiorasse minimamente. «Lo stesso, pressocche' identico copione messo poi in scena dieci anni fa in occasione della tragedia del Sarno, ampiamente annunciata, nessun colpevole e tutti a godersi palate di fango e tonnellate di danaro pubblico».
Fango killer ma un vero bingo per i soliti beneficiari della lotteria. Tra i protagonisti nella progettazioni, un nome su tutti, quello di Vincenzo Maria Greco, prima a bordo di Eta Sud (sotto i riflettori degli inquirenti per l'affaire Monteruscello), poi della Servizi Ingegnaria; quindi gran regista del decollo via grafici e compassi dell'Alta Velocita'. Tra i superfortunati, poi, il gotha dell'imprenditoria mattonara, in prima fila il gruppo Giustino, gia' primattore nel dopo sisma e protagonista nei maxi lavori - di meta' anni ‘80 - per la realizzazione della arcimiliardaria terza corsia Roma-Napoli, dove a far man bassa dei subappalti sono le cosche del casertano (i casalesi alle loro prime performance). Enzo Giustino oggi si veste da padre della patria e dello sviluppo: columnist del Corriere del Mezzogiorno, arriva da pochi giorni in libreria con un volume nel quale disegna le magnifiche sorti di Napoli attraverso immagini d'epoca che lo mostrano al fianco di Gianni Agnelli. Ed e' la sua Giustino Costruzioni nel 2005 ad aggiudicarsi il maxi appalto per il “risanamento” (sic) dei Regi Lagni, attraverso il consorzio Hydrogest (costituito con Termomeccanica). «Ma con un ribasso consistente - fanno notare nella zona di Castelvolturno - visto che e' sotto il miliardo di euro, a fronte della base prevista a 1 miliardo e 300 milioni circa». Ribasso o no, fatto sta che da allora non e' stato investito un solo euro per bonificare quelle aree ormai trasformate in una vera bomba ecologica. I 550 addetti circa sono praticamente inoperosi, alle prese con lavori di ordinaria amministrazione.

Racconta per sommi capi la storia un agronomo di Villa Literno: «Hydrogest vince l'appalto per convertire cinque impianti di depurazione lungo la tratta Nola-Villa Literno da biologici e chimici, e trattare l'enorme mole di reflui industriali immessa nei canali. L'Enel ha contestato l'esito della gara, il Tar ha revocato l'appalto, poi il Consiglio di Stato ha ribaltato ancora restituendolo a Hydrogest. Nell'area interessata ci sono un centinaio di comuni: ebbene, solo il 10 per cento ha realizzato le opere previste per connettersi. E adesso si assiste all'incredibile sceneggiata che vede il 90 per cento di comuni inadempienti, Hydrogest che emette fatture nei confronti della Regione e un dissesto ambientale e idrogeologico galoppante. Basti solo pensare - conclude - che tutti i reflui civili e industriali finiscono regolarmente, via Regi Lagni, nel mare. Cosi' che oltre il 90 per cento dei litorali costieri sono infetti e non balneabili». Come da anni denuncia la battagliere organizzazione “La costa dei sogni” - presieduta dall'“avvocato del mare” Gaetano Montefusco - costantemente alle prese con denunce per il fisiologico non funzionamento dei depuratori previsti da oltre un quindicennio.

Il processo per la scandalo dei Regi Lagni? «Un'altra bufala, come quelle casertane che producono un latte ormai improbabile - commenta un avvocato di Santa Maria Capua Vetere - tutti assolti, tutto finito nella solita, benedetta prescrizione per imprenditori, progettisti, politici e C. Un po' come e' successo per il processo Spartacus 2: colpo di spugna per i vip». Stavolta, per i Regi Lagni, a finire condannati una dozzina di piccoli camorristi impegnati nei subappalti, nel movimento terra o nel racket dei cantieri: per la serie, i pesci piccoli (e pochi) dentro, quelli grossi ancora a nuotare tranquilli nel fango. E nei miliardi.
Ma qualcosa, forse, si sta muovendo. Osserva un altro penalista di Santa Maria Capua Vetere: «Da mesi cresce la protesta di cittadini e associazioni ambientaliste che non sopportano piu' di vivere in una situazione ormai insostenibile, con un habitat distrutto e una giustizia che lascia impuniti colpevoli di disastri ambientali che per molti hanno fruttato fortune economiche e politiche. Non tutto pero' e' perso: a quanto pare proprio la procura di Santa Maria si sta muovendo per riaprire il bubbone giudiziario dei Regi Lagni cancellando quella prima, scandalosa sentenza. E portando alla ribalta un'altra, ben piu' fresca pagina: quella relativa alla gestione commissariale delle bonifiche». Una luce tra il fango passato e recente?


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